All’estrema destra della casa, Fatima presenta la sua opera più recente: un film dal significativo titolo di L’Ouvert.
L’Aperto è lo spazio infinito: non vita e non morte, ma i momenti prima della nascita e dopo la morte, rappresentati con uno spazio che accoglie tutto, eterno divenire che trascende il Tempo.
Come anche per gli altri suoi film (tra cui Notturno, presentato alla Biennale del Cinema di Venezia nel 2016 o Tyndall, già proiettato anche a Casa Testori) Fatima usa l’arte come risposta allo sviluppo naturale dei fatti della vita e L’Ouvert inizia a prendere forma con la sua gravidanza. Il titolo è ispirato all’Ottava delle Elegie Duinesi di Rainer Maria Rilke: “La creatura, qualsiano gli occhi suoi, vede/ l’aperto. (…) Lo spazio puro dove sbocciano/ i fiori a non finire”.
La purezza che l’uomo ha poi perduto è lo spazio aperto che Fatima invoca: la nascita diventa uno stato mentale, rappresenta quello spazio.
Nel film, un gruppo di donne racconta la propria esperienza del parto. Fatima si rifà ai racconti dell’antropologo James George Frazer (Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione, 1915) e alle tradizioni popolari italiane e spagnole. È questo un modo per invitarci a partire da una percezione più fisica, vicina al corpo; un atteggiamento di ascolto, a cui l’intera comunità partecipa mettendo in atto una sorta di rito propiziatorio all’apertura, qui rappresentato da una donna che sussurra parole in una lingua straniera (sembra una lingua magica, in realtà è, non casualmente, spagnolo). Fin dalle prime scene essa apre porte, cassetti, mobili, oggetti. La nascita diventa uno stato mentale, qualcosa che apre all’altro e a infinite possibilità: è vissuta da una persona ma appartiene a tutti. Non è maschile né femminile. Mentre le voci raccontano e si alternano a suoni, sullo schermo appaiono a intermittenza i “rayogrammi” degli oggetti: fotografie nate dal contatto diretto con la carta. Nel Dictionnaire abrégé du surréalisme(Dizionario abbreviato del surrealismo, 1938) pare che sia stato lo stesso Man Ray a definirli “ossidazioni di desideri fissati dalla luce e dalla chimica, organismi viventi”. Nel film evocano il balenare del ricordo, mentre allo stesso tempo, proprio perché sono immagini in negativo, ricordano le ecografie.
A Casa Testori L’Ouvert è proiettato nella sala d’angolo, dove altri artisti hanno dipinto su tutte le pareti con accesi colori un “giardino d’inverno”(*): non potevamo pensare a luogo più appropriato nella creazione di quel dialogo a più voci che tanto abbiamo cercato.
La proiezione è completata da un allestimento nella sala adiacente: sul parquet del pavimento sono poggiate delle grandi e fragili uova che paiono uscire misteriosamente dal camino. Potrebbero sembrare anche dei seni, o delle pance con piccoli tratti di cordone ombelicale. Hanno qualcosa di lunare, di cosmico, sono oggetti opachi e fragili. Nell’ultimo giorno di esposizione, Fatima ne regalerà uno a ogni persona che visiterà la mostra, in un rituale che invita a prendersi cura di qualcosa che deve nascere. Completano l’installazione dei fogli trasparenti, che il visitatore è invitato a prendere, su cui sono stampate alcune brevi e semplici formule rituali.








