Stanza 7
“Il rapporto che Disler stabilisce col visitatore è una chiamata e, nello stesso tempo, una lotta; un abbraccio e, nello stesso tempo, una tortura. Questo è talmente vero quando cerchiamo di voltar via gli occhi per difenderci da una così affascinante spira: in quel suo chiamarci e trascinarci dentro il risucchio. Allora, piano, piano, sedotti da una bellezza pittorica che ha, oggi, pochi uguali, cominciamo a capire che, al fondo di quel delirio e di quella lotta, Disler sta rintracciando anche per noi i termini di un ordine arcano e misterioso; quell’ordine che sopravvive alle frantumazioni e al caos; quell’ordine che, proprio tramite i segni e i colori, compie su di sé la prova estrema e sacrificale della sua inevitabilità”.
Era il 1987 e Giovanni Testori, recensendo sul Corriere della Sera la personale dell’artista svizzero (1949-1996) allo Studio d’Arte Cannaviello di Milano, riconosceva in lui una delle voci più significative della pittura europea degli anni Ottanta.
Martin Disler (1949-1996).