Stanza 7
Sulla morte di Pasolini si sono versati proverbiali fiumi d’inchiostro, date alle stampe innumerevoli pubblicazioni, disegnati persino fumetti. Non sembra possibile né interessante propendere per una delle interpretazioni, interrogarsi, più del dovuto, sui mandanti o abbracciare le teorie di chi sembra aver perso il senno dal dolore, tanto da consacrare la propria vita all’ipotesi che sia stato lo stesso Pasolini a pianificare la sua morte. Si è scelto di non perdere il filo rosso dell’attività pittorica e grafica di Pasolini per concludere con un grande disegno, indecifrabile e oscuro. Il soggetto, verosimilmente il profilo scosceso di una collina spoglia, come quelle che appaiono nei film di Pasolini, in Porcile o in Teorema, è ripetuto serialmente, con poche varianti, in un reticolo ordinato. I pochi confronti possibili rendono difficile una datazione, da immaginare alla fine degli anni ‘60, ma la piccola frase posta al margine, “Il mondo non mi vuole più / e non lo sa”, sembra fatta apposta per aumentare tutte le domande destinate a restare senza risposta. Un analogo senso di silenzio e drammaticità è trasmesso dal grande ritratto fotografico catturato durante una pausa sul set de Il fiore delle mille e una notte (1973). Un silenzio rotto da un coevo contrappunto: la voce lucida e forte di Pasolini che esprime le sue preoccupazioni per le città e per gli uomini del suo tempo. È la seconda parte di un corto, prodotto dalla RAI, Pasolini e… la forma della città, diretto da Paolo Brunatto nell’autunno del 1973 e trasmesso il 7 febbraio 1974. Anna Zanoli, nella sua rubrica, Io e…, chiede ad alcuni intellettuali di raccontare un’opera d’arte che amano: Pasolini sceglie di parlare delle città di Orte e Sabaudia, difendendo la necessità di preservare l’integrità del paesaggio ma anche denunciando l’affermarsi di un nuovo fascismo destinato a scardinare l’uomo più di quanto ogni progetto politico abbia fatto finora. L’ultima parola è lasciata al padrone di casa: A rischio della vita è il ricordo che Giovanni Testori volle scrivere poco dopo la morte di Pasolini su L’Espresso. È il documento di una totale immedesimazione umana, resa possibile dalla profonda consonanza che, ultimamente, Testori avvertiva con Pasolini.