È «l’imprevista compagna dell’ultimo giorno», scrive il cronista, narratore e testimone, negli “Angeli dello sterminio”. L’ultimo giorno è quello della città non più nominabile, ma che è immediatamente identificabile con Milano. Spiega il cronista all’eventuale lettore: «Forse, questo di stasi e, rispetto a prima, almeno tra noi, di silenzio, è il momento giusto perché ti spieghi chi mai sia la “dame à la flûte”, ovvero la “dame au soleil couchant”, a me, fino a questo pomeriggio, del tutto ignota. Si tratta d’una signora dalle doviziose possibilità, il cui divertimento, o diversivo maggiore, era consistito, durante tutta la vita, nel leggere, fuori da ogni ragione di lucro, le carte e le mani; insomma, il destino». È dalle vetrate della sua abitazione che siamo chiamati ad assistere all’ultimo tramonto. Tramonto la cui luce si confonde con quella dei «terribili incendi che han devastato la città [e che] stanno lentamente spegnendosi». Con le sue capacità divinatorie «dame à la flûte» fornisce informazioni al cronista su quanto sta accadendo. «Se ne sta appoggiata, con la schiena, allo stipite della finestra, la flûte serrata nervosamente tra le dita… con gli occhi puntati sulle rovine». Tra le rovine ci sono anche quelle della Cattedrale. Su questo dettaglio si è soffermato Alberto Montorfano per il suo grande intervento murale a carboncino. Più che una rappresentazione del crollo sembra che sul muro si sia impressa un’impronta delle stesse rovine. La presenza della «dame à la flûte» è evocata dall’anacronistico brillio dell’oro dei calici: ma il loro sontuoso e ardito equilibrio è precario né più né meno di quanto è ormai precario il destino della loro signora.
Nel sottofondo immaginate il
rombo dell’orda, i 50 motociclisti,
metamorfosi dei Cavalieri dell’apocalisse,
pronti a portare a compimento
«l’ordine ricevuto». Tutto schiacciano,
tutto maciullano, compresa
la «dame», che scendendo le scale
«come un fantasma regale» si dispone
senza resistenza a quel destino.
L’atto finale è dentro la Cattedrale
scoperchiata dove i centauri, toltisi
i caschi, assistono all’evento di una
fine che possedeva in sé «la forza di
una sconosciuta apertura».

