Nasce pugile, fino a diventare campione rionale dei pesi leggeri: uomo piccolo, dunque, a dispetto della sua natura prepotente. Sceso dal ring ha cominciato a prendere a pugni il mondo. La boxe non è stata per lui, come per tantissimi, una strada per il riscatto. Duilio Morini aveva ricchezze alle spalle, alimentate da uno spregiudicato opportunismo: «prima coi tedeschi e coi fascisti, poi con uno di quei colpi che solo i soldi consentono di fare senza cader in qualche tranello, coi partigiani e coi comunisti; e finalmente con più nessuno o con questo o con quello, ma così, dall’alto, come se sapessero che ormai al punto in cui erano nessuno poteva far più niente, nemmeno scalfirli». Duilio è il “ras” non solo dei ring, ma anche dei dancing e delle sale da ballo. È affamato di soldi e di corpi, probabilmente anche del corpo “olimpico” del giovane dipinto da Testori, primo della serie dei Pugili dipinti alla fine degli anni ’60. Il “ras” un personaggio che attraversa come una forza malignamente attrattiva tutta la saga: Luca Font, nei lightbox, ne ricostruisce il profilo, immaginando i tatuaggi che potrebbe farsi uno come lui, oggi: il serpente sul petto, il bambino con i guantoni sulla schiena, i due trofei della vittoria e della sconfitta sui bicipiti, la rosa sul ventre… A partire dalla vicenda di Cornelio Binda, il promesso campione che non sta al gioco delle scommesse e così il “ras” si rifà su sua sorella Angelica (è lei la donna con la lacrima?) mettendola incinta e costringendola ad abortire per evitare la vergogna sociale. È lui «il porco» e «il maiale» che travia Antonio Oliva, figlio di famiglia di rigida morale comunista. Ama l’azzardo, con un poker sempre nella manica… Viaggia in fuoriserie o con una cabriolet «una specie d’ingombro d’oro nella vita del quartiere, che soltanto la generosità, eccessiva e immodesta anche quella, riusciva a render, non che sopportabile, addirittura ricercato; una specie di deus; il Morini! il Duilio! il ras! Chiaro che in quel modo di chiamarlo, insieme all’invidia, c’era una venerazione da schiavi».

