Stanza 6
“Il mondo cambia. Superfluo documentare un fatto così grave e così esteso: cultura, costumi, ordinamenti, economia, tecnica, efficienza, bisogni, politica, mentalità, civiltà… Tutto è in movimento, tutto in fase di mutamento. Perciò la Chiesa è in difficoltà”.
È l’inizio di un discorso drammatico che Paolo VI pronunciò l’11 settembre 1974 nel corso di un’udienza del mercoledì a Castelgandolfo. “Che cosa rimane della nostra religione? Che cosa rimane della Chiesa?”, si chiedeva il Papa constatando l’avanzare di una modernità che scavava un abisso dietro di sé. Solo Pasolini colse la novità di quel discorso: “un fulmineo sguardo dato alla Chiesa dal di fuori”, lo definì. Il 22 settembre lo scrittore pubblicò sul Corriere un intervento intitolato I dilemmi di un Papa oggi e nel pannello presentiamo la copia dell’originale, arrivato via telescrivente da Roma alla redazione milanese di via Solferino. È l’intervento ripubblicato in Scritti Corsari con il titolo Lo storico discorsetto di Castelgandolfo.
Pasolini non aveva mai nascosto la sua simpatia per Paolo VI: “Egli soffre quello che soffro io”, aveva confidato al giornalista inglese Peter Dragadze. “Ciò che rende simpatico Paolo VI è la sua tormentata intelligenza: e il fatto che egli non abbia qualità esteriori di gradevolezza e, appunto, di simpatia, fa quasi tenerezza”.
Quanto a Paolo VI è molto significativa la reazione che ebbe alla notizia della morte di Pasolini. Questa la testimonianza resa da monsignor John Magee, uno dei segretari del Papa, al giornalista Andrea Tornielli: “Ricordo il giorno in cui alla tv annunciarono la morte di Pasolini. Monsignor Macchi esclamò: ‘Ah! Vedi il Signore ha il modo…’; Paolo VI rimase immobile. Macchi spiegò che cosa aveva fatto quest’uomo, secondo lui a danno di tanti giovani. Il Papa si alzò, c’era ancora sullo schermo un’immagine di Pasolini: ‘Requiem aeternam dona ei Domine’ – disse, tracciando un segno di croce: ‘Adesso preghiamo insieme per questa anima infelice’. Questa fu la sua reazione”.