casa testori

Piero Pizzi Cannella, BON À TIRER

Stanza 4

La produzione incisoria di Piero Pizzi Cannella, esponente della Scuola di San Lorenzo, può essere considerata come una sintesi del suo fare artistico, innanzitutto per la ripresa dei soggetti tipici del suo linguaggio espressivo, che nell’essenzialità del segno e dell’assenza di colore ne estremizzano le caratteristiche archetipiche. Sono oggetti domestici, sottratti dal contesto e dalla loro funzione e assurti a icona, accompagnati, talvolta, da una frase o da una parola sibillina. Attraverso la tecnica dell’acquaforte e del carborundum, sotto la guida sapiente della Stamperia d’Arte Albicocco di Udine, il segno acquista maggiore o minore precisione e consistenza, diventando affilato come la punta di una freccia oppure facendosi di velluto nel lampadario o nel collier.

Piero Pizzi Cannella nasce nel 1955 a Rocca di Papa (RM).

Elisabetta Falanga, L’ALTRO LIVELLO DELLA TERRA

Stanza 3

Ho osservato le scarpe di alcuni malati. Le loro suole erano poco usurate, a volte intonse”.

Elisabetta Falanga è partita dall’esperienza della malattia, dalla convivenza quotidiana con essa. Si è resa conto che esiste una distanza dal mondo, non soltanto nell’assenza di contatto con le persone, ma anche, e soprattutto, con il suolo. L’artista ha riprodotto e riadattato la stanza di un malato, introducendo in modo prepotente ciò che definisce questo isolamento: la terra, che segna un nuovo orizzonte e, contemporaneamente, l’assenza di un orizzonte. Un ambiente claustrofobico, in cui, ancora una volta, il contatto con l’elemento naturale è impedito, mediato da una fredda lastra di vetro.

Il progetto è stato realizzato nell’ambito di Mentorship, promosso da Sisal e dall’associazione Art for Business, per guidare giovani artisti nello sviluppo delle loro idee creative con il sostegno di due maestri: Marco Ghezzi e Paolo Rosa, fondatore di Studio Azzurro, scomparso improvvisamente nell’agosto 2013.

Marco Basta, ERRATICO

Stanza 2

Una traiettoria ideale collegava l’ingresso della casa con il giardino. Marco Basta ha reso evidente questo passaggio, portando l’esterno all’interno e creando un’ulteriore soglia. I suoi Giardini, disegnati su feltro, erano una mappatura sentimentale di luoghi da lui attraversati, che, situati in angoli o spazi di passaggio, delineavano una nuova geografia. Il tessuto, prodotto dalla fabbrica Testori, è stato tagliato su misura delle porte di Casa Testori, ma poi riadattato a quelle dello studio dell’artista: diventando così un varco che non consente l’accesso solo alla stanza successiva. La contiguità con l’esterno era sottolineata anche dall’uso di un elemento in pietra abbandonato nel giardino di Novate Milanese, che acquistava la funzione di base per una scultura: un vaso, un’ostrica? I fossili di ostrica erano considerati, in antichità, orecchie di esseri mitologici e, nel presente, diventano un invito all’ascolto dell’interno.

Marco Basta è nato nel 1985. Vive e lavora a Milano.

Marija Sevic, CULTURE NON STOP

Ingresso

Nata come intervento di denuncia da collocarsi davanti al Museo d’Arte Contemporanea di Belgrado, chiuso dal 2007, la scritta al neon di Marija Sevic, sulla facciata di Casa Testori acquista un’accezione positiva. Si trasforma nell’indicazione di un luogo che vuole essere un punto di riferimento aperto e accessibile, giorno e notte. Il richiamo alle insegne luminose delle attività commerciali sottolinea come la cultura possa essere non elitaria, disponibile sempre e per tutti. Una metafora che riassume, e illumina, la missione di Casa Testori.

Marija Sevic (1987)

GIARDINI SQUISITI

Massimo Kaufmann e Maria Morganti
Un progetto di Associazione Giovanni Testori
Casa Testori
4 Aprile – 11 Maggio 2014

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QUELL’ABBRACCIO DI COLORI
Davide Dall’Ombra

Ed è pur vero che le due camelie in giardino fioriscono quando i termosifoni sono ancora accesi.
Dire primavera a Casa Testori significa riaprire porte mai chiuse, allestire una nuova mostra intorno al cuore pulsante delle due associazioni che la animano.
Mentre si lavora a future esposizioni, visite guidate ed eventi, si avvicendano con sempre maggior frequenza artisti intenti a sbirciare le proprie stanze per un nuovo Giorni Felici ormai alle porte. E sorprende che, ancora una volta, alcuni di loro si contendano la scrivania con il tesista o dottorando di turno, per consultare l’archivio di fotografie e scritti su Giovanni Testori.
Aprire questa Casa al contemporaneo si sta rivelando anche il modo più efficace per mandare in circolo l’opera di Testori, portandolo dove pulsa la vita artistica che lo scopre o riscopre con entusiasmo, dando vita ad una schiera di inaspettati testoriani. Tutto avviene in modo naturale, senza bisogno di committenze o suggerimenti, basta lasciare camminare gli artisti tra queste venti stanze, solo apparentemente vuote.
Questa mostra è l’esito di un’elaborazione condotta in diversi anni di lavoro da due artisti uniti da una profonda sintonia visiva che hanno dato vita a un progetto tenacemente voluto, nato per queste stanze. Massimo Kaufman, autore tra l’altro di un’importante intervista a Testori già nel 1986 e protagonista di Giorni Felici nella sua prima edizione, ha chiamato a raccolta artisti di primo piano nello scenario figurativo italiano, per una stanza destinata a sorprendere e ammaliare. Maria Morgantiha indagato uno dei più importanti libri testoriani, Il gran teatro montano, scoprendo con il critico una sintonia profonda che va ben oltre le apparenze – Testori è stato uno dei più feroci difensori della pittura figurativa – attingendo cioè a quel livello profondo dei “colori oggetti” rintracciati da Testori nell’opera di Gaudenzio Ferrari e Tanzio da Varallo, in cui parole e colore, scrittura e pittura si abbracciano indissolubilmente.

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LA MOSTRA

Il progetto, ideato appositamente per la dimora di Giovanni Testori, ha visto i due artisti occupare il pian terreno con progetti distinti, che si compenetravano in alcuni momenti di contatto e di confronto.
Massimo Kaufmann ha scelto di ricreare un giardino d’inverno, un’opera corale site-specific realizzata grazie alla collaborazione di Stefano ArientiMarco CingolaniGiovanni FrangiAndrea MastrovitoFulvia MendiniKatja NoppesMichela Pomaro e Massimo Uberti, chiamati a dipingere le pareti di una delle stanze. Gli artisti, seguendo le linee guida indicate da Kaufmann, hanno disegnato ognuno una striscia di muro senza conoscere quelle accanto, secondo l’esempio del cadavre exquis, il celebre gioco surrealista.
Maria Morganti ha tratto spunto da Il gran teatro montano di Giovanni Testori e dalle descrizioni delle opere di Tanzio da Varallo e di Gaudenzio Ferrari al Sacro Monte di Varallo. Partendo da questi punti di riferimento, l’artista ha lavorato sul confronto tra colore scritto e colore dipinto, tra parola e opera, attraverso un’analisi attenta del testo che ha dato origine a una stratificazione intensa, in cui diventa difficile definire se il testo abbia preceduto il quadro o viceversa. Il risultato di questo processo è stato una sedimentazione di veli di olio su tele, carte e sculture in rodocrosite e travertino, che occupavano il salone principale e la veranda della casa.

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INFERA MEDIOLANI

Stanza 10

Alla fine degli anni Ottanta, Testori viene coinvolto nel dibattito cittadino per la realizzazione del nuovo cimitero di Novate. Risalgono a questo momento alcuni piccoli disegni di sapore apocalittico che preannunciano il tenore drammatico dei suoi ultimi anni di vita, segnati dalla malattia. Tra il 1989 e il 1993, Testori entra ed esce dagli ospedali, ma questo non allenta di certo la sua vena creativa che, semmai, riceve dalla fatica ancor più energia. È così che, in quegli anni, Testori dà vita a numerosi scritti, spesso solo abbozzati, ma ripresi in mano fino agli ultimi giorni. Nasce in questo contesto una delle sue opere più importanti, pubblicata postuma: I Tre Lai.

Nel giugno del 1991, durante un ricovero all’Ospedale San Raffaele, i manoscritti registrano l’elaborazione di una nuova raccolta di racconti, intitolata Infera Mediolani e, per l’occasione, ricompaiono tra le pagine manoscritte iscrizioni decorate e bellissimi disegni. Torna così il tema caro a Testori fin dagli anni Sessanta: del gennaio 1992 è un bellissimo tramonto realizzato a piena pagina, mentre era convalescente a Varese e a un altro dei ricoveri al San Raffaele, probabilmente nel 1993, risale un ciclo di otto piccoli tramonti, realizzati su cartoncino. Qui l’impetuoso mare di colore, la forzatura delle forme, la ricchezza del disegno e il tassellarsi della materia, si concentrano in poche linee che, solcando il bianco, s’accendono per alleggerirsi.

LE CROCIFISSIONI

Stanza 9

La pena,
mio Cristo,
mio re,
la pena di Te
nel disfarsi di rose
sull’onda che calma
s’ostende!
La pena di Chi
mi pretende
ed esige totale,
imparziale,
spogliato
d’ogni altra attrazione
che non sia la fusione
con lei,
la Tua fame,
con chi non ha pane, con chi non ha spazio
né tempo
per dare respiro
al suo cuore,
con chi non ha amore,
ma strazio,
catene,
dolore!

Giovanni TestoriOssa mea, 1983

Al 1981 risale l’avvio di un ciclo di venti pastelli dedicati al tema della Croce. I primi otto, di formato leggermente inferiore agli altri, sono databili con certezza al 1981, i restanti potrebbero essere stati realizzati in un momento di poco successivo. Testori, con un piccolo disegno a penna, indica anche una possibile disposizione dei disegni, non è noto se per una mostra o per un volume.

MACELLERIA

Stanza 8

«Come decidere a che punto cominciano e dove finiscono, in queste icone al tempo stesse domestiche e rituali – in queste istantanee scattate sullo sfondo d’una duplicità  memoriale nella quale sembrano confluire la solennità  enigmatica dei sacrifici biblici e il frettoloso, rabbioso pragmatismo di Françoise, la cuoca della Recerche, alle prese con una “bestiaccia” che non si decide a morire – il dominio del raccapriccio e quello della pietà , la provincia del desiderio e quella del rifiuto, il comprensorio della condanna e quello del perdono? Che sia impossibile rispondere non è, credo, che la conferma di una complessità che molto prima era stato impossibile non intuire e nella quale precipitano, integrandosi a morte, anche la maestria del segno e l’impronta dei maestri – così fraterni, così fatali, questi, da diventare, in un certo senso, addirittura anonimi, da non essere più identificabili, che ne so, come Courbet o come Bacon, ma soltanto e alla rinfusa, appunto, come “maestri”

In una continua sperimentazione tecnica, con queste opere Testori mette alla prova l’acquerello, qui usato secco fino allo spasimo, tanto da renderlo irriconoscibile. Il reperimento degli animali da ritrarre, ove non possibile in una macelleria, si lega a macabri aneddoti famigliari, fatti di gattacci neri uccisi per l’occorrenza con la carabina e recapitati in un sacco a domicilio, in tempo per far svenire ignare portiere, colpevoli di eccessiva curiosità.

I QUADRI DI IOLAS

Stanza 6

«Credo che pochi artisti italiani portino nella propria figura le stimmate dell’“artista moderno”, come Giovanni Testori. Il suo bisogno fatale di andare oltre, sempre più avanti e lontano, dove nessuno possa sostare con lui: il suo disperato desiderio di conoscere il peccato, la dannazione, il rimorso e il delirio; e la fredda volontà di costruirsi, giorno per giorno, ora per ora, libro per libro, un destino tragico, cosa più moderno di questo? Davanti a una volontà come la sua, ognuno di noi si domanda fino a quando potranno resistere, senza cedere o spezzarsi. Per conto mio, debbo confessare una ammirata avversione. Anche se è ingenuo scriverlo, vorrei che tante energie scatenate a infrangere ogni limite si raccogliessero dentro i limiti che ci sono concessi. Ma cosa cerca, Testori, dietro la forma? Sebbene mi sembri quasi empio parlarne, egli cerca Dio, il cui vero nome sfugge all’arte, come ad ogni filosofia; e il peccato assoluto, il male senza rimedio, che sono ugualmente irrappresentabili con le parole e i loro colori umani
Pietro Citati, 1974

Nel 1974 Testori espone alla Galleria Iolas di Milano, diretta da Alexander Iolas, il grande mercante internazionale di origine greca. Dall’olio passa all’acrilico: in una serie di dipinti quasi monocromi, la materia si fa meno frastagliata. Le grandi figure femminili, sul punto di lasciarsi inghiottire dal fondo bianco, sprigionano la loro forza nella vitalità del sangue.

SCRITTURA PER FIGURA

Stanza 5

«È accaduto a Testori quello che era già accaduto a Victor Hugo, scrivere e disegnare nello stesso tempo. Più precisamente, far nascere insieme parola e disegno, in un giuoco intenso e drammatico di segni diversi ma tutti volti a rendere visibile il volto stesso della poesia.»
Carlo Bo, 1987

Il rapporto tra scrittura e disegno fu per Testori sempre strettissimo e, sfogliando i quaderni manoscritti, si scopre che gli spazi bianchi delle pagine “ospitarono” la vena espressiva di Testori in un periodo in cui, almeno tra il 1958 e il 1964, non sfociava in veri e propri dipinti o importanti disegni autonomi. Dopo alcuni disegni a piena pagina che compaiono nel quaderno della Gilda del Mac Mahon, fu la stesura del poema I Trionfi a spingere lo scrittore a dar vita a numerosi grandi disegni, spesso a tema floreale. In alcune pagine la dimensione del disegno e l’attenzione riservata ai particolari dei fiori, evidentemente ritratti dal vero, sembrano quasi invertire i ruoli, trasformando i quaderni in erbari commentati.
Ma il disegno è il crocevia anche dell’attività teatrale e, addirittura cinematografica di Testori. Un ciclo di dieci disegni testimonia il lavoro dello scrittore che, nel 1970, per la sceneggiatura di un film mai realizzato e dedicato all’Amleto, volle disegnare i costumi, con precise indicazioni dei colori e dei materiali. Il disegno si dimostra insomma al cuore della produzione creativa di Testori, qualunque strada espressiva sia destina a prendere.

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