Nascosta

Aldo Rossi, CUCINA

Stanza 6

La caffettiera, tra gli altri recipienti, o apparecchi domestici, si presta particolarmente a diverse trasposizioni, ed analogie con gli edifici e le forme dell’architettura. Particolarmente con cupole, campanili, minareti e non è quasi mai separata da una certa aria o stile orientale o più particolarmente turchesca nel senso settecentesco. È indubbio ma la sua presenza nelle composizioni di interni o nature morte conferisce una solidità dell’immagine che avvicina la composizione al paesaggio e particolarmente al paesaggio urbano dove predominano torri, cupole ed edifici diversi.
Aldo Rossi

Rossi era un po’ diffidente nei confronti dell’industria in generale, ma l’Alessi gli piacque e si lanciò in lunghi studi sugli oggetti per il caffè, diventati nel tempo una specie di ossessione: note, schizzi, fotografie, disegni, progetti di diverso tipo, per Rossi la caffettiera è per eccellenza il simbolo del rapporto dialettico tra l’architettura (o meglio l’urbanistica) e il “paesaggio domestico” in cui questo monumento in miniatura si inserisce. Da questa ricerca sono nate La conica, La cupola, Ottagono e altri oggetti legati al rito del caffè.
Alberto Alessi

Aldo Rossi è nato e vissuto a Milano dal 1931 al 1997.

Sabrina Mezzaqui, FORSE NON SIAMO QUI PER DIRE: CASA, PONTE, FONTANA…

Stanza 5

I lavori scelti per questa mostra sono foto e hanno a che fare con la finestra e col paesaggio.
Quando le parole atterrano, il momento in cui ci arrivano le parole, le parole vengono da noi, entrano e ci parlano, poi parlano attraverso di noi. Le parole arrivano sulla terra e noi le captiamo attraverso i sensi: l’udito, la vista… Come la pioggia che dispone un suo ordine di gocce sul vetro della finestra e il sole che filtra attraverso la tapparella e disegna macchie di luce sulla credenza della cucina.
Segni. Il libro è composto da 60 immagini: foto di uccelli in volo scattate tra il 2005 e il 2009, a cui è stato tolto il colore del cielo, sostituito dalla carta della pagina. Questo lavoro è la visualizzazione della parola contemplare, così come appare nel vocabolario: Contemplare [vc. dotta, lat. contemplari ‘trarre qualche cosa nel proprio orizzonte’, da templum ‘spazio o circolo di osservazione che l’augure descriveva col suo lituo per osservare nell’interno di esso il volo degli uccelli’] (Il nuovo Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli).
Penso ad un brano della Nona Elegia di Rilke, dove dice:
…Forse noi siamo qui per dire: casa,
ponte, fontana, porta, brocca, albero da frutti, finestra,
al più: colonna, torre… Ma per dire, comprendilo bene
oh, per dirle le cose così, che a quel modo, esse stesse, nell’intimo,
mai intendevano d’essere…
Sabrina Mezzaqui

Sabrina Mezzaqui lavora in casa, non in studio, sulle colline bolognesi, a pochi chilometri dalla Vergato di Ontani e dalla Grizzana di Morandi. Anche loro lavoravano in casa, forse una caratteristica dei luoghi. Sabrina lavora seduta al tavolo, taglia, incide, piega, infila, pensa e guarda fuori dalla finestra. Il mondo le passa davanti, sempre mutevole, e lei lo osserva, non credo lo studi: lo vive, piuttosto. C’è molta manualità nel suo lavoro, una volta pensato. C’è molto da fare, il tempo sembra addensarsi. Il suo stesso lavoro è la misura di tutto il tempo di cui l’artista dispone. La vita che passa e che il lavoro scandisce, come la geometrica ripetizione di una litania dalle minime varianti impercettibili.
Massimo Minini

Sabrina Mezzaqui è nata a Bologna nel 1964. Vive e lavora a Marzabotto (BO).

Marco Di Giovanni, LA MIA CASA NON HA PIÙ PORTE

Stanza 4


Ero un ragazzino molto posato e rispettoso. Careful with that axe, Eugene (Pink Floyd, 1968) mi piacque tantissimo, con sensi di colpa. Lasciai la chitarra classica e mi presi la stratocaster.
Probabilmente è solo colpa della pianura se non sono mai riuscito a sentirmi veramente a mio agio nel mio vecchio studio. Quando l’ho lasciato, per amarlo finalmente, gli ho sbragato tutte le porte con l’ascia tipo Jack Nicholson in Shining (Stanley Kubrick, 1980). Mo’ lavoro sull’Appennino.
A volte le persone si appiccicano troppo allo sbrago nelle porte e si lamentano che non si vede niente. Ci vorrebbe sempre un bravo Stalker (Andrej Tarkovskij, 1979. Tratto da Picnic sul ciglio della strada di Arkadij e Boris Strugackij, 1971) come guida per aiutarli ad apprezzare la distanza. Ho sette gradi di miopia e senza lenti posso farlo io.
Marco Di Giovanni

Il futuro sarà in mano a coloro che governeranno l’infinitamente piccolo, la parte invisibile della nostra realtà; in tal modo bisogna convenire che la scienza si è avvicinata in quest’ultimo secolo proprio alle discipline a cui, a torto, è sempre stata contrapposta, ossia la religione e la filosofia, tornando forse a una dimensione arcaica e primitiva, in cui la figura del filosofo, quella del religioso e dello scienziato erano racchiuse quasi sempre in un unica persona.
Ed ecco, questo è il punto rispetto al lavoro di Marco Di Giovanni, ossia il momento in cui la scienza si spinge talmente oltre da tornare al mito, o forse dovrei dire i momenti in cui scienza e mito si sovrappongono, visto che queste due discipline in realtà non sono mai state disgiunte, anche se talvolta non eravamo più in grado di vedere i loro legami. Il momento in cui l’infinitamente grande si confonde con l’infinitamente piccolo, e in cui le normali nozioni di spazio e tempo smettono di funzionare, non esiste passato e non c’è futuro, tutto accadrà ed è già accaduto.
Il centro dell’ultima serie di opere di Marco Di Giovanni è proprio una sorta di indissolubilità tra ricerca scientifica da una parte, e il mito, la leggenda e la poesia dall’altra. Come se le due parti non potessero separarsi…
L’effetto finale di molte sue installazioni ha il sapore proprio di tutta la cultura steampunk, con una potenza immaginifica ed una visionarietà vicina ad esempio a Panamarenko. Si tratta in entrambi i casi di oggetti che sembrano contenere la più avanzata tecnologia, ma fatta con materiali e tecniche totalmente arcaiche, come se arrivassero da un mondo “retrofuturibile” dalla datazione indefinita e indefinibile; potrebbero infatti essere strumenti funzionali di un pianeta di un futuro postatomico, come di un passato antichissimo in seguito al quale è arrivata la nostra civiltà. Oppure potrebbe trattarsi di una sorta di universo parallelo. Di sicuro si tratta di oggetti che nulla hanno a che fare con un qui e ora, con la nostra dimensione spazio-temporale e con il nostro contesto.
Antonio Grulli

Marco di Giovanni è nato a Teramo nel 1976. Vive e lavora tra Imola (BO) e Solarolo (RA).

Arnulf Rainer, CRUX

Stanza 3

Le Crocifissioni hanno il loro inizio negli anni Cinquanta da un interessamento per la mistica, la storia dell’arte e la teologia della croce (Louis Chardon, Giovanni della Croce, Caterina da Siena, Simone Weil, Emil Cioran e altri). Tutte queste opere plastiche non hanno la pretesa di essere figurazioni per spazi sacri. Esse derivano da radici molto personali. […] C’è ancora solo da notare che le controversie pittoriche su “presenza”, “ripresenza”, “rimando” ecc., che per centinaia di anni hanno imperversato nella Chiesa cristiana, da lungo tempo ormai occupano i miei pensieri, giacché fu allora che iniziò il cammino verso l’arte del XX secolo.
Arnulf Rainer

Sanguinante
S’alzò
di viole
un ex-umano arto.
Verso
l’incarbonito legno
si portò.

L’Invincibile
vinto,
l’Invincibile
atterrato
ardeva nella brace
urlando
l’impossibile pace
di chi
eterno
ha amato
colui che
in eterno
essere doveva
solo odiato.

Giovanni Testori

Arnulf Rainer è nato nel 1929 a Baden (Vienna). Vive e lavora tra Vienna, la Baviera e Tenerife.

Elisabetta Tagliabue, MEMORY GAME

Stanza 2

La ricerca nasce dalla necessità di rispondere alla destabilizzazione cui la nostra società, tecnologica e virtuale, ci espone ogni giorno. Il mondo virtuale, infatti, cambia la nostra percezione spazio-temporale, rendendo sempre più pressante l’esigenza di poter mappare, circoscrivere e ascrivere la propria presenza fisica, carnale, in un preciso tempo e spazio.
Tale geografia – quella della propria persona, della propria vita – si costruisce in una relazione affettiva con le cose, i luoghi e le persone. Per questo, strumento privilegiato della ricerca è la memoria. Essa, infatti, àncora il soggetto umano nel qui ed ora e rende possibile un legame costruttivo (e, di conseguenza, creativo) con il mondo. Nel mio lavoro, tale indagine si svolge analizzando luoghi, oggetti e persone attraverso cui diventa possibile la ricostruzione della propria presenza nel mondo.
Elisabetta Tagliabue

Ci sono cose che abbiamo bisogno di ricordare.
Cose importanti che non vogliamo perdere – quasi non possiamo – perché hanno detto o dicono una parte di noi.
Le geografie, piccole carte, invitano a seguire l’artista in una vera e propria esplorazione della memoria resa accessibile dalla stratificazione di fotografia e disegno, planimetrie e brevi appunti. La sosta su un particolare oggetto, l’inclusione o l’esclusione dei dettagli, gli improvvisi cambi di scala e di piano sono i passi di un percorso che articola segni e strutture in spazi capaci di comunicare la vita di chi lo ha abitato.
Se le geografie ripercorrono, i luoghi trattengono.
La modellazione di un’idea ricorrente caratterizza i luoghi, quasi si trattasse di una sequenza di variazioni sul tema. Una definizione segue l’altra, come in una ricerca che torni instancabile sui propri passi per sondare nuovamente il proprio ragionamento. Ad un tratto però, nel dialogo fra memoria e creazione, inspiegabilmente un ricordo ne schiude un altro e la strada prescelta porta in una nuova direzione: W. diventa un pesce, il pesce una mela.
Federico Giani

Elisabetta Tagliabue è nata nel 1985 a Milano, dove vive e lavora.

Emma Ciceri, 14 DICEMBRE 2010

Stanza 1

Il reale vuole essere l’oggetto della mia ricerca. La relazione con esso si manifesta tramite una continua contemplazione: una prolungata, silenziosa e meditativa osservazione di qualcosa dal suo interno.
Lavoro con gesti semplici di selezione del reale che uniti ricreano una realtà parallela. Mi interessa la vicenda umana, il singolo e la moltitudine.
Sono alla ricerca continua di individualità nella folla, questa è il pretesto per l’osservazione continua e ravvicinata di simili.
Partecipo a raduni, concerti, funerali, manifestazioni con una videocamera in mano. Prendo parte agli eventi mimetizzandomi nella moltitudine, ciò mi consente di indagare i gesti, i corpi, le manifestazioni di piccole tensioni dell’individuo. La folla è il pretesto, l’evento è il contenitore dell’umano da osservare, seguire, registrare; il corpo è l’involucro di un’interiorità che si manifesta.
Tensioni, emozioni assumono forme ed aspetti molteplici nella dialettica tra soggettività e moltitudine, affermazione di sé e appartenenza ad un gruppo.
Emma Ciceri

Il lavoro di Emma Ciceri può rappresentare una replica alla retorica dell’anonimato della grande città .
In occasione di una manifestazione studentesca, Ciceri ha ripreso la piazza e i suoi movimenti, la sua inarrestabile energia.
Con la sua capacità  di cogliere i movimenti e la stasi, la luce che incide e che accentua, con i colori saturi e la dilatazione temporale che immette nel girato, la strada si rivela essere una vitale platea per gli individui.
Ma nelle sue immagini, dei ragazzi che per un attimo emergono tra la folla, notiamo soprattutto l’intensità  sempre unica dell’espressione, gli atteggiamenti concentrati pur nel caos, l’aspetto e i gesti che presiedono agli incontri e alle relazioni, così intimamente connessi a stati emozionali.
Il comportamento sociale si svela nella sua complessità: in parte espressione inconsapevole, plasmata dall’agire collettivo, dal fatto di partecipare ad un grande rito di massa; in parte frutto di cura e di consapevole attenzione: un recitare la propria parte e offrirsi agli sguardi altrui che risponde a codici e a convenzioni, ma può prendere forme bizzarre.
L’effetto è cinematografico, ma senza nulla di aneddotico, di sentimentale.
La microritualità che emerge dal video rientra nel grande, complesso spettacolo della vita quotidiana ed esprime la nostra polifonica società di individui.
Gabi Scardi

Emma Ciceri è nata a Ponte San Pietro (BG) nel 1983.

Estate a Casa Testori

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Casa Testori ha organizzato due importanti incontri nello splendido giardino e nel salone della casa:

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Il Mio Pasolini

Uno dei più importanti attori del teatro italiano si confronta con lo scrittore più amato e controverso del’900.
Attendendo la grande mostra del 2012 dedicata a Pasolini in Casa Testori, l’Associazione Testori ha proposto uno spettacolo di Sandro Lombardi con Sandro Lombardi e Francesco Colella dal titolo: Il mio Pasolini.

Un’antemprima dello spettacolo sulle colonne del Corriere della Sera.

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Cattedrali

La seconda tappa dell’estate a Casa Testori è stata la presentazione del nuovo libro di Luca Doninelli dal titolo: Cattedrali.
L’incontro che si è svolto l’1 luglio nel salone della casa con la presenza dell’autore e del grande fotografo milanese Gabriele Basilico, già ospite di Casa Testori tra gli artisti della prima edizione di Giorni Felici, e a cui si deve l’immagine della copertina del libro.
Lo scrittore Milanese, all’interno del suo ultimo libro compie un viaggio in nove Luoghi che assumono la stessa valenza delle Cattedrali Medievali. Il percorso inizia dalla Basilica della Natività di Gerusalemme e prosegue con grandi magazzini di Harrods, la Grande Piramide, la Città Proibita, la Sagrada Familia, il Grand Central Terminal, il Forum des Halles, concludendo con il Duomo di Milano.

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