transavanguardia

Enzo Cucchi, OMAGGIO A TESTORI

Stanza 3


Ma alla pittura non puoi arrivarci per via concettuale, è una posizione così naïf che mi sorprende. Devi sentire il peso, la sostanza della materia, che arriva da un luogo così lontano. È un’abitudine che non ti togli di dosso, un vizio assurdo, come uno specchio al mattino.
Enzo Cucchi

Non è più questione, qui, di pittura, né di grafica o di scultura. La divisione dei generi s’affondata nell’acque mediterranee e da esse risorge come Afrodite o come martire. Ma, risorgendo, essa s’è fatta segno onnicomprensivo; segno – immagine; segno – emblema. Proprio come accade alle incisioni rupestri dei Camuni; ai simboli misterici degli Egizi; ai martirizzati graffiti delle catacombe. Come accadde, altresì, sui muri delle più disperse chiese, ove s’incisero le dediche di devozione o le richieste di pietà e di grazia. Come accade, infine, sui tronchi dei boschi ove, con punte fiammeggianti di brevissime lame, si fermaron, per sempre, i nomi, le date e i cuori degli amori più poveri e desolati.
Giovanni Testori

Enzo Cucchi è nato nel 1949 a Morro d’Alba, un villaggio contadino della provincia di Ancona. Vive e lavora tra Roma ed Ancona, luoghi da cui trae ispirazione per la sua arte. Dopo esordi in ambito concettuale, è approdato alla figurazione, diventando uno dei principali esponenti del nucleo storico della Transavanguardia italiana tematizzato da Achille Bonito Oliva. Nelle opere su tela, accompagnate da numerosi disegni e spesso presentate da testi poetici scritti dall’artista stesso, si riappropria con sguardo visionario del mito, della storia dell’arte e della letteratura (Cani con lingua a spasso, 1980 ed Eroe senza testa, 1981; Sia per mare che per terra, 1980), dando vita a composizioni di grande intensità  simbolica, nelle quali spesso il mondo è rappresentato come campo di battaglia tra due principi opposti.
Dopo le grandi composizioni con l’uso del carboncino e del collage, ha sperimentato l’utilizzo di diversi materiali, tra i quali la terra, il legno bruciato, i tubi al neon e il ferro (nella serie Vitebsk-Harar dedicata ad Arthur Rimbaud e Kazimir Severinovič Malevič) abbracciando nel contempo un uso quasi caravaggiesco della luce, che gli ha consentito effetti di profondità  spaziale.

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