casa testori

I QUADRI DI TAZZOLI

Stanza 4

«I giovani atleti nudi dipinti da Testori […], attraverso una lunga storia di incroci, di mutazioni, di arricchimenti cromosomici, discendono dal Bacchino malato o dal Narciso del Caravaggio, mettendosi accanto ai giovani saltimbanchi di Picasso epoca rosa e blu e con affinità spirituali più fonde accanto ai clowns ed ai forains, alle cavallerizze ed alle prostitute di Rouault, alla loro quasi animalesca volontà di lotta e capacità di resistere, di incassare i colpi […]. La bellezza di questa pittura non può essere colta per interno se non si avverte ch’essa rappresenta un atto di salvazione e dà forma ad un atto di fede nella vita delle cose amate, cose appunto, ed ad un atto di partecipazione alla loro ineliminabile malinconia.
Questi giovani atleti nudi rappresentano lo stato d’innocenza dei ragazzi di vita del 
Dio di Roserio, del Fabbricone, delle storie del Ponte della Ghisolfa, cioè le figure in cui si chiudono, quasi in attesa di nascere, se un gesto di verità  e di amore li libera dal limo. Nella Grecia dei tempi d’oro gli artisti compivano lo stesso miracolo, ma senza lasciare un posto all’uomo. I giovani atleti nudi prendevano la forma degli eroi e degli dèi. Una forma che per Testori è soltanto speranza, anzi malinconia e fame. I suoi giovani restano sulla terra, questa terra, in mezzo a noi. Sono nervi e muscoli, carne che può gareggiare e può amare ed essere amata, e cedere alla fatica, e cadere smemorata nel sonno. Morire ogni giorno
Luigi Carluccio, 1971

Nel 1971 Testori espone a Torino, nella Galleria Galatea di Mario Tazzoli, il gallerista a cui
spetta la prima mostra di Francis Bacon in Italia e mercante di fiducia della famiglia Agnelli.

ERODIADE

Stanza 3

«Nel nostro caso la testa del Battista è diventato l’oggetto, il simbolo, il mondo dell’infinito dolore e della più disperata disperazione. Testori si è assunta la parte, accanto a quella dei carnefici, di strappare la testa del Battista con tutti i suoi fili, con la carne e soprattutto il sangue. In effetti, il disegnatore è riuscito così bene in quest’opera di dissezione e di immedesimazione da lasciare lo spettatore nelle mani dell’artista che diventa creatore, sia pure creatore nella morte. Ma l’album di questi disegni ha anche una forza divinatoria, nel senso che prelude a quella che sarà dopo il 1968 l’evoluzione di Testori, la sua straziante discesa agli Inferi. Lungo tutti questi anni Testori ha in qualche modo sfidato il suo e nostro Dio, nel tentativo di ripetere la storia stessa della Creazione: si è fatto attore e vittima, si è fatto padrone e servo. Ma procedendo sempre insieme, in fondo senza separazioni di parti e di ruoli: da quella testa sacrificata ha saputo estrarre il moto della vita, quel doppio registro dell’attesa e della sconfitta che il poeta Testori pratica con lucidità ma anche con molta oscurità
Carlo Bo, 1987

Nel 1968, durante la stesura del dramma teatrale Erodiade, Testori disegna con la stilografica un gran numero di Teste del Battista straziate da uncini e deformazioni: nove occupano alcune pagine del quaderno manoscritto, lasciandosi incorniciare dal testo, altre 72, realizzate su quaderni analoghi, vanno a costituire una serie numerata.
L’anno dopo, passando dalle teste umane a quelle animali, riprenderà a dipingere a olio. Il ciclo delle 72 teste venne presentato al Centre Georges Pompidou di Parigi nel 1987, in occasione della messa in scena dello spettacolo.

LE ROSE DI SAINT SULPICE

Stanza 2

Sebbene la coerenza non fu una dote coltivata da Testori, è un dato che il distacco dai pennelli fu definitivo per molti anni. Dalla Crocifissione del 1949, se si escludono i rari disegni che compaiono nei quaderni manoscritti, Testori sembra infatti non provare più interesse per la pittura e il disegno per circa quindici anni.
Ma alla metà degli anni Sessanta, proprio dalla scrittura, rinasce impetuosa la sua passione per il disegno, che lo porterà  a realizzare alcuni drammatici “ritratti” di rose in disfacimento e, dal 1967, una serie di acquerelli e grandi disegni dedicati al tema del tramonto segneranno il ritorno del colore.
Quella del 1949 si dimostrò solo una lunga battuta d’arresto e la vicenda pittorica di Testori, lontana ormai dal drammatico epilogo di via Santa Marta, ricominciò impetuosa e torrentizia per non arrestarsi più, fino alla fine.

L’INCENDIO DI VIA SANTA MARTA

Stanza 1

Negli anni Quaranta Giovanni Testori (1923-1993), prima ancora che come scrittore, è noto ai più come un pittore e critico realista, solidale con l’esperienza della scuola milanese uscita da “Corrente”, compagno di strada di Morlotti, Cassinari e Guttuso. Anche i suoi interventi come critico militante sono dettati dalla necessità di trovare, innanzitutto per sé, una strada percorribile nel realismo italiano, capace di andare oltre la folgorazione picassiana, dopo averla attraversata.

Le quattro stagioni 
Dopo la partecipazione ad alcune mostre e premi, Testori realizza, nel 1947, un ciclo di quattro affreschi dedicati alle stagioni, per la sala da pranzo della casa del fratello Giuseppe a Novate, di cui si conservano anche i cartoni usati per lo spolvero, la tecnica di riporto del disegno sull’intonaco fresco.

Le Vele di San Carlo
Nel 1948, grazie all’amicizia con padre David Maria Turoldo, Testori ottiene il permesso di realizzare quattro affreschi, rappresentanti i simboli degli evangelisti, nelle vele della cupola presbiterale della chiesa di San Carlo al Corso. Ma il 10 settembre dello stesso anno, il Priore dei Padri Serviti responsabili della Chiesa invita una “Commissione mista, delle Belle Arti e dell’Arte Sacra” per un giudizio sugli affreschi, che personalmente non apprezza.
La Commissione dichiara che, nonostante gli affreschi avessero “dei pregi artistici” sono in contrasto con l’ambiente della Basilica. Testori fa subito le sue rimostranze sostenendo che difenderà la sua opera “a mezzo dei giornali cittadini”. Malgrado qualche voce si sia alzata in sua difesa, i più sono concordi sull’incongruenza dell’intervento e, il 23 giugno 1949, la cronaca del convento registra che gli affreschi sono stati coperti con vernice ad olio.

L’epilogo
La delusione di Testori è forte tanto da alimentare un’insoddisfazione crescente per la propria ricerca pittorica. Per Testori, evidentemente, poco valgono la realizzazione della straordinaria e innovativa Crocifissione (1949), qui posta in cima allo scalone, e l’allestimento della sua prima personale alla Galleria San Fedele di Milano (1950).
Di lì a poco, si arriva al drammatico epilogo: un grande rogo nel cortile della casa di Via Santa Marta, dove Testori aveva il suo studio. Un incendio distruttore con il quale dar fuoco a tutti i dipinti realizzati fino a quel momento e ancora presso di lui.
Con questo gesto Testori abbandona la pittura, buttandosi a capofitto nella scrittura, come critico
d’arte nel segno di Roberto Longhi e come narratore de I segreti di Milano.

8 FILM PER 8 STANZE

Il primo piano di Casa Testori è stato trasformato in una piccola multisala. Nelle otto stanze, in contemporanea e senza pause, su grandi schermi al plasma, scorrono otto film di Pasolini. Ogni stanza è come “abitata” da un film, annunciato dal relativo manifesto all’ingresso. Una semplice tenda di simil velluto rosso è messa a protezione dell’audio, ma anche dell’intimità di ciascuna saletta di visione.

La scelta dei film è stata imposta dal numero delle stanze, dalla mancata concessione dei diritti – una stanza era già pronta per Il Vangelo secondo Matteo (1964) – o dal costo fuori portata richiesto per averli. Nonostante questi vincoli, la sequenza delle stanze è emersa con un percorso ordinato e sorprendente: nell’ala sinistra della casa tre film della prima metà degli anni Sessanta, Mamma Roma (1962), La Ricotta (1963) e Uccellacci e uccellini (1966). Nell’ala destra, cinque film a partire da Teorema (1968), passando per la Trilogia della vita – Il Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972), Il fiore delle Mille e una notte (1974) – per finire con Salò o Le 120 giornate di Sodoma (1975).

PREMIO MARIUCCIA PARACCHI

A cinquant’anni dalla scomparsa di Mariuccia, grazie alla generosità della famiglia, viene indetto il Premio Mariuccia Testori Paracchi, destinato a sostenere l’attività di un giovane artista emergente.

Luca DoninelliRicordi come nacque la tua passione per l’arte, per la letteratura?
Giovanni TestoriAvevo una cugina che dipingeva. La mia famiglia e quella del fratello di mio padre abitavano nella stessa casa, in due appartamenti separati ma comunicanti. Mi regalava sempre, fin da quando ero bambino, libri e libretti dedicati ai pittori (prima, però, strappava le immagini troppo ardite, come le Veneri e altre cose del genere).Questa cugina era maggiore di me di circa dodici anni e io andavo ogni giorno a trovarla, nel salottino dove lavorava, e in silenzio seguivo le fasi del suo lavoro: dai primi schizzi a penna ai disegni fatti a carboncino e da questi all’esecuzione finale, quando i colori schizzavano dai tubetti. Ero stupito tanto dalla materia quanto dalla volontà di costruire che c’era in lei. Faceva nature morte, paesaggi, e anche alcuni bellissimi ritratti.

Entrando in Casa Testori, l’ingresso e la grande scala dividevano i due appartamenti: a sinistra, sopra e sotto, viveva la famiglia di Edoardo e della moglie Lina, genitori dello scrittore Giovanni Testori, di Piera, Giuseppe, Marisa, Lucia e Gabriella; a destra viveva lo zio Giacomo con la moglie Giuseppina Rusconi e i figli Angela (Angiùla), Angelo e Mariuccia, la cugina di cui parla Testori in questa intervista del 1992. Mariuccia Testori (1911-1962) si dedicò presto alla pittura e al disegno, arrivando a partecipare ad alcune esposizioni collettive alla Permanente di Milano negli anni Trenta; la sua produzione è ristretta a pochi anni, tra il 1935 e il 1942. Mariuccia, che si era sposata con Piero Paracchi, dopo la nascita della seconda figlia, Anna (1941), si era dedicata alla famiglia. In seguito ebbe altri tre figli: Giacomo, Marta e Letizia. Testori rimase riconoscente tutta la vita verso l’amata cugina, così importante per la sua precoce fascinazione per il colore e la pittura, ma anche testimone di una totale dedizione all’alveo famigliare, così importante per la storia di questa casa, e per lo scrittore.

Il premio è stato vinto da Aleksander Velišček, scarica qui il comunicato.

Filippo Timi, “INZIPIT AMBLETI TRAGEDIA”

Special Guest

Il 16 gennaio 1972 andava in scena al Teatro Pier Lombardo L’Ambleto. Non solo si alzava il sipario su un nuovo spazio che ancor oggi è tra i più importanti della scena milanese, ma iniziava anche un sodalizio straordinario tra un autore, Giovanni Testori e un attore, Franco Parenti. C’era un qualcosa di sovversivo in quel binomio che irrompeva nella Milano di quegli anni. Uno scrittore di impronta cattolica e un attore di fede comunista rompevano tutti gli schemi aprendo spazi di appassionante riflessione nel tessuto ferito della Milano di quegli anni. L’Ambleto, a dispetto della novità e dell’anomalia del testo, fu un successo clamoroso, che segnò l’inizio di un sodalizio straordinario. Anni dopo L’Ambleto è stato riportato in scena da un altro grande protagonista del teatro italiano: Sandro Lombardi, con la regia di Federico Tiezzi. Anche in questo caso il successo è stato straordinario. E ora, a quarant’anni da quell’esordio, sarà Filippo Timi il terzo Ambleto? L’attore perugino, reduce da una serie di spettacoli che hanno sbancato il botteghino, per Casa Testori si è cimentato in un primo assaggio, interpretando il memorabile incipit del testo e la sua voce profonda e inconfondibile risuona per le stanze della casa (come risuonava quella di Sandro Lombardi in occasione della prima edizione di Giorni Felici). Quello che tutti ci auguriamo è che sia davvero un inizio. Un grazie va ad Andrèe Ruth Shammah, che quarant’anni fa aveva firmato la regia del primo Ambleto, e anche oggi ha “preso per mano” Filippo Timi in questo inizio di percorso testoriano.

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Filippo Timi è nato a Perugia nel 1974. Vive a Milano.

Gaia Carboni, INCIDENZE

Stanza 20
Invitata da Stefano Arienti

Il progetto pensato per questa stanza esprime una riflessione concernente due differenti elementi, riuniti, però, sotto lo stesso segno; uno è legato alla tecnica dell’incisione, nei suoi diversi aspetti processuali, l’altro si riferisce al ruolo della luce nell’incisione stessa e quindi alla sua percezione attraverso la ponderazione di diverse dimensioni spazio-temporali. La processualità propria dell’incisione viene apparentemente interrotta nell’opera Phos III. Essa, benché rimasta in forma di matrice, lascia spazio alla luce che insediandosi nei segni incisi, come se fosse inchiostro, fa emergere il paesaggio rappresentato, che a sua volta, tra le corrosioni e le inflorescenze che il tempo ha lasciato sull’alluminio, si sottopone. Tale discorso si ripresenta nell’opera site-specificAbete dove il segno inciso viene percepito sempre grazie a essa. Tale opera catapulta all’interno della stanza l’abete presente nel giardino di Casa Testori ed è il motivo principale per cui ho scelto questa stanza: l’albero in questione è esattamente centrato nella finestra che viene percepita, di conseguenza, come inquadratura perfetta di un elemento molto affine nella struttura architettonica alle forme che rappresento. La virtualità di questo soggetto che si astrae dal suo contesto introduce la dimensione metafisica dei tre disegni Dark I, II e III, in cui la luce non è più fisica ma interamente mentale ed è espressa attraverso l’uso della penna nera e quindi dell’inchiostro, che si staglia sulla superficie metallica dei cartoncini che imitano la lastra di incisione.

Gaia Carboni è nata a Torino 1980. Vive e lavora a Fidenza.

Katja Noppes, IL GESTO PROVIENE DA UN LUNGO E LENTO MOVIMENTO MENTALE, IN NIENTE ORDINATO, SOLO PIENO

Stanza 19
Invitata da Giovanni Frangi

Equazione di peso (archivio).
Il mio lavoro ha uno scaffale Archivio che è in continuo processo. Non è un lavoro finito né lo sarà mai, piccoli gesti possono spostare, eliminare o sostituire lo spazio occupato.
Hanno la stessa immediatezza di ciò che facciamo con un semplice clic ogni giorno: è un luogo che ordina e archivia, ma a differenza della macchina il gesto proviene da un lungo e lento movimento mentale, in niente ordinato solo pieno.
Egli ospita opere indipendenti e composizioni non ancora collocate.
Il finito e il processo vengono mostrati allo stesso livello: è una scena del desiderio, una scena d’illusione e anche configurazione della visibilità , della trasparenza inesorabile di tutte le cose.
Un giorno si potrebbe immaginare di svuotarlo e mettere il contenuto in una composizione di varie teche, per un ulteriore processo di transcodifica, in un era tecnologicamente avanzata.
Ma questo è la mia visione utopica nell’archiviare materiale che in un futuro sarà  prezioso come matrice per un altro artificio.
I due lavori esposti nella camera studio di Giovanni Testori provengono da questo Archivio.

Katja Noppes è nata a Starnberg (Monaco di Baviera) nel 1967. Vive e lavora a Milano.

Giovanni Hänninen, CITTÀ INATTESA

Stanza 17
Invitato da Gabriele Basilico

Città inattesa è un viaggio in una città ricostruita con pezzi di Milano dimenticati. Una città dormiente, rannicchiata fra grattacieli e grandi opere. È assemblata con luoghi a volte anacronistici, che sembrano aver esaurito la loro missione. Ma anche con edifici che sarebbero ancora in grado di vivere e servire la cittadinanza. È un puzzle di spazi pubblici che ricompongono virtualmente le esigenze primarie del vivere sociale nel mondo moderno.
Incuria, fallimenti, ragioni economiche, motivi politici, progetti abortiti ancor prima di essere compiuti. Sono molteplici le cause che hanno reso questi edifici invisibili e, spesso, rifugio degli “invisibili”.
Non si tratta di periferie di una città in ritirata, ma luoghi sparsi su tutto il tessuto urbano di una metropoli che sfida il cielo con nuove torri. Una Milano assente, troppo distratta dal cementificare ogni vuoto, per ascoltare i silenzi di edifici in attesa di idee e di coraggio. Luoghi che non chiedono di rimanere uguali a loro stessi, ma che sono pronti a trasformarsi adeguandosi a nuove funzioni.
Una lotta silenziosa quella che devono affrontare. Contro il deterioramento che sbriciola piano piano le loro fondamenta e la natura che, quieta, si riprende gli spazi che le sono stati portati via.

Giovanni Hänninen è nato a Helsinki nel 1976. Vive e lavora a Milano.

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