“In Exitu” con Roberto Latini alla Biennale Teatro
“In Exitu” alla Biennale Teatro 2021. Lo spettacolo prodotto dalla Compagnia Lombardi Tiezzi con Roberto Latini protagonista e regista andrà in scena al Teatro Piccolo Arsenale il prossimo 7 luglio.
Ripubblichiamo la recensione di Rodolfo Di Giammarco uscita su Repubblica in occasione della prima a Napoli.
Roberto Latini ha risposto all’invito della compagnia Lombardi/ Tiezzi di incarnare In exitu, schegge della vita ai margini di Gino Riboldi, marchettaro eroinomane in limite di genere, lingua, umanità che col dj queer del precedente Cantico dei Cantici condivide una carnalità tenera, sovversiva, incomprensibile ai più. In proscenio, oltre una rete da tennis, un binario di legno evoca lo scenario di una stazione ferroviaria, non luogo di svendita del corpo e di violenza. La scena, immersa in un bianco opaco, è una distesa di materassi su cui Latini si muove senza sosta: sbanda, trema, cammina, cade nel rincorrere il ritmo sgangherato di una lingua «sgrammaticata che perde i pezzi»; lingua contaminata, lacerata e incompiuta perché metafora di vita, mista di latino, italiano e dialetto lombardo. Tra le mani un microfono che è stampella, spada, siringa amplifica le voci in cui l’attore si moltiplica, letteralmente si consuma. Rantoli, reiterazioni, bestemmie, pause che sono apnee negli incubi, nello strazio di un’epidermide crivellata per riempire un vuoto dell’esistenza: Latini, in preda al testo, si fa dominare e lo domina per restituircelo in tutta la sua potenza lirica e distruttiva. La sua è agonia disarmata, Teatro senza sconti, prova sconcertante di autore in quanto attore. Nella città/ bordello Riboldi è cercatore dionisiaco di bellezza contro la normatività: agnello sacrificale di un malessere collettivo e atavico – ma rimosso in nome della morale – di cui l’attore si assume il dolore, la fatica, la responsabilità con un’onestà nuda. Colano trucco e sudore nella tenuta da tennista in tuta e scarpe da ginnastica: il palco è palestra fisica e dell’anima, campo di battaglia all’ultima ferita tra umori corporali e profonde solitudini. Il match tra la vita e la morte è scandito da interventi sonori di beat elettronici e violini elettrici, teatro aumentato nel microfono, luci che come distese di pittura ci calano in un pasoliniano, acre underground. Latini, mordace sperimentatore, interroga palco e platea fino all’ultimo respiro: nel finale, una palla da tennis a grandezza naturale è il servizio pronto a essere lanciato al di là della rete/ proscenio. Può riceverla solo chi lascia ogni appiglio per perdersi nell’altro da sé. Questo forse è quanto di meglio possa succedere a Teatro.
Posted on: 16 Aprile 2021, by : Alessandro Frangi