Riboldi Gino è un ragazzo devastato dalla realtà che lo circonda. È tossicomane, per procurarsi le dosi si prostituisce, accettando di subire ogni possibile abuso sul proprio corpo. È un capro espiatorio del mondo, un agnello sacrificale nella Milano «gas – metanica», città di veleni dilaganti nell’aria come pure nelle coscienze. La Stazione centrale, la «tutankamonica» stazione è il luogo dell’ultimo atto. In questo suo soliloquio Riboldi Gino ha un interlocutore: è lo scrivano, anzi il «chirurgo-scrivano», chiamato a restituire con la sua penna la violenza di tanta turpitudine. La vita di Riboldi Gino è segnata da un ricordo che precipita in ossessione: quello della prima comunione. Nella sua testa tutto s’impasta, il bianco dell’ostia con quello dello sperma, la farina con l’eroina. È un continuo sovrapporsi di immagini in cui si assottiglia la distanza tra salvezza e perdizione. Gino racconta allo scrivano il suo “exit” dalla vita: ed è attorno a questo atto finale che ha indagato Danilo Sciorilli con l’emozionante video animazione che inghiotte tutta la stanza. Sciorilli immagina quel transito convulso, disegnando l’assedio di quel turbinio di linee che ingabbiano la mente, mentre la grande “goccia” prende forma. Nel vortice che risucchia verso la fine, si fa largo anche la figura dell’acrobata, ad evocare la possibilità di un diverso “exit”. Il finale è nel vortice del water, come nelle pagine di Testori. Ma verso dove? E soprattutto verso chi? Su un piccolo schermo scorrono le immagini della “tutankamonica stazione”, riprese oggi, tra gente che arriva e gente che parte. Lì dove, quel giorno, «tutti, al passaggio, scorsero una sorta di luce…». Dice l’artista: «Ho provato a leggere In Exitu, nel suo mix di italiano, milanese e latino oltre che nelle sue troncature, e non ho capito tutto. Nonostante questo ogni volta che lo chiudevo mi lasciava una strana sensazione di malessere, quel malessere esistenziale che mi accompagna a volte la notte quando non ho sonno e non ho modo di mandarlo via. Permane però anche il tentativo di tenere accesa una luce nel petto, una danza flebile ma chiara all’interno di un vortice di buio, la ricerca di una forma di leggera liberazione».
