PERSONA
Filippo Berta e Christian Fogarolli
A cura di Carlo Sala
Casa Testori
9 Giugno – 22 Luglio 2018
PERSONA. IL RAPPORTO TRA INDIVIDUO E SOCIETÀ NELL’OPERA DI BERTA E FOGAROLLI
Carlo Sala
Quando si entra nella casa altrui, non bisogna mai dimenticare le buone maniere e portare rispetto all’ospite, specie nel caso della dimora di Giovanni Testori che permette di accedere ad un microcosmo profondamente legato alla sua storia personale e alla sua ricerca intellettuale. Fa ben capire il legame con i luoghi natali non soltanto il fatto che lo scrittore abbia spesso riadattato alcuni passaggi di grandi vicende letterarie (Amleto, Faust, Edipo) nei territori che scandivano la sua quotidianità, ma che soprattutto la sua opera di studioso, nonostante abbia «perpetrato dei tradimenti», sia rimasta profondamente legata alla «capanna della cultura lombarda». Già percorrendo la strada che dalla stazione ferroviaria di Novate Milanese porta alla casa dello scrittore si intravedono i segni di un universo testoriano che riporta ad una vicenda familiare e intellettuale: una memoria che oggi risulta vivificata anche dalla persistenza nel paesaggio di alcuni elementi, come la fabbrica di famiglia (adiacente alla casa natale) dove perdura tutt’oggi l’attività produttiva.
Progettare un’esposizione di arte contemporanea in un luogo simile, così fortemente connotato, implica attraversare una serie di riflessioni sotto lo sguardo vigile del padrone di casa che, sull’arte del Novecento, aveva una visione precisa, espressa nella sua attività di critico e collezionista. Questo doppio aspetto trova perfetta incarnazione nelle opere che si sono alternate nelle pareti della sua dimora: dalla materia dell’amato Ennio Morlotti, alla ritrattistica esistenziale di Graham Sutherland, fino alla vibrante pittura di Rainer Fetting, membro del gruppo tedesco Die Neue Wilden. Nel momento di scegliere due artisti per il progetto, ho sentito l’esigenza di non pensare ad un omaggio testoriano “ortodosso”, attraverso la ricerca di artisti che perpetuassero una certa concezione della pittura a lui cara; al contrario era per me più stimolante proporre degli autori che trattassero il corpo dell’arte attraverso mezzi diversi dalla pittura, ma in grado di trasmetterne la stessa intensità malgrado la riproducibilità di alcuni lavori, similmente ai giudizi espressi da Testori per le opere di Andy Warhol nelle sue Conversazioni, ossia tralasciando così il problema della «tecnica a priori», ma vedendo l’arte come «una questione di giudizio sul mondo, di conoscenza del mondo». La mostra che ne è nata, Persona, è concepita come un dialogo tra il lavoro di Filippo Berta (Treviglio, 1977) e quello di Christian Fogarolli (Trento, 1983), entrambi improntati ad indagare il rapporto tra l’individuo e la società contemporanea, con particolare attenzione alle varie forme di normatività che tendono ad omologare il singolo e ad incasellarlo in rigidi schemi. Ciò all’ombra della complessa vicenda umana e intellettuale – a tratti contraddittoria – di Giovanni Testori, sospesa tra vita di provincia e centralità nel dibattito culturale nazionale, tra un profondo sentimento cattolico ed il contenuto provocatorio di alcune sue opere, tra il sincero amore per la famiglia e il personificare una condizione sentimentale non incasellabile in quello schema.
La mostra svolge un percorso che è una polifonia visiva sospesa tra installazione e performance, videoarte e ricerca fotografica, dove, in alcuni casi, la dimensione espositiva si nutre degli spunti forniti dalla natura domestica del luogo.
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LA MOSTRA
Nel lavoro di Filippo Berta è la messa in scena di piccoli gesti quotidiani a far emergere la conflittualità e le tensioni insiti nel rapporto tra uomo e società. La serie di video e fotografie è l’esito di performance collettive dove azioni all’apparenza banali assumono un valore allegorico per smascherare il conformismo diffuso: nel dittico Just One (2017) il manto di lana di una pecora – bianco, di una bellezza uniforme – è tosato per allestire un elogio dell’imperfezione. Il tema del fallimento diviene metaforico in lavori come Allumettes 2 (2013), Forma perfetta (2017) o Sulla retta via (2014): quest’ultimo presenta un gruppo di persone che tenta di camminare in fila indiana seguendo il fugace confine tra la terra e il mare definito dalle onde. Una linea che si spezza continuamente evidenzia così l’impossibilità per l’uomo di trovare un equilibrio tra la sua primigenia natura emotiva e l’aspetto razionale necessario all’adesione al corpo sociale. In Déjà vu (2008) la sfida apparentemente ludica del tiro alla corda tra sei coppie di gemelli porta a una riflessione sulla competitività insita al nostro vivere.
Christian Fogarolli, ripercorrendo il rapporto tra arte e discipline scientifiche, indaga il sottile confine tra normalità e devianza insieme al carattere arbitrario delle relative categorizzazioni. Quest’aspetto è particolarmente evidente nel lavoro Leaven (2017), composto da una teca contenente i manuali pubblicati negli Stati Uniti dal 1952 al 2015 per classificare le malattie mentali che rendono palese come, negli ultimi cinquant’anni, un ristretto gruppo di studiosi ha determinano il concetto (assai mutevole) di “normalità” per l’intero genere umano. L’immaginario scientifico si riverbera in vari lavori: dalla scultura Midólla (2017) che trasferisce analogicamente sul marmo un’immagine di inizio Novecento raffigurante il midollo spinale di un malato mentale a Placebo (2018), giocata sulla relazione tra naturale e artifizio, fino a Misura di prevenzione (2017), una installazione che ricorda lo strumento della livella ad acqua usata fin dall’antichità, figurando così il concetto di squilibrio chimico, oggi considerato alla base di alcuni disturbi mentali. Infine, la scultura Loose (2017), dove lo spettatore deve relazionarsi con l’opera per riuscire pian piano a cogliere l’immagine-identità che emerge da un gioco di rifrazioni in una superficie specchiante.
In occasione della mostra, gli autori hanno proposto due lavori inediti sulla base delle suggestioni ricevute dal luogo e dal pensiero testoriano. Christian Fogarolli, nella nuova opera del progetto Stone of madness (2018), si rifà alle credenze di area nordeuropea del tardo Medioevo e Rinascimento (ma anche presenti nella civiltà preistoriche) che imputavano le devianze comportamentali, come follia o stranezza, alla presenza di una pietra nel cranio umano. Il lavoro è composto dalla fotografia analogica di un encefalo con una pietra incastonata al suo interno, una fluorite, che modifica il proprio tono cromatico grazie all’intervento dello spettatore invitato a interagire con uno strumento a luce ultravioletta.
Filippo Berta ha presentato la performance inedita A nostra immagine e somiglianza #2 (2018), secondo capitolo di un trittico che indaga la reazione tra l’individuo e le norme imposte dalle convenzioni sociali e dai dogmi religiosi. Nel corso dell’azione un feticcio-idolo viene usato in modo ludico come un qualsiasi oggetto domestico.
Persona fa parte di Pocket Pair, un ciclo di mostre coordinato da Marta Cereda avviato da Casa Testori nel 2018. Il titolo del ciclo riprende un’espressione del gioco del poker che indica la situazione in cui un giocatore ha due carte, di uguale valore, e deve scommettere su di esse. Allo stesso modo, i curatori scommettono su talenti emergenti, due artiste/i dal pari valore, per dar vita a una bipersonale di elevata qualità, allestita al pian terreno di Casa Testori dove sono liberi di incontrarsi, anche all’interno delle singole stanze, di farsi visita, di dialogare da vicino.