stanza 7

Umberto Chiodi, STANZA DEI VARCHI

Stanza 7

31 Marzo 2010. L’asimmetria delle pareti, la pavimentazione originale in terracotta e la grande finestra che dà sul giardino interno danno all’ambiente un distacco temporale e una luce che mi rimandano ai silenzi dell’infanzia. Questa sala, che Testori adibì a biblioteca e che ora vedo inquietantemente vuota, mi sembra contenere un segreto, è come sospesa e velata. La stanza stessa mi sembra una soglia, un sipario da scostare. Mentre cammino credo di compiere una metaforica invasione nell’organismo, nell’interiorità e nell’anteriorità della casa. Maggio 2010. Ho pensato ad un grande sipario di velluto rosso fissato al muro, leggermente aperto per far intravedere la mancanza di un reale passaggio. Intorno sulla parete, come sospese in un dialogo fra bidimensione e tridimensione, disegno delle figure antropomorfe che rappresentano le tensioni di un disordine pulsionale. Le figure sono come sfingi ai lati di un teatrale varco illusorio. Al centro della composizione nelle opere su carta e nell’assemblaggio, il varco è uno stemma svuotato, privato del simbolo di un ordine politico-sociale o dal contrassegno di una Nobiltà. Una nobiltà intesa soprattutto come Bellezza ed elevatezza. La mancanza effettiva o illusoria di qualcosa di centrale all’interno dell’opera è un’esperienza del vuoto per l’osservatore. L’opera si nega, la visione indotta si nega. Quel varco – foglio bianco o reale sfondamento – equivale ad uno specchio, è il cuore della morte, trascende l’opera stessa.
Umberto Chiodi

L’infanzia come scenario, l’inconscio come orizzonte, assumono nell’opera di Chiodi una temperatura altamente drammatica perché servono all’artista per intavolare un discorso sul viscerale. La visceralità è un modo primario di affacciarsi sul mondo, un sistema di relazioni prerazionali, irrelate e non necessariamente motivate, a diretto contatto con l’immaginario e forte a sufficienza per costruire il discorso. Non necessarie, gratuite, le relazioni di senso che l’immaginario crea hanno a che fare col mondo dell’infanzia una volta assurta quest’ultima a emblema del disordine pulsionale contro l’ordine razionale. Dunque, emblema di uno scontro, di una contraddizione, di una tensione. L’immaginario si oppone, almeno nelle strategie estetiche, ai discorsi dell’ordine, e il lavoro recente di Umberto Chiodi assume l’infanzia facendola diventare da tema implicito intenzione, tensione, che sovrintende alla messa in forma dell’opera stessa.
Giorgio Verzotti

Umberto Chiodi è nato a Bentivoglio nel 1981. Vive e lavora a Milano. Ha esposto per la prima volta nel 2003 all’Accademia d’Arte di Bologna. Nel 2006 ha tenuto la personale dal titolo Asfodelo presso Studio d’Arte Cannaviello di Milano. Nel 2007 ha partecipato alle collettive Arte Italiana, 1968-2007 a Palazzo Reale di Milano, a Dopamine presso Studio d’Arte Cannaviello e ha realizzato la mostra Semplicitas, Duplicitas presso la Galleria Schultz Contemporary di Berlino. Nel 2008 la Galleria Nazionale di Belle Arti di Sofia gli ha dedicato la personale Umberto Chiodi. Nel 2009 si è tenuta Milano la mostra Superfetazione presso Studio d’Arte Cannaviello.

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