Giorni Felici

Katja Noppes, IL GESTO PROVIENE DA UN LUNGO E LENTO MOVIMENTO MENTALE, IN NIENTE ORDINATO, SOLO PIENO

Stanza 19
Invitata da Giovanni Frangi

Equazione di peso (archivio).
Il mio lavoro ha uno scaffale Archivio che è in continuo processo. Non è un lavoro finito né lo sarà mai, piccoli gesti possono spostare, eliminare o sostituire lo spazio occupato.
Hanno la stessa immediatezza di ciò che facciamo con un semplice clic ogni giorno: è un luogo che ordina e archivia, ma a differenza della macchina il gesto proviene da un lungo e lento movimento mentale, in niente ordinato solo pieno.
Egli ospita opere indipendenti e composizioni non ancora collocate.
Il finito e il processo vengono mostrati allo stesso livello: è una scena del desiderio, una scena d’illusione e anche configurazione della visibilità , della trasparenza inesorabile di tutte le cose.
Un giorno si potrebbe immaginare di svuotarlo e mettere il contenuto in una composizione di varie teche, per un ulteriore processo di transcodifica, in un era tecnologicamente avanzata.
Ma questo è la mia visione utopica nell’archiviare materiale che in un futuro sarà  prezioso come matrice per un altro artificio.
I due lavori esposti nella camera studio di Giovanni Testori provengono da questo Archivio.

Katja Noppes è nata a Starnberg (Monaco di Baviera) nel 1967. Vive e lavora a Milano.

Giovanni Hänninen, CITTÀ INATTESA

Stanza 17
Invitato da Gabriele Basilico

Città inattesa è un viaggio in una città ricostruita con pezzi di Milano dimenticati. Una città dormiente, rannicchiata fra grattacieli e grandi opere. È assemblata con luoghi a volte anacronistici, che sembrano aver esaurito la loro missione. Ma anche con edifici che sarebbero ancora in grado di vivere e servire la cittadinanza. È un puzzle di spazi pubblici che ricompongono virtualmente le esigenze primarie del vivere sociale nel mondo moderno.
Incuria, fallimenti, ragioni economiche, motivi politici, progetti abortiti ancor prima di essere compiuti. Sono molteplici le cause che hanno reso questi edifici invisibili e, spesso, rifugio degli “invisibili”.
Non si tratta di periferie di una città in ritirata, ma luoghi sparsi su tutto il tessuto urbano di una metropoli che sfida il cielo con nuove torri. Una Milano assente, troppo distratta dal cementificare ogni vuoto, per ascoltare i silenzi di edifici in attesa di idee e di coraggio. Luoghi che non chiedono di rimanere uguali a loro stessi, ma che sono pronti a trasformarsi adeguandosi a nuove funzioni.
Una lotta silenziosa quella che devono affrontare. Contro il deterioramento che sbriciola piano piano le loro fondamenta e la natura che, quieta, si riprende gli spazi che le sono stati portati via.

Giovanni Hänninen è nato a Helsinki nel 1976. Vive e lavora a Milano.

Kei Mitsuuchi, CARNE MIA

Stanza 16
Invitato da Gianriccardo Piccoli

Kei Mitsuuchi è stata una figura chiave per gli ultimi anni del percorso critico di Giovanni Testori. Lo scrittore ne aveva visto i disegni esposti in una galleria parigina e subito lo aveva spinto a buttarsi su progetti sempre più impegnativi, realizzando un grande ciclo sulla Passione di Cristo. Il percorso culminò nella mostra organizzata nel 1985 alla chiesa di San Carlo al Corso a Milano (oggi tre di quelle grandi tele sono custodite nella parrocchia di San Carlo a Novate Milanese). Kei Mitsuuchi, nato a Kochi, in Giappone, nel 1948, lavora sui temi della Passione facendo della propria immagine il modello per tutti i protagonisti delle scene: un coinvolgimento radicale, potente, che elimina ogni distanza tra l’artista e il racconto dell’episodio.
“Cosa spinge un artista a far di sé l’unica figura possibile per tutte le immagini e le personae che intenda dipingere? – si chiedeva Testori nell’introduzione al catalogo della mostra – Può darsi che, se non l’impossibile risposta, un qualche barlume che rischiari la domanda, magari per ulteriormente illividirla, stia per darlo proprio l’ossessione mitsuuchiana d’essere lui, e lui solo, tutte le figure e tutte le personae della sua cristica tragedia; dato che nessuno, o quasi, lo volle e lo vuole “compagno”; non certo, la societas degli intelletti; che è la più invereconda e prava. L’immensità della solitudine, come potrà popolarla un dannato a vivere in lei e solo in lei? Se, poi, quel dannato (come per sua dolorosa, esplicita affermazione, risulta essere Kei) ha, quale prima molla a significare la propria esistenza, il “bisogno d’espiare”, che potrà accadere? Chi metterà egli alla gogna se non se stesso, ove pur dovesse dipingere un principe o un re?”.

Kei Mitsuuchi è nato nel 1948 a Kochi in Giappone. Dal 1969 si è trasferito a Parigi. Da anni ha fatto perdere le sue tracce e non si hanno più notizie di lui.

Tania Pistone, STRAHLER E ALTRI PROBLEMI

Stanza 15
Invitata da Bertozzi & Casoni

Da quasi quattro anni, vivo in Svizzera nella Bassa Engadina, nel Canton Grigioni. Il luogo è incantano, forse un po’ isolato, ma spesso ispirante, infatti è qui che ho scoperto il mondo degli “Strahler” (dal XVI sec. nella Svizzera tedesca i cercatori di cristalli sono soprannominati Strahler – o meglio cercatori di luce).
Quelli che a prima vista potrebbero sembrare “semplicemente” dei quadri astratti sono in realtà il risultato di stratificazioni, accumulazioni, pensieri provenienti forse, da altri mondi. Come un antico palinsesto medievale, dal quale si intravede ancora quanto in passato era stato scritto e poi raschiato via per essere riutilizzato. In questo particolare gruppo di opere, il cristallo di Rocca svolge un ruolo dominante e diventa elemento simbolico, insieme alla necessità di voler fermare un preciso istante della vita fino a farlo diventare un’opera d’arte. La grafia pura e semplice, non può prescindere dalla necessità di legare all’atto dello scrivere il rimando a qualcosa che si vuole a tutti i costi ricordare, o tramandare – come nel Tentativo di volo di Gino De Dominicis, nel 1970: “Forse perché non sono mai riuscito a nuotare, ho deciso di imparare a volare. Da tre anni infatti, ripeto questo esercizio. Probabilmente non riuscirò mai a volare. Ma se farò ripetere questo esercizio anche ai miei figli, ed ai figli dei miei figli e loro ai propri figli, forse un giorno un mio discendente si troverà improvvisamente a saper volare” –, emerge da sotto la griglia di segni, utilizzando la pittura che ne viene contaminata, in parte organizzando lo spazio, in parte lasciando che il quadro si organizzi da sé.

Tania Pistone è nata nel 1969 a Catania. Vive e lavora a Sent (Svizzera).

Angelo Mangiarotti, LO STADIO “NASSA”

Stanza 14
Invitato da Alessandro Mendini

A pochi mesi dalla morte, Casa Testori rende omaggio ad Angelo Mangiarotti, grande architetto e designer, uno dei protagonisti della Scuola di Milano. È un omaggio che intende sottolinearne le caratteristiche progettuali: una forte carica visionaria unita a una conoscenza quasi artigianale dei materiali. Mangiarotti rispetto agli altri esponenti della Scuola di Milano aveva una vocazione a immaginare e progettare grandi infrastrutture, come in effetti si è realizzato con le stazioni del passante ferroviario milanese. Tante altre idee sono invece rimaste sulla carta, e ce le ha lasciate raccontandole in decine di studi e di disegni che restituiscono in pieno il fascino delle sue invenzioni. Lo Stadio di Catania, che un gruppo di costruttori gli aveva commissionato in vista dei Mondiali di Calcio del 1990, è una di queste invenzioni.
Mangiarotti, capace di trarre forme quasi utopistiche da riferimenti molto quotidiani, per concepire lo Stadio parte dalla forma della nassa, un attrezzo per la pesca a forma di gabbia cilindrica o sferica. Lo Stadio sembra infatti planare sui fogli di carta proprio come un’astronave. È un volume unico e compatto, costituito da una struttura reticolare di tubolari in acciaio con tamponature leggere, opache e vetrate. Quando nel 2008 venne inaugurato lo Stadio Olimpico di Pechino, progettato da Herzog-De Meuron su un concept di Ai Weiwei (il famoso “nido di rondine”), tanti chiamarono Mangiarotti complimentandosi perché quella sua idea futuribile di vent’anni prima era diventata realtà.
Per la realizzazione di questa stanza è stata essenziale la collaborazione di Anna Mangiarotti e di Kinue Horikawa.

Angelo Mangiarotti è nato a Milano nel 1921. Muore a Milano nel 2012.

Marco Cirnigliaro, AFFECTUS

Stanza 13
Invitato da Matteo Negri

Prima di essere una “disposizione” o un “sentimento” che si prova verso gli altri, affectus è un uomo che è intimamente colpito da quel che gli è esterno, è interpellato, chiamato in causa, perché intaccato da quell’oggetto esterno, che lo costringe a prendere posizione e a non essere più quello di prima.
Da qualche anno, mi son messo a lavorare su piccoli taccuini, che mi fabbrico io, tutti del medesimo formato, su cui traccio i miei schizzi con la Bic nera.
I soggetti? Le persone, specie giovani, con cui lavoro, le persone che incontro in luoghi pubblici dove mi capita di trovarmi, note, sconosciute o a me care. In particolare, mi accade sovente di entrare in tante chiese, da quella sotto casa al Santo Sepolcro di Gerusalemme, e lì disegno il punto centrale del tempio: mi siedo su una delle panche di mezzo e sto a guardare l’oggetto che mi sta davanti, sia esso la pala o il crocifisso, o anche, why not?, uno dei miei supereroi.

Marco Cirnigliaro è nato nel 1959 a Milano, dove vive e lavora.

Annachiara Lodi, TUTTI QUELLI CHE CADONO

Stanza 12
Invitata da Marco Signorini

Humani nihil a me alienum puto.
Una dozzina di immagini discrete possono parlare più che una lunga convivenza. C’è Amanda Knox, Bill Zeller, Aaron Lee Ralston, ma non denuncia sociale o volontà di intrigare morbosamente l’osservatore.
Sembrerebbe che il triste sguardo di Madre e sposa si posi – patendo con/per – sulle vicende tragiche e contraddittorie di alcuni volti della cronaca, che solo sotto questa pressione svelano una vicinanza a sé inaudita. Uno sguardo che sembrerebbe quasi comprendere la sofferenza del ragazzo sorridente che ha scritto al mondo di essere troppo solo per continuare a vivere, che si strugge davanti al dolore del nostro tempo, ma che allo stesso tempo ha il coraggio di sostenerlo. Ma sarebbe una fine inguardabile, senza avere negli occhi qualcos’altro.
Cadute e ricadute (come quella del base jumper che dopo essere rimasto sotto un masso per 127 ore e aver perso un braccio non desiste dalla sua pratica); ma la libertà  stessa del guardare alla lapidaria negazione di sé da parte di un altro, espressa in All’autore, fa intuire che la causalità  non esiste, perché se si può “morire” per uno sguardo storto, si può anche essere così fortunati da vedere qualcuno che, pur non essendoci più, oggi genera nella vita di quelli che gli stanno attaccati.

Annachiara Lodi è nata nel 1986 a Milano, dove vive e lavora.

Aleksander Velišček, “BENVENUTI IN TEMPI INTERESSANTI”

Stanza 11
Invitato da Andrea Bianconi

Mi piace pensare alle scale che congiungono i due piani di Casa Testori (dove erano collocati i miei dipinti) come metafora dei due piani alla base del mio processo pittorico: l’ostinazione e l’indagine.
La pittura è continua stratificazione materica (l’ostinazione) che si addensa giorno dopo giorno sulla tela, rivelando (come un’indagine) espressioni, concetti e sensazioni di forme e colori. Parafrasando Francis Bacon: “bisogna cercare di impacchettare un sacco di cose in ogni singola pennellata”.
Tra le opere esposte a Giorni Felici si trovava un lavoro paradossale: il ritratto del mio amico Kresnik, un piccoletto a cui voglio gran bene, raffigurato come fosse un gigante di cinque metri. Omaggio necessario a una persona cara con cui ho condiviso gli anni di studio a Venezia.
Il piacere, assieme all’eccitazione e la smaniosa ricerca di successo e popolarità sono invece il fulcro degli ultimi lavori.
L’intenzione era di portare a galla gli stridori vacui della realtà quotidiana. I desideri più irragionevoli del contemporaneo hanno sostituito quelli naturali. Viviamo il nostro tempo come un “teatro dell’assurdo”: ci sentiamo protagonisti e allo stesso tempo estranei al dramma collettivo della società moderna. Parlo di politica e di potere – quello economico certo, ma anche quello mediatico delle immagini, raffigurazioni ormai devote esclusivamente alla mercificazione di massa. Cerco di muovermi come un equilibrista su quella linea sottile sospesa nel vuoto che divide finzione e realtà. Voglio caricare di materia e veleno le tele ed i volti dei miei personaggi, nel tentativo di rendere solidi e pericolosi i miei ideali.

Aleksander Velišček è nato nel 1982 a Šempeter Pri Gorici, (Slovenia). Vive e lavora tra Nova Gorica e Venezia.

Wouter Klein Velderman, PAMPERING INDUSTRIES

Giardino
Invitato da Massimo Uberti

Il lavoro e i materiali che uso hanno da sempre caratteri industriali: mezzi di trasporto, strumenti di storaggio, tele di pvc, legni, metallo, oppure oggetti ready made come scaffalature, un mulino a vento, un muletto.
Ciò nonostante, le opere sembrano fragili, vulnerabili. Pur trattando questi materiali con grande cura e amorevoli attenzioni, le sculture possono suscitare nello spettatore sensazioni anche fastidiose. Un camion enorme sembra sul punto di collassare su se stesso, un portapacchi completamente imballato funge da insolito espositore per invendibili “prodotti maniacali”, una scala mobile si è adagiata mollemente su una spiaggia, invece di scavalcarne le dune…
Ponendo l’arte in spazi pubblici, l’artista ha la possibilità di raggiungere un numero potenzialmente infinito di spettatori; molte persone osserveranno la sua opera, senza che l’artista abbia alcuna relazione con questo suo pubblico. Ciò significa che l’interazione e la profondità di approccio tra l’opera e ciascuna delle persone che la vedono sarà diversa. Nella mia ricerca, queste contrapposizioni sono il punto di partenza; gli spazi pubblici e i materiali con cui lavoro i miei attrezzi.

Wouter Klein Velderman è nato a Deventer (Olanda) nel 1979. Vive e lavora ad Amsterdam.

Luca Scarabelli, NON SI TRATTENEVA MAI ABBASTANZA A LUNGO DA POTER CONTARE GLI ALBERI NEL BOSCO

Stanza 9
Invitato da Giancarlo Norese

Ci sono le luci delle stelle e il buio che le circonda. Il bosco non si vede, non c’è.
L’attenzione è posta sulla capacità di proiettarsi al di fuori da sé per prendersi un nuovo punto di vista. L’ambiente che ospitava i lavori è particolare, per la sua conformazione e per i rimandi al suo recente passato. La visione era di costruire un racconto considerando questo spazio non neutro, come un’immagine nomade, in cui il gioco della rappresentazione della realtà è spostato sul piano mentale, in una dialettica che mi piaceva pensare come sfioramento, con un avvicinarsi al senso, lento e sommesso. Univo differenti linguaggi e raccontavo di gravità, di caduta, di attrazione, di respiro, ma anche di uno sguardo da parte della natura sull’uomo e viceversa. Sono forme simboliche quelle che ho scelto di usare, dall’archetipo del cerchio, al dipinto in bianco e nero che rappresenta uno schermo, pronto a ricevere le immagini da un possibile avamposto nello spazio, che le fa rimbalzare qui, per costruire un racconto fatto di contraddizioni e codici da decifrare. Un riquadrare che non ha una direzione precisa; la scelta di come presentarlo può variare e non lo condiziona, può essere messo anche sottosopra senza scalfire la sua sostanza. Il suo centro è vuoto ma è pieno di spazio, è un’assenza in attesa degli eventi dell’immaginazione. È anche uno spazio di riflessione e di raccoglimento, un’area in cui lo sguardo può anche riposare. C’è da prendere la mira per catturare e costruire le cose, c’è bisogno dell’attesa e del silenzio per essere precisi. Solo lì sul bordo esterno della costruzione, occorre stare lì, statuari, concentrati, anche se instabili. Forse il solo pensiero è già un’opera.

Luca Scarabelli è nato a Tradate (VA) nel 1965. Vive e lavora tra Como e Varese.

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