Il Fabbricone era una casa di ringhiera, prototipo delle case popolari, sorto in fondo a via Aldini. Testori sul quaderno del suo manoscritto, oltre a raccontarne la storia attraverso la memoria della sua protagonista, Redenta Restelli, lo disegna anche con dovizia di particolari, indicando le abitazioni dei protagonisti della sua epopea. «Nata e vissuta da quelle parti, del Fabbricone la Redenta ricordava tutto, e lo ricordava con la precisione e la forza della sua gran memoria… Ecco i giorni in cui su quello che allora non era altro che un prato correva a giocar con le amiche. Ecco le domeniche in cui col padre, la madre e gli zii, andava a veder i progressi di quello che ormai era diventato l’avvenimento principale del rione. Titolo meritato, del resto, trattandosi della prima casa popolare vera e propria che, nel rione, s’alzava a ridosso delle cascine… Ogni appartamento era stato dotato del suo lavandino e del suo gabinetto. Ed era forse poco, a quella data, millenovecentoventitré? Senonché i padroni, anzi il consorzio, dato che non ci stavan loro, anno per anno l’avevano lasciato andare, e andar a ramengo». Nella sala irrompono di tanto in tanto i tuoni di un temporale, quello premonitore della prima pagina del Fabbricone. «Persiane che sbattevano. Panni, camicie e mutande che s’agitavano sui fili. Un gran trafficare sui ballatoi. “Vieni dentro! Su, su che arriva la fine del mondo!”».


