casa testori

Daniela Peracchi, MICRO-MACROCOSMO

Stanza 6
Invitata da Adrian Paci

Quando sono entrata in Casa Testori mi è sembrato di visitare tanti piccoli microcosmi intimi collegati tra loro grazie a delle porte molto strette. Nella mia stanza ho percepito questa riservatezza come se potessi proiettare la mia immagine in tutti i punti.
Cos’è la famiglia se non questo. L’insieme di tutte le proiezioni emotive dei componenti, racchiusi in intimità in un piccolo macrocosmo.
Lo stesso rapporto genitoriale crea tanti piccoli microcosmi del loro stesso essere.
Noi figli siamo genitori e individui unici allo stesso tempo; cresciamo con la convinzione che saremo diversi ed esploriamo il mondo facendo affidamento solo su noi stessi, ma cosa siamo se non un microcosmo derivato dall’unione di due macrocosmi?
Proveniamo tutti da una madre e un padre, tutti siamo il risultato di due geni diversi.
Mi sorge quindi una domanda: perché noi figli non dovremmo essere semplicemente un continuo di un fluido, il passaggio del testimone di un qualcosa di sensoriale che muta al passaggio di un corpo attraverso diversi linguaggi di espressione?
Io lavoro con la mia famiglia proprio per questo: sono un microcosmo che guarda nel loro mondo e scardino quella campana di vetro costruita per una gerarchia educativa trasformandomi in genitore e figlio allo stesso tempo. 
Agisco su mio padre e mia madre perché voglio rompere il vetro della campana in cui mi rifletto.

Daniela Peracchi è nata ad Alzano Lombardo (BG) nel 1990. Vive e studia a Milano.

Caterina Silva, RÈCIT

Stanza 5
Invitata da Enzo Cucchi

A story? No. No stories, never again.
Cosa succede alla Cosa quando viene detta? Vive? Muore?
È possibile immaginare una forma aperta che superi l’inadeguatezza del linguaggio nel definire il reale, pronunciando ma allo stesso tempo tenendo in vita senza distruggere?La mia ricerca esplora pittoricamente i limiti linguistici del dicibile. I segni che uso non sono rappresentativi, documentano un tempo, una realtà. Le immagini non sono la narrazione di un evento, ma l’evento stesso. Chi guarda ha il compito o la possibilità di costruire la sua personale visione.
Il progetto per Casa Testori è il tentativo di generare un Mistero attraverso l’alternanza di luce e di buio, di gravità e di grazia.

Caterina Silva è nata a Roma nel 1983.

Angelo Barone, RIMEMORA

Stanza 4
Invitato da Turi Simeti

I miei tre lavori esposti a Casa Testori si muovevano sul territorio delle visioni, sull’incapacità di percepire le forme nella loro realtà, sono quindi lavori sulla perdita, sulla sparizione.
La scultura Macula posta sul pavimento ricordava la forma di un luogo, allude a una architettura allungata, alle “navi” di Cattolica. Essa è sacrale, murata, misteriosa, irraggiungibile.
Il lavoro Casamatta, della serie fotografica esposta ad Amsterdam, è la tappa di un percorso alla ricerca di luoghi attraverso la rete, è traccia di un viaggio immateriale dove la fotografia cerca di catturare l’immagine senza l’esperienza dello sguardo diretto sulla realtà, l’architettura viene solamente evocata.
Il terzo lavoro, Ora incerta, aveva per soggetto un’architettura che si riduce a una citazione di se stessa, nell’incapacità  di emergere in superficie. Essa rimaneva sospesa e ambigua sotto un velo che ne occlude la visione.

Angleo Barone è nato a Modica (RG) nel 1957. Vive e lavora a Milano.

Branko Jankovic, “NOTHING’S GONNA CHANGE MY WORLD”

Stanza 3
Invitato da Massimo Kaufmann

“Images of broken light,
which dance before me like a million eyes,
that call me on and on across the universe”

Il mio lavoro è istintivo, ed è emotivo. Non so mai cosa esce fuori. Io voglio essere sorpreso. Voglio che l’immagine mi superi e che io stesso mi trovi a domandarmi da dove viene e che cosa sia. Fare un quadro è come fare una lunga passeggiata, senza sapere dove arrivo e scegliendo sempre vie sconosciute, perdendomi spesso negli angoli bui della mia mente e ritrovandomi un attimo dopo illuminato dalle luci nervose delle macchine frettolose. Si procede fino ad un punto, punto in cui mi accorgo che il lavoro funziona. Quel punto è sempre misterioso e raggiungerlo è fonte di enorme soddisfazione. Un passo dopo anch’io sono spettatore (mai oggettivo), trovo spesso in un quadro le diverse emozioni vissute. La pittura è un’esperienza emotiva. Il quadro è una concentrazione di energia, spesso incontrollabile.Il titolo è preso dalla canzone Across the Universe dei Beatles, anche se l’idea mi è venuta ascoltando la bellissima cover fatta dai Laibach. La canzone viene definita “cosmic ballad”. Mi piace l’idea che un’emozione possa essere personale, universale e anche cosmica. Mi piacciono le opere d’arte che hanno questa tendenza, anche se solo nella testa dell’artista. Anche quando rappresentiamo i frammenti è importante ricordare sempre che tutte le cose nell’universo sono collegate. Nikola Tesla diceva: “Tutto ciò che vive è legato a un rapporto profondo e meraviglioso: l’uomo e le stelle, l’ameba e il sole, il nostro cuore e la circolazione di un numero infinito dei mondi”. 

Branko Jankovic è nato a Belgrado nel 1978. Vive e lavora a Milano.

Mary Pola, SALDATURE

Stanza 1
Invitata da Leonora Hamill


Mi ritrovo a sperimentare e a ricercare anche attraverso la scultura la Forma e la Materia.
Ho un’affinità epidermica con materiali come le lamiere e i barili, materiali grezzi, pesanti e poco malleabili. Oggi, anche in scultura, scelgo il ferro. Il perché di questa scelta sta nel semplice fatto che lavoro con l’intento di tirar fuori da un elemento considerato “pesante” la sua leggerezza. La potenza emozionale che riesce a trasmettere nel solo osservarlo, attraverso la stessa ruggine e le sfumature che da essa ne derivano, crea una sorta di dipendenza… È una continua scoperta.
Con le sculture ho voluto lavorare su spessori e profondità, giocando con gli equilibri e la dinamicità delle forme, dello stesso materiale, con semplici sovrapposizioni, utilizzando elementi molto lineari. Ho voluto lavorare su aspetti più nascosti della materia stessa, come la leggerezza e la linearità. Con la riduzione delle dimensioni delle sculture, con un gioco di profondità e chiaroscuri e di tagli orizzontali ho cercato di trovare la luce. Una luce che dà quel senso di leggerezza ad una scultura che di per sé è fisicamente “pesante”. Proprio saldando delle lamine, finemente tagliate, a una distanza calcolata riesco a ritrovare e a far filtrare la luce. Una luce che affiora attraverso la materia e che dà un senso a chi la scorge anche di “scoperta”.
Spesso, lavorare su un progetto già da me prestabilito, fa in modo che io sia guidata da una forma verso un’altra in modo istintivo ma affatto casuale. E così che alla fine realizzo un’opera (in questo caso scultorea) che parte da un’idea e finisce con il comprendere un insieme di miei atteggiamenti e sensazioni che poi cerco di trasmettere al mio interlocutore.
Il prodotto finale risulta ai più un oggetto comunque imponente quanto elegante nonostante la scelta del materiale, il ferro, del colore, la ruggine, dell’imperfezione propria della materia e dei punti di saldatura lasciati in alcune opere evidenti sottolineano il lavoro manuale.

Mary Pola è nata nel 1975 a Tempio Pausania (OT). Vive e lavora a Foligno.

PASOLINI A CASA TESTORI

Pasolini a Casa Testori

Una mostra che ha già conquistato la critica. È la prima volta che a Milano si possono vedere i disegni e i quadri di Pasolini, e vederli nel contesto suggestivo di Casa Testori è oltremodo affascinante. L’opera eterogenea di Pasolini rappresentata in mostra con oltre cinquanta dipinti e disegni, scritti autografi e una nutrita selezione di corrispondenza inedita, è distribuita nelle sale della casa natale di Testori, per offrire uno spaccato esaustivo delle diverse espressioni del genio pasoliniano e un suggestivo
affresco delle infinite pieghe espressive del suo animo inquieto. Nelle stanze al piano terra otto nuclei cronologici e tematici documentano la ricchezza e la profondità intellettuale dell’artista. Al piano superiore, otto film in loop costruiscono un’istallazione visiva e sonora in grado di suggerire un’immersione totale nell’iconografia del grande regista e di far apprezzare le pellicole in versione integrale.

Pasolini a Casa Testori 20 Aprile-1 Luglio Novate Milanese (MI) – Largo A.Testori 13, incrocio tra via

Dante e via Piave. Mostra a cura di Davide Dall’Ombra e Giovanni Agosti. Orari: Martedì – Venerdì 18-22, Sabato 10-23, Domenica e festivi 10-20, Chiusura: Lunedì.

Scuole e Gruppi (min 15 persone) aperture anche fuori orario, su prenotazione, con guida Ingresso: 7 euro.

INGRESSO A 5 euro:

Studenti, tesserati Touring, insegnanti, over 65, per chi raggiunge Casa Testori con Trenord (presentando biglietto o abbonamento) o presentando il biglietto di una delle esposizioni di fiera Milano.

Per ulteriori informazioni e prenotazioni vai qui

Luca Pignatelli, MEMORIA E MATERIA NELLA CASA DI TESTORI

Stanza 2
Invitato da Julia Krahn

Per il mio ingresso nella casa di Giovanni Testori ho voluto portare due sole opere, che parlano di me e di lui. Questo Eroe appartiene a un ciclo a cui sto lavorando negli ultimi anni e che parte dal libro di Heinrich Wolfflin, Come fotografare le sculture. L’intento è quello di lavorare con le carte ridipinte sulla statuaria classica; grazie al medium della fotografia, la statua diventa un dipinto e questo mi permette di avvicinarla. Spesso la collocazione museale non rende giustizia all’opera, me la rende sfuggente, m’impedisce quella visione d’insieme che è necessaria per vederla veramente. La pittura cerca di rispondere a questo bisogno, riassumendo in sé tutti i punti di vista necessari e liberando la forza che l’opera vorrebbe esprimere.

Per la seconda immagine ho pensato a Testori, al suo essere un poeta tragico, ed è la prima volta che lavoro in modo serio, sereno e pensoso sul teschio umano. Diversamente da come avviene di solito, non sono partito dalla pagina di un libro, ma ho fatto scattare una foto ad hoc che avesse la composizione, la forza e l’ombra che avevo in mente. È un lavoro che mi riporta indietro, alla mia formazione, quando dipingevo architetture caratterizzate da bucature scure, da questi rapporti tra buio e luce. Guardavo all’amato Bellotto e alle sue ombre, dove le immagini emergono potenti grazie a zone assenti, a cavità. In questo caso si tratta di un cranio umano e, come per i bucrani di animali, a dominare è il mio rapporto privilegiato con il nero. Come nella scrittura, i colori si riducono al minimo, perché quelli che dominano sono i colori dell’assenza: le sfumature del grigio, i colori lunari che portano fin quasi al monocromo, alla grisaille. La tavola è un supporto che non uso mai, ma che mi riporta anche questa ai miei primi lavori, quando dipingevo sulle masoniti rovesciate e sui legni trovati. E poi lavoro sempre sui temi del tempo e della memoria, per questo amo i materiali che hanno avuto una loro storia e che ne portano la traccia.

Luca Pignatelli è nato nel 1962 a Milano, dove vive e lavora.

FINALE DI PARTITA

Stanza 7

Sulla morte di Pasolini si sono versati proverbiali fiumi d’inchiostro, date alle stampe innumerevoli pubblicazioni, disegnati persino fumetti. Non sembra possibile né interessante propendere per una delle interpretazioni, interrogarsi, più del dovuto, sui mandanti o abbracciare le teorie di chi sembra aver perso il senno dal dolore, tanto da consacrare la propria vita all’ipotesi che sia stato lo stesso Pasolini a pianificare la sua morte. Si è scelto di non perdere il filo rosso dell’attività pittorica e grafica di Pasolini per concludere con un grande disegno, indecifrabile e oscuro. Il soggetto, verosimilmente il profilo scosceso di una collina spoglia, come quelle che appaiono nei film di Pasolini, in Porcile o in Teorema, è ripetuto serialmente, con poche varianti, in un reticolo ordinato. I pochi confronti possibili rendono difficile una datazione, da immaginare alla fine degli anni ‘60, ma la piccola frase posta al margine, “Il mondo non mi vuole più / e non lo sa”, sembra fatta apposta per aumentare tutte le domande destinate a restare senza risposta. Un analogo senso di silenzio e drammaticità è trasmesso dal grande ritratto fotografico catturato durante una pausa sul set de Il fiore delle mille e una notte (1973). Un silenzio rotto da un coevo contrappunto: la voce lucida e forte di Pasolini che esprime le sue preoccupazioni per le città e per gli uomini del suo tempo. È la seconda parte di un corto, prodotto dalla RAI, Pasolini e… la forma della città, diretto da Paolo Brunatto nell’autunno del 1973 e trasmesso il 7 febbraio 1974. Anna Zanoli, nella sua rubrica, Io e…, chiede ad alcuni intellettuali di raccontare un’opera d’arte che amano: Pasolini sceglie di parlare delle città di Orte e Sabaudia, difendendo la necessità di preservare l’integrità del paesaggio ma anche denunciando l’affermarsi di un nuovo fascismo destinato a scardinare l’uomo più di quanto ogni progetto politico abbia fatto finora. L’ultima parola è lasciata al padrone di casa: A rischio della vita è il ricordo che Giovanni Testori volle scrivere poco dopo la morte di Pasolini su L’Espresso. È il documento di una totale immedesimazione umana, resa possibile dalla profonda consonanza che, ultimamente, Testori avvertiva con Pasolini.

ROBERTO LONGHI

Docente di Storia dell’Arte Medioevale e Moderna a Bologna dal 1934, Roberto Longhi tiene nel 1940-41 un corso sui Fatti di Masolino e Masaccio: nella piccola aula siede il diciassettenne Pasolini, “che dimostrava almeno tre anni di meno”. Le proiezioni delle lastre (antenate delle successive diapositive) accompagnate dalle spiegazioni di Longhi svelano al giovane Pasolini la possibilità di contrapporre tra di loro “forme” in modo dinamico. È la “fulgurazione figurativa” che detterà le sue ricerche letterarie e cinematografiche senza alcuna soluzione di continuità per tutta la sua carriera. Mosso dalla profonda stima cresciuta nel corso di queste lezioni, Pasolini decide, incoraggiato da Francesco Arcangeli, di domandare a Longhi la tesi di laurea (agosto 1942). Le due lettere qui riprodotte testimoniano le proposte avanzate dal giovane e l’indirizzamento di Longhi verso l’arte contemporanea. Com’è noto, Pasolini perderà i capitoli del suo elaborato nei giorni convulsi dell’armistizio dell’8 settembre 1943, dovendo ripiegare su una tesi dedicata a Giovanni Pascoli, discussa con il professor Carlo Calcaterra solo nel 1945. Dal 1951, pubblicando su Paragone. Letteratura Il Ferobedò, poi confluito in Ragazzi di vita (1959), Pasolini avvia un’intensa collaborazione con la rivista e stringe un rapporto d’amicizia e grande ammirazione reciproca con Longhi e la moglie Anna Banti, responsabile dei numeri di letteratura, che uscivano alternati a quelli di argomento artistico. Il riconoscimento di Pasolini nei confronti del suo maestro si espliciterà solo dopo la morte del critico (1970) e assumerà le dimensioni di un ampio omaggio figurativo: una serie di almeno 16 grandi ritratti, realizzati a partire dalla foto riprodotta sul cofanetto del Meridiano dedicato al critico e curato da Gianfranco Contini nel 1974. Nel novembre dello stesso anno Pasolini ribalta a specchio la fotografia, “assimilata alla direzione obbligata dell’ego” scrisse Contini, e comincia una prima serie di cinque disegni. Solo nell’ottobre 1975 la serie sarà arricchita da almeno altri 12 disegni, eseguiti nella casa fatta costruire nella torre di Chia, vicino a Viterbo, e realizzati in una sorta di performance documentata dalle foto di Dino Pedriali, chiamato a diventare, con i propri scatti, parte integrante dell’opera.

PASOLINI E PAOLO VI

Stanza 6

Il mondo cambia. Superfluo documentare un fatto così grave e così esteso: cultura, costumi, ordinamenti, economia, tecnica, efficienza, bisogni, politica, mentalità, civiltà… Tutto è in movimento, tutto in fase di mutamento. Perciò la Chiesa è in difficoltà”.
È l’inizio di un discorso drammatico che Paolo VI pronunciò l’11 settembre 1974 nel corso di un’udienza del mercoledì a Castelgandolfo. “Che cosa rimane della nostra religione? Che cosa rimane della Chiesa?”, si chiedeva il Papa constatando l’avanzare di una modernità che scavava un abisso dietro di sé. Solo Pasolini colse la novità di quel discorso: “un fulmineo sguardo dato alla Chiesa dal di fuori”, lo definì. Il 22 settembre lo scrittore pubblicò sul Corriere un intervento intitolato I dilemmi di un Papa oggi e nel pannello presentiamo la copia dell’originale, arrivato via telescrivente da Roma alla redazione milanese di via Solferino. È l’intervento ripubblicato in Scritti Corsari con il titolo Lo storico discorsetto di Castelgandolfo.
Pasolini non aveva mai nascosto la sua simpatia per Paolo VI: “Egli soffre quello che soffro io”, aveva confidato al giornalista inglese Peter Dragadze. “Ciò che rende simpatico Paolo VI è la sua tormentata intelligenza: e il fatto che egli non abbia qualità esteriori di gradevolezza e, appunto, di simpatia, fa quasi tenerezza”.
Quanto a Paolo VI è molto significativa la reazione che ebbe alla notizia della morte di Pasolini. Questa la testimonianza resa da monsignor John Magee, uno dei segretari del Papa, al giornalista Andrea Tornielli: “Ricordo il giorno in cui alla tv annunciarono la morte di Pasolini. Monsignor Macchi esclamò: ‘Ah! Vedi il Signore ha il modo…’; Paolo VI rimase immobile. Macchi spiegò che cosa aveva fatto quest’uomo, secondo lui a danno di tanti giovani. Il Papa si alzò, c’era ancora sullo schermo un’immagine di Pasolini: ‘Requiem aeternam dona ei Domine’ – disse, tracciando un segno di croce: ‘Adesso preghiamo insieme per questa anima infelice’. Questa fu la sua reazione”.

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