Erodiàs arriva a Bologna – 20/22 ottobre
dal 20 al 22 ottobre “Erodiàs” di Federica Fracassi con la regia di Renzo Martinelli approda a Bologna ai Teatri di Vita (Via Emilia Ponente 485).
Riproponiamo l’intervista fatta da Daniela Iuppa, studiosa romana, grande conoscitrice di Testori, che ha intervistato Federica Fracassi in occasione dello spettacolo andato in scena a Settembre a Roma.
Erodiàs fa parte del ciclo testoriano dei Tre lai (Cleopatràs, Erodiàs, Mater Strangosciàs): perché tra i tre testi la scelta è caduta proprio su Erodiàs?
Anzitutto mi ha colpito che Testori abbia dedicato alla figura di Erodiade ben tre testi, due in italiano e uno nella sua lingua inventata. Trovo interessante questo personaggio, questo purgatorio: Cleopatràs è l’inferno che ancora non conosce la rivelazione, Mater Strangosciàs il Paradiso che attende la Resurrezione e, nel mezzo, c’è Erodiàs, nel mezzo, nel limbo. Il limbo mi ha sempre attratto perché è molto umano. In Erodiàs c’è un’impossibilità, un non potersi muovere, un dover aspettare e basta, un essere condannati ad aspettare un Verbo che forse non arriverà. È un insieme di possibilità e impossibilità. Mi riguarda molto questo stare in mezzo, anche come donna, anche per la mia età di quarantenne, in mezzo alla vita. E poi volevo incontrare Testori la prima volta nel suo idioletto, subito mettermi nella sfida linguistica più ardita e anche per questo la mia scelta è caduta sul balbettio di Erodiàs.
A proposito di lingua… la lingua dei Lai è tutta musica e invenzione, ma l’impianto è fortemente lombardo: ci vuole coraggio a portarla a Roma… perché questa scelta? Cosa può dare Testori a Roma e, viceversa, Roma a Testori?
Coraggio, sì. Durante le messinscene milanesi in realtà ho avuto un pubblico variegato, da tutt’Italia, e tutti sono riusciti a rimanere agganciati allo spettacolo. Mi fido. Se si riesce a entrare nel lavoro è uno spettacolo caldo, che ti afferra. Non penso che Testori debba essere rappresentato solo in Lombardia. Quando vedo le opere di un autore come Mimmo Borelli per esempio, per me è difficile capire tutte le parole in quell’ impasto di dialetti campani arcaici e contemporanei, poetici e veri al tempo stesso, ma questo non mi impedisce di tuffarmi nel flusso della sua lingua. Anche con Testori stiamo parlando di musica, di poesia, non ci sono confini. C’è una verticalità che richiede un’attenzione a cui siamo sempre meno abituati, questo sì. Ma attira, incanta.
Cos’è stato per te, come attrice e come donna, l’incontro con Giovanni Testori?
Come attrice anzitutto è un banco di prova. Testori devi incontrarlo a un certo punto. Scrive per gli attori, per la carne, per chi è ferito dalla vita. Se non sei in grado di farlo passare nella carne non puoi essere quel tipo di attrice, e per me hai dei limiti, ma questo è un discorso più ampio. In me c’è stata anche tanta incoscienza! Tanto desiderio e tanta incoscienza. La femminilità non è facile nella lingua testoriana, perché la mancanza di una certa violenza, che è propria della donna, può portare a svilire la musica in un dialetto quotidiano semplice, dove queste figure mitiche si rimpiccioliscono e diventano figurine. E invece questa lingua è musica! Quindi occorre mantenerne l’altezza, la forma e insieme incarnarla. L’immedesimazione non basta. Infatti capisco Sandro Lombardi che da uomo ha voluto incarnare le regine mettendole in maschera e tramite una distanza ha trovato la magia, l’equilibrio. Per me c’è stata in realtà una prima tappa intermedia: mesi fa, con la regia di Renzo Martinelli, ho affrontato la lettura dei Tre lai attraversando drammaturgicamente le tre regine, inventandomi il personaggio di un’attrice che tornava a casa la sera sfatta e metteva su dischi di Mina e Ornella Vanoni, tra i pezzi preferiti di Testori, parlava del suo mal d’amore prendendo le parole di Testori a pretesto e tutti mi hanno detto che è stata una scommessa vinta, perché un Testori così al femminile, in questa direzione era una novità interessante. Perché in scena c’era un dolore femminile. Non so se è stata vinta davvero, ma io sono partita da me, non potevo fare altro. Non posso che partire da me.
Qual è stata la difficoltà maggiore che hai incontrato nel lavoro sui Lai?
Il rapporto tra la presenza e la lingua. Questa lingua, volendo, può essere imparata velocemente, la si può imparare come un mantra, ma non basta. Bisogna incarnarla. Devi trovare sul palco qualcosa per essere presente, qualcosa che sia collegato con te, qualcosa che non è psicologico. Si tratta di una violenza primordiale, si tratta di trovare quell’altezza che è anche una forma di generosità. Io ho tanti difetti come attrice, ecco, magari non sono virtuosa, ma generosa sì. Quella di Testori è una forma che bisogna capire, rispettare e vivere. Alla fine, per me, tutto si riassume nella lingua e in questo suo osare. Testori ha osato molto, ha sperimentato molto, ha rischiato molto. Il teatro è rischio, altrimenti non ha senso farlo. Testori ha rischiato sempre. E anche per me il teatro è questo rischio.
Se dovessi indicare una caratteristica inconfondibile, unica, del teatro testoriano?
Testori ha sempre una dimensione molto umana. Una riflessione sulla fragilità umana di fronte al sacro. E non intendo per forza il sacro dei credenti, ma il mistero che è al di la di noi. Testori mette la fragilità dell’uomo di fronte a ciò che è più grande di lui… Il che è molto teatrale, ma in realtà molto teatro di oggi è solo enunciativo, politico. Invece il teatro di Testori è politico dentro, è rivoluzionario, perché mostra l’uomo in lotta, come è stato lui, no? Solo gli attori che vogliono mettersi in questione e che cercano questo travaso e questo travaglio col pubblico, possono incarnare questa lotta. Altrimenti non lo fai, Testori, fai altro. E la regia non è inutile, non avrei tirato fuori quello che ho tirato fuori senza la regia di Renzo Martinelli. Non bisogna rifare le cose come le ha fatte Testori: probabilmente anche lui oggi le farebbe diversamente! Si possono trovare infiniti modi. Sandro Lombardi e Fabrizio Gifuni sono mondi differentissimi, ma in entrambi questa lingua si fa corpo. La lingua si fa carne. Devo vedere immagine e tormento. Esserci con una presenza. Spesso in teatro si cita il famoso qui e ora, ma non accade. Deve accadere. Occorre una presenza. Testori per me è lingua e presenza.
venerdì 20 ottobre 2017, ore 21:00
sabato 21 ottobre 2017, ore 20:00
domenica 22 ottobre 2017, ore 17:00
Intero: 15 euro
Ridotto: 13 euro
Under 30: 9 euro