Mostre Passate

SEGNI DI ME. Il corpo, un palcoscenico

Opere di: Margaux Bricler, Binta Diaw, Zehra Doğan, Iva Lulashi, 
Giorgia Ohanesian Nardin, Iman Salem
In dialogo con: Carol Rama e Giovanni Testori
A cura di: Rischa Paterlini con Giuseppe Frangi
Casa Testori
2 Aprile – 25 Giugno 2022
Progetto grafico: CH RO MO/Roberto Montani. 
Fotografie: Michele Alberto Sereni

LA MOSTRA
Dopo l’esperienza della mostra “Libere Tutte” del 2019, Casa Testori ha proseguito il percorso dedicato a quella che Lea Vergine aveva ribattezzato “l’altra metà dell’arte” e ha aggiunto un tassello alla storia scritta da molte artiste femministe sul finire degli anni ‘60 affrontando con più radicalità temi legati al corpo e all’entità.

SEGNI DI ME. Il corpo, un palcoscenico” presentava sei giovani personalità artistiche nate tra il 1985 e il 1995, chiamate a relazionarsi con una grande figura del recente passato, Carol Rama. Al centro dei loro lavori vi era la relazione con il corpo che diventava terreno proprio dell’espressione artistica. Nelle stanze di Casa Testori entrano opere potenti e talvolta provocatorie che insistono su esperienze soggettive, criticando la dolorosa eredità del sessismo, della violenza e di altre strutture di potere della cultura contemporanea. Sono stati lavori che hanno fornito nuove e preziose intuizioni sia sull’arte storica che su quella contemporanea. La mostra è stata concepita come fosse una pièce teatrale, grazie all’aiuto di una vasta gamma di mezzi tra cui dipinti, sculture, performance, disegni e fotografie. Un ottavo protagonista è entrato poi in scena, il padrone di casa Giovanni Testori, con una serie di grandi disegni della metà degli anni ‘70 che avevano per soggetto il corpo femminile.

A cura di Rischa Paterlini con Giuseppe Frangi, la mostra ha portato nelle stanze della dimora di Novate Milanese oltre a Carol Rama e Giovanni Testori, anche le opere di Margaux Bricler, Binta Diaw, Zehra Doğan, Iva Lulashi, Giorgia Ohanesian Nardin, Iman Salem.

Intrecciando l’erotismo della pittura di Iva Lulashi, la sensualità delle fotografie di Binta Diaw, le deformate figure di Zehra Doğan, le sculture o sfingi di Margaux Bricler, figure animalesche, femminili e demoniache, la lunga performance dal vivo di Giorgi Ohanesian Nardin a e le fotografie di Iman Salem, con le opere storiche di Carol Rama e di Giovanni Testori, la mostra metteva in scena racconti in cui si mescolano carnalità e passione. Il corpo nell’essere rappresentato si oggettualizza: in tale meccanismo è insita la critica diretta non solo ai cliché visivi a cui siamo abituati, ma anche alle modalità di fruizione da essa generate. Le giovani personalità artistiche invitate, evidenziando l’impegno in chiave di rivendicazione del corpo e andando oltre l’eredità storica del femminismo, hanno sviluppato opere di grande intensità, generando un incontro-scontro che trova ulteriore riflessione laddove ogni elemento presente è frammento di corpo su un palcoscenico vuoto. Questi frammenti di opere-corpo permettono di ottenere equilibri di notevole intensità formale ed estetica molto coinvolgenti per i visitatori.

La mostra è nata dalla suggestione delle parole impresse sull’invito che, nel 1995, l’artista afro-americana Kara Walker realizzò per la sua prima personale a New York alla galleria Wooster Gardens/Brent Sikkema, “The High and Soft Laughter of the “Negress” Wenches at Night”, che recitavano così: «Non perdetevi l’incredibile “storia di carta” di una negra in schiavitù che narra la sua straordinaria fuga verso la libertà». Parole, queste, messe in relazione a quelle di un articolo che Giovanni Testori scrisse nel 1979 per la prima pagina del Corriere della Sera, “La vergogna dello stupro”: «Non vorremmo che, come va succedendo per altre vergogne e per altri delitti, a furia di parlarne, scriverne e discuterne, senza mai assumere la responsabilità di un gesto, si finisse, insomma, per abituare l’uomo a ciò che non è umano. L’abitudine a tutto è uno dei rischi più grandi che l’uomo sta correndo; ad esso sta inducendolo la spinta negativa che vuol ridurlo a “cosa”. Ora il punto d’arrivo di questo rischio non potrà essere una nuova coscienza, ma il buio e la notte che s’aprono sulla coscienza eliminata o distrutta».

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IL PROGETTO
Le stanze al piano terra di Casa Testori sono state dedicate a opere site-specific di Margaux Bricler, Binta Diaw, Zehra Doğan e Iva Lulashi. Per l’inaugurazione Giorgia Ohanesian Nardin con Iman Salem hanno dato vita a una performance che è stata documentata in mostra dagli scatti fotografici live realizzati da Iman Salem. Alle pareti del grande salone, un omaggio all’artista Carol Rama il cui lavoro si è dimostrato prezioso riferimento per molte artiste contemporanee, in particolare per la sua visione moderna della femminilità e per il suo modo di rappresentare, fin dagli anni Trenta, il proprio corpo, insofferente rispetto alle costrizioni e alle ipocrisie borghesi. Lavori intensi degli anni Sessanta che celebrano un’identità raffinata e animalesca insieme, e che hanno anticipato un nuovo sentire: materiali come gomme, occhi di vetro, pelli, peli e unghie sono elementi che ricorrono in queste sue opere, vere messe in scena della propria identità.

I miei lavori – disse l’artista nel 1997 rispondendo a una domanda di Corrado Levi – piaceranno moltissimo a quelli che hanno sofferto, e che dalla sofferenza non hanno saputo cavarsela… perché avendo avuto una madre in clinica psichiatrica ed essendomi anch’io sentita bene in quell’ambiente lì… perché ho iniziato in quel modo lì ad esser con dei gesti e dei modi senza preparazione né culturale, né di etichetta… credo che tutti quanti ameranno di più quei gesti, perché sono gesti che, per delle ragioni che non oso dire, appartengono a tutti… perché la follia è vicina a tutti… e c’è assolutamente chi la nega… e chi la nega è soltanto un folle, malinconico, triste, inavvicinabile… perché è come la cultura; la cultura è un privilegio, che avrei potuto farlo anch’io… però mi sono sentita sempre più duttile al disegno, a un quadro, una storia, a una composizione.

Un ambiente al piano terra permetteva di guardare le opere solo dall’esterno, attraverso un foro. All’interno, invece, sono stati presentati alcuni lavori che Giovanni Testori realizzò nel 1975 e che ha esposto alla Galleria del Naviglio di Milano: grandi carte a grafite, con close up su soggetti anatomici femminili.  

La mostra è stata realizzata grazie alla collaborazione della Galleria del Ponte, Torino e Prometeogallery, Milano e grazie al sostegno di Banca Generali, Lazard e Art Defender

Catalogo con testi di: Corrado Levi, Giovanni Testori, Giuseppe Frangi, Rischa Paterlini, Marlene L. Müller     

 

WILLIAM CONGDON. 33 dipinti dalla William G. Congdon Foundation

A cura di Davide Dall’Ombra
Palazzo Bisaccioni, Jesi
12 Dicembre 2021 – 27 Marzo 2022

La Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi presenta nella propria sede l’importante mostra antologica del pittore americano William Congdon (1912-1998), un interprete eccezionale del Novecento che con la sua pittura ha dato un volto alla ricerca umana del secolo breve, grazie a un’indagine antropologica sfociata in quadri di grande potenza lirica, tra città e natura antropizzata.
La mostra è nata da un progetto dell’associazione culturale Casa Testori e ha presentato una raccolta di opere messe generosamente a disposizione dalla William G. Congdon Foundation – che tutela l’opera del pittore – e appositamente selezionate da Davide Dall’Ombra, direttore di Casa Testori.
Un percorso esaustivo e inaspettato di oltre 30 quadri, spesso di grandi dimensioni, pensato per gli spazi di Palazzo Bisaccioni: dalle New York degli anni Quaranta e le Venezie amate e collezionate da Peggy Guggenheim, fino all’approdo metafisico dei Campi arati degli anni Ottanta e Novanta.
Il visitatore ha potuto muovere il suo sguardo dall’energia dirompente del linguaggio americano dell’Action Painting, di cui Congdon era un interprete, attraverso le sue prime esperienze di viaggio per le città d’elezione. È così che la Roma imponente delle vestigia del Pantheon fa i conti con una rappresentazione esistenziale dell’architettura, rappresentata dalla voragine del Colosseo o dalla precarietà della città di Assisi, franante sulla collina.
A squadernare la “ritrattistica” delle città operata da Congdon, si stagliano in mostra, una dopo l’altra, le imponenti tavole di Istanbul, del Taj Mahal, del deserto marchiato dalla presenza umana di Sahara e della voragine di Santorini.
A contrappunto dei tormenti e fasti delle civiltà, Congdon scende nel minuto dell’esistenza, attraversando la metafora dell’animale che, come la natura, deve fare i conti con la violenza dell’uomo. È così che il ciclo dei Tori diviene la metafora della ricerca crudele, espressa dalle nostre tradizioni, come nell’inseguimento dei propri desideri. Ma perfino un toro umiliato, ferito e destinato alla morte può essere – scrive Congdon – redento dall’artista, che ne eterna la grandezza e potenza con la pittura. Dalla pittura come redenzione al simbolo umano di sofferenza e resurrezione per eccellenza, il Crocifisso, il passo è breve. Ma l’approccio dell’artista americano non è mai estetico o teorico e l’approdo al soggetto sacro avviene solo in seguito alla sua tormentata conversione al Cattolicesimo.
Il trasferimento a sud di Milano concentra il suo punto di vista su un soggetto pressoché unico: i campi coltivati. È nell’ultimo ventennio di vita che la ricerca, da spaziale, si fa temporale e protagoniste diventano la potenza della terra e le sue trasformazioni. Non si tratta di visioni idilliache: si svolge l’orizzonte sui campi e se ne segue il processo umano operato in superfice. È un tormento, anche materico, che sembra trovar pace nelle Nebbie e nei monocromi, sfociando nel lirismo musicale della vegetazione che ha concluso la mostra.
Riemergono così le meditazioni su George Braque e Nicolas De Staël, ma, soprattutto, i dialoghi pittorici con la Scuola di New York legati alla galleria di Betty Parsons, all’origine della presenza di opere di Congdon nei più importanti musei statunitensi e nella Peggy Guggenheim Collection di Venezia.
William Congdon è uno dei più profondi pittori del Novecento, naturalizzato italiano ma sempre americano nell’attitudine artistica. Su di lui hanno scritto alcuni dei più importanti critici internazionali, tra i quali: Clement Greenberg, Jacques Maritain, Giulio Carlo Argan, Giovanni Testori, Peter Selz, Fred Licht, e Massimo Cacciari.

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DIES ILLA

Gianriccardo Piccoli e Alessandro Verdi
A cura di Giuliano Zanchi e Giuseppe Frangi
Casa Testori
27 Novembre 2021 – 26 Febbraio 2022

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Due artisti dalla lunga storia, segnati profondamente dal dolore recente della loro terra. Gianriccardo Piccoli e Alessandro Verdi sono uniti dalla comune appartenenza bergamasca e dalla serietà di un percorso artistico che li ha portati a una produzione di grande intensità e originalità. La mostra a Casa Testori ha proposto due percorsi che si intrecciano nei vari spazi, in un dialogo che vede Piccoli occupare le pareti con alcune serie di grandi disegni realizzati dal momento della pandemia ad oggi e Verdi invece occupare il centro delle stanze con i tavoli che accolgono i suoi grandi libri d’artista. Il dialogo avviene quindi tra il nero intenso e denso di ombre delle carte di Piccoli e le pagine su cui sono impresse le forme potenti a “macchia” di Verdi. Filo conduttore della mostra è stato proprio questo confronto all’insegna di una comune percezione drammatica del reale; una percezione che ha determinato in modo coraggioso le loro rispettive scelte recenti. Piccoli ha lavorato per cicli di disegni, spesso ispirati da immagini di altri artisti come accade con La stanza di Louise Bourgeois o con Il Letto di Van Gogh. La sua vena è una vena neo romantica, segnata da una grande tensione esistenziale che si traduce in una ricerca di luce dentro fogli segnati dalla corposità del buio. Verdi invece con i suoi grandi libri, così densi di forme e di immagini, quasi dei manoscritti miniati contemporanei, ci accompagna in una meditazione da era post atomica.

La mostra voleva essere anche un omaggio a due artisti in un momento significativo della loro biografia: Piccoli ha compiuto 80 anni il 15 dicembre 2021, Verdi invece ha appena varcato la soglia dei 60.

NASCITA APERTA

Emma Ciceri
Progetto di Casa Testori
A cura di Gabi Scardi
Produzione di Dok Mobile
Castello Sforzesco, Museo della Pietà Rondanini
14 Settembre – 12 Ottobre 2021
Casa Testori
9-30 Novembre 2021

In occasione di Milano Art Week 2021, i Musei del Castello Sforzesco, dal 14 settembre al 12 ottobre, hanno presentato Nascita Aperta di Emma Ciceri, un progetto di Casa Testori curato da Gabi Scardi
L’opera – due video proiettati in simultanea – è stata allestita negli spazi restaurati dell’ex Ospedale Spagnolo, dal 2015 sede del Museo della Pietà Rondanini.

Nascita Aperta è la performance che l’artista ha realizzato insieme a sua figlia davanti alla Pietà Rondanini di Michelangelo, l’ultima opera su cui ha lavorato. L’esperienza quotidiana di madre e figlia è quella di corpi che, per necessità, stanno stretti l’uno all’altro, in tanti gesti di assoluta normalità. Quel rituale quotidiano è stato portato e rivissuto da loro in lunghi momenti trascorsi davanti all’opera di Michelangelo, dove Madre e Figlio si trovano analogamente stretti in una relazione che lega i loro corpi in unicum scultoreo. 
«Portiamo la nostra esperienza quotidiana in visita al corpo di un’opera: la Pietà Rondanini di Michelangelo. – spiega Emma Ciceri – Abbiamo trascorso del tempo con la scultura lasciando che l’incontro diventasse ciò che è per i nostri corpi nell’ambiente di casa: una possibilità di ricerca. Nella Pietà Rondanini l’abbraccio tra la madre e il figlio crea un flusso vitale che non ci lascia distinguere dove finisca la vita e inizi la morte; la scultura è diventata per noi una fonte di domande intorno alla relazione tra i nostri corpi». 
«Nascita Aperta è un autoritratto e, nello stesso tempo, la metafora di una relazione che vede due vite legate inscindibilmente», spiega la curatrice Gabi Scardi. «È anche una dichiarazione di adesione alla vita e alla forma, non per ciò che deve essere, ma per ciò che è. Nell’insistere sui corpi, sui gesti, su quei rituali di contatto e di cura, le immagini di Emma Ciceri sono oggettive, esplicite, eppure interiori; interiore è il tempo che impongono, oltrepassando ogni contingenza».«Il rapporto madre e figlia, svelato da Emma Ciceri nelle pieghe di una toccante e intima umanità, è messo a confronto con l’immagine della Madre e del Figlio dell’ultima opera michelangiolesca», dice Giovanna Mori, Conservatrice del Museo della Pietà. «L’artista si esprime con fiducioso abbandono, riuscendo a mettere in evidenza la straordinaria attualità di un capolavoro che Michelangelo ideò senza alcuna committenza, mettendo a nudo la sua anima».

L’opera, che si componeva di due video proiettati in simultanea, è stata allestita in una delle nicchie, anch’esse restaurate, dell’ex Ospedale Spagnolo. «Siamo molto grati alla direzione del Castello Sforzesco per aver reso possibile sia la realizzazione di quest’opera di grande valore umano ed emotivo, sia la sua presentazione in questo spazio contiguo al capolavoro di Michelangelo, così amato da Giovanni Testori», ha detto Giuseppe Frangi, vicepresidente di Casa Testori, l’associazione culturale che ha sostenuto la produzione dei video di Emma Ciceri.
«L’avere individuato una convergenza rispetto alla Pietà Rondanini, con le sue figure drammaticamente fuse anche oltre l’ultimo respiro, dice come la cultura sia costitutiva della memoria individuale e collettiva, e viceversa l’esperienza, anche la più cogente, si sostanzi attraverso immagini assimilate, incorporate» ha concluso Gabi Scardi.

IO, PIER PAOLO PASOLINI

Un progetto di Casa Testori
Meeting di Rimini
20-25 Agosto 2021

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Dal 20 al 25 agosto 2021, al Meeting di Rimini, Casa Testori ha presentato Io, Pier Paolo Pasolini, mostra dedicata a uno degli intellettuali italiani che con la sua straordinaria personalità – regista, sceneggiatore, attore, poeta, scrittore, drammaturgo – ha segnato il XX secolo.

Perché Pasolini oggi? Perché Pasolini è un capitolo aperto nella nostra storia. È un intellettuale il cui scrivere, pensare, filmare, dibattere è sempre stato segnato da una ferita profonda.
Si può pensare che si trattasse di una ferita personale. In realtà se Pasolini è ancora così parola viva che brucia, anche a quasi 50 anni di distanza, è perché, per destino, si era fatto carico di una ferita collettiva, è stato il testimone ferito di un mutamento antropologico, di un cambiamento che ha investito innanzitutto la sua identità e la sua persona. E che ha il segno drammatico di una “mancanza”. Pasolini ha saputo far forza sulla nostalgia di ciò che era perduto, mettendo in azione un’intelligenza capace di smascherare, senza temere lo scandalo, tutte le ipocrisie del nuovo mondo vincitore.
La forza di Pasolini sta dunque in questa coincidenza tra piano personale e piano pubblico. Per questo le sue parole, per quanto scaturite dalla sua esperienza di intellettuale senza patria, pesano ancora sulla storia collettiva.

Il percorso della mostra Io, Pier Paolo Pasolini riaggancia questi due piani, ricorrendo soprattutto alla presa diretta: sono stati il volto e la voce di Pasolini, così tagliente e lucidamente dolorosa, a raccontarsi, in sei grandi videoproiezioni e in una performance collettiva e ininterrotta di letture dei suoi testi, affidata a più voci chiamate a restituire “vive” le sue parole.
Una mostra non per parlare di Pasolini, ma per sentir parlare Pasolini.

PASOLINI LIVE
Una performance pasoliniana

Il percorso espositivo in sei atti è stato aperto dalla performance Pasolini LIVE, che ha raggiunto via web un pubblico internazionale. Da una cabina di regia posta ad inizio mostra, è stata trasmessa una diretta pasoliniana continua: una lettura ininterrotta per oltre dieci ore al giorno di libri e raccolte di Pasolini (articoli, poesie, interventi) a cui hanno dato voce gruppi di attori, artisti e curatori, oltre ai visitatori della mostra e a volontari della Fiera, chiamati a leggere un brano di Pier Paolo Pasolini.
In alcune fasce stabilite della giornata la diffusione della parola pasoliniana è nata grazie alla lettura integrale di alcuni libri e raccolte d’articoli, affidata a giovani attori italiani, che si sono avvicendati in una catena ideale lungo i giorni, creando appuntamenti fisi per il pubblico internazionale che si è collegato.
Ma non solo. Il flusso di oltre 50 ore di performance, per 6 giorni consecutivi, è stato arricchito da ospiti speciali. Sono stati, infatti, coinvolti lettori appassionati, uomini e donne di cultura, poeti e giornalisti, musicisti e cantanti, medici e scienziati di ogni sensibilità e categoria, che sono intervenuti dalla mostra e da tutto il mondo con la propria voce, leggendo un brano di Pier Paolo Pasolini a loro caro.
Un palinsesto organizzato per un flusso continuo e un omaggio globale mai tentato per uno scrittore, capace di dar conto del tangibile interesse internazionale suscitato dall’intellettuale di Casarsa.

PASOLINI IN 6 ATTI

La mostra ha come elemento centrale 6 grandi videoproiezioni, pensate come 6 capitoli in cui raccontare altrettante sfaccettature, episodi creativi e biografici della vita di Pasolini.

“È difficile dire con parole di figlio”
Le origini e la madre

Raccontare del principale affetto di Pasolini, il rapporto con sua madre, è la chiave per introdurre il personaggio, le sue origini friulane, il trasferimento a Roma e la sua formazione. Fin da subito si è sentita la voce di Pasolini, che parla di sé e che legge una delle sue struggenti poesie dedicate alla madre.

“Il patrimonio della poesia popolare anonima”
La storia e la città degli uomini

L’attenzione di Pasolini per il patrimonio artistico italiano, per la sua integrità ma anche la difesa della sua centralità nella formazione delle nostre coscienze, nascono dal suo interesse artistico, dispiegato nella sua attività di pittore e disegnatore, e accesosi negli anni dell’Università a Bologna, grazie al suo professore, il grande critico Roberto Longhi.

“Manca sempre qualcosa”
La religiosità di Pasolini e il Vangelo secondo Matteo

Un tema cardine per cogliere la complessità di Pasolini è il suo rapporto con la fede, o meglio, con Cristo. Il suo Vangelo secondo Matteo era stato giudicato da L’Osservatore Romano, il miglior film mai fatto sulla figura di Gesù. Del film sono stati presentati alcuni personaggi chiave in una speciale proiezione immersiva che vuole rendere omaggio alla celebre opera dell’amico Fabio Mauri che coinvolse lo stesso Pasolini in una performance.

“Il modo di essere uomini”
Il vero fascismo è l’omologazione

Seguire gli occhi e la mente di Pasolini che si muovono sul paesaggio, sulla città, attraverso la sua storia, apre le menti dello spettatore sui piani antropologici, storici, architettonici e sociali della città e della sua espressione profondamente umana. Quello di Pasolini è un grido d’allarme, contro chi minaccia l’uomo e la società, corrodendola dall’interno, è la denuncia profetica e innamorata che hanno reso indispensabile la sua parola.

“Non si può scindere l’amare dal capire”
Il risveglio del popolo e Gennariello

Chi invece prostesa con tutta la sua forza, anche sentimentale, contro il regresso e la degradazione, vuol dire che ama quegli uomini in carne e ossa. Amore che io ho la disgrazia di sentire, e che spero di comunicare anche a te”. Con brevi spezzoni di interviste e brani, è stata evocata la potenza educativa di Pasolini, attraverso i celebri articoli raccolti in Scritti corsari e Lettere luterane, che si aprono con l’emblematico trattatello pedagogico Gennariello, contro l’omologazione, per la libertà dell’uomo. 

“Distruggere e annientare quella solitudine”
Il saluto di Giovanni Testori

Così chi ha voluto veramente e totalmente la vita può trovarsi più presto degli altri dentro le mani stesse della morte che ne farà strazio e ludibrio. A meno che il dolore non insegni la “via crucis” della pazienza. Ma è una cosa che il nostro tempo concede?” Il finale spetta allo scritto di Testori per la morte di Pasolini (Espresso, 1975): una consonanza unica che ci apre alla modernità e attualità della ricerca pasoliniana.

INTERNI VICINI

Daniele Gaggianesi
Casa Testori
24 Maggio – 18 Giugno 2021

Interni Vicini è un progetto poetico partecipativo di Daniele Gaggianesi, realizzato in collaborazione con Associazione Giovanni Testori nell’ambito di NovateCULT – la cultura è per tutti e promosso dalla Cooperativa Koinè grazie al contributo di Fondazione Cariplo.

L’idea di Interni Vicini è nata dal desiderio di raccontare momenti di vita che hanno caratterizzato la pandemia. Il virus ha tentato di spazzare via un paio di generazioni, quelle dei nostri anziani, custodi della memoria del nostro passato recente. E non solo il virus, ma con il lockdown l’anonimato stesso è diventato contagioso e capillare, al punto che tutti noi, contagiati e non, reclusi nei nostri appartamenti, ne abbiamo fatto esperienza: siamo stati uno dei tanti volti affacciati a una delle tante finestre, a guardare la solita strada deserta, occhi che sbirciano dietro una mascherina, senza più una storia, un mestiere, una vita che ci ha segnato il viso. Occhi sbarrati dietro il bianco. Eppure, la vita, la memoria di noi, si annida da qualche parte, probabilmente dietro e dentro i nostri oggetti, quelle solite cose che restano poggiate sulle nostre mensole, sui nostri comodini, lavandini.

Da qui l’idea di affidare a Daniele Gaggianesi, poeta e attore, il compito di scrivere una grande poesia di cose piccole piene di vita, prendendo spunto da alcune fotografie inviategli da dieci novatesi over 60. Ognuna di queste persone è stata intervistata a lungo dall’artista, occasione per poter parlare di sé mantenendo comunque il più totale anonimato.
Il risultato dell’azione di Gaggianesi è stata una mostra, al primo piano della Casa, dove le fotografie scattate dagli anziani erano esposte insieme alle poesie scritte dall’artista e al sottofondo musicale realizzato da Chiara Ryan Izzo.

Il 28 maggio Gaggianesi ha arricchito il proprio progetto con la realizzazione di una performance a Casa Testori. Il poeta, accompagnato dalla proiezione delle fotografie sulla facciata della Casa e dal paesaggio sonoro di Chiara Ryan Izzo, ha letto al pubblico dal vivo i propri testi.

Il progetto ha previsto anche una campagna Instagram e Facebook sulla pagina dedicata @internivicini.

MA ALLORA, PERCHÈ M’HA FATTO VENIRE QUI?

Francesco Tola
A cura de Il Colorificio
Casa Testori
5 Marzo – 19 Giugno 2021

PROLOGO
Il Colorificio

Il 5 marzo 2021 Il Colorificio, collettivo curatoriale e spazio progetto, inaugura la collaborazione con Casa Testori, associazione culturale con sede nella dimora di Giovanni Testori a Novate Milanese volta alla promozione dell’eredità artistica dello scrittore, drammaturgo, storico dell’arte e artista milanese, come della ricerca contemporanea, talvolta messa direttamente in dialogo con la sua figura. 
In questa cornice Il Colorificio presenta Ma allora, perché m’ha fatto venir qui?, quinto capitolo de L’Ano Solare. A year-long programme on sex and self-display, programma espositivo, performativo e di ricerca su sessualità e pratiche collettive di autorappresentazione. Il progetto
si concentra sulla figura poliedrica di Giovanni Testori (1923, Novate Milanese – 1993, Milano), in quanto riferimento rilevante nelle ricerche de L’Ano Solare per la sua attenzione a un teatro degli oppressi, per il suo studio incessante della regia dei corpi e del corpo collettivo, per il suo immaginario legato alla sessualità contraddittorio e ancora da esplorare. Ma allora, perché m’ha fatto venir qui? si articola attraverso due mostre personali, una di Francesco Tola (1992, Ozieri; vive a Milano) negli spazi di Casa Testori, l’altra di Giovanni Testori a Il Colorificio. 
Testori è stato il narratore degli abitanti delle periferie milanesi, nel ciclo I segreti di Milano (avviato con il postumo Nebbia sul Giambellino); il critico che ha sottratto i Sacri Monti – particolarmente quello di Varallo descritto ne Il gran teatro montano – all’oblio dovuto all’etichetta di folklore a loro attribuita, per restituirli agli studi storico artistici; il drammaturgo che ha per la prima volta dato spazio all’amore omosessuale sulla scena teatrale, senza stereotipare e relegare i soggetti a figure macchiettistiche, ne L’Arialda del 1960. La sua omosessualità, che ha per tutta la vita negoziato a causa del proprio rapporto con una fede cattolica radicata, è un aspetto di rilievo, che può essere interrogato e confrontato con altre figure storiche che hanno condotto battaglie nel dibattito pubblico italiano. Testori è infatti per L’Ano Solare una voce fuori dal coro rispetto ad altre interlocutrici ed interlocutori teorici emersi negli anni sessanta e settanta come Carla Lonzi, Guy Hocquenghem, Monique Wittig, Mario Mieli, Mariasilva Spolato, ma è per questo che offre spunti laterali e conflittuali, spesso politicamente contraddittori con la direzione de L’Ano Solare, ma fondamentali per comprendere una vicenda umana e un humus culturale che ha accompagnato Milano attraverso quattro decadi del XX secolo, fino al 1993. 
Il metodo adottato nello sviluppo del progetto è stato diretto da un’approfondita ricerca su Testori, la sua vita e i suoi lavori, costituito di incontri nell’archivio di Casa Testori e di viaggi ai Sacri Monti, grazie a un gruppo composto da Il Colorificio, dall’artista Francesco Tola e dalla ricercatrice Mariacarla Molè (1991, Ragusa; vive a Torino) […]. L’intenzione dell’operazione risiede nel tentativo di ricontestualizzare la materia “calda” della sessualità in Testori, “calda” in quanto storicamente poco approfondita, anche per ragioni politiche, sia per il favore della sua figura nell’ambito della cultura cattolica, sia per le sue posizioni percepite come conservatrici dall’orizzonte omosessuale italiano. Ristudiare in Testori sesso e analità, quel dispositivo fisico e concettuale di disidentificazione e di superamento del genere e dell’orientamento sessuale, riteniamo possa oggi essere rilevante per poter rileggere l’autore aggiornandone le grammatiche e immaginando pratiche celate come quella del cruising – che sembra emergere in alcuni suoi lavori – per tracciare quindi uno spazio di possibilità queer
Ma allora, perché m’ha fatto venir fin qui? è la domanda che il Lino rivolge all’Eros chiedendo spiegazioni sul motivo dell’incontro al buio nei prati intorno alla cava, ne L’Arialda, la già citata opera teatrale testoriana, per la regia di Luchino Visconti, censurata nel 1960 e ritirata dopo lo spettacolo a Milano nel 1961 «per turpitudine e trivialità» e per il racconto di una coppia gay. La frase sottende un non detto o non compreso, una dimensione di illecito e una paura di stigma. Il campo del sessuale si presenta sulla scena come qualcosa di imprevisto che lascia interdetti e che prelude a uno scenario fatto di possibilità che richiedono scelte e, ancora oggi, responsabilità da spartire con la società. 
Ma allora, perché m’ha fatto venir qui? indaga il tema della sessualità partendo dall’opera testoriana e discostandosene, attraverso materiali d’archivio, testi e disegni, individua conflitti e discontinuità della sua riflessione in un contesto storico e religioso fortemente normativo, confrontandosi con orizzonti contemporanei. Interroga identità e rappresentazioni sessuali connesse o ispirate da Testori, costruendo un processo di archeologia degli immaginari e rinegoziazione degli stessi alla luce di emancipazioni ed esperienze situate nell’oggi. 
In relazione a questo rapporto di interrogazione e interpellazione trans-temporale, entrambe le mostre riportano lo stesso titolo, perché in entrambi i casi ci immaginiamo che gli artisti abbiano provato a rispondere alla medesima domanda, inaugurando tracciati divergenti, ma al tempo stesso consonanti. 
[…]

LA MOSTRA

Casa Testori la mostra di Francesco Tola è costituita da nuove produzioni, concepite appositamente in relazione all’architettura dello spazio, mentre presso la sede de Il Colorificio (collettivo curatoriale e spazio progetto composto da Michele Bertolino, Bernardo Follini, Giulia Gregnanin e Sebastiano Pala) è presentata una selezione di disegni erotici di Giovanni Testori prodotti tra il 1973 e il 1974, all’interno di un allestimento immersivo. 
Nella piccola pubblicazione sviluppata per l’occasione, oltre al testo di Il Colorificio, sarà presentato un contributo della ricercatrice Mariacarla Molè che, parallelamente a Francesco Tola, ha condotto un percorso di ricerca nell’archivio di Casa Testori.

ASSALTO AL CASTELLO

14 artisti valdostani conquistano il Museo Gamba
Un progetto di Casa Testori
A cura di Davide Dall’Ombra
Castello Gamba – Museo d’arte moderna e contemporanea
Châtillon, Valle d’Aosta
23 Ottobre 2020 – 2 Giugno 2021

UN’OCCASIONE PER COMPRENDERSI
Cristina De La Pierre

Il Castello Gamba di Châtillon – Museo d’arte moderna e contemporanea della Valle d’Aosta, conclude la stagione espositiva del 2020 con ASSALTO AL CASTELLO. 14 artisti valdostani conquistano il Museo Gamba. La mostra è stata realizzata dall’Assessorato dei Beni culturali, Turismo, Sport e Commercio della Regione autonoma Valle d’Aosta, in collaborazione con Casa Testori, hub culturale alle porte di Milano, e curata da Davide Dall’Ombra. 
La collezione d’arte moderna e contemporanea della Regione al Castello Gamba affianca un gruppo di opere di artisti contemporanei, attivi in Valle d’Aosta, ai due nuclei principali che la costituiscono: le opere otto/novecentesche dedicate al paesaggio alpino e i capolavori dei grandi maestri italiani del Novecento. Un’occupazione, pacifica ma decisa, da parte di artisti che accettano la sfida e il confronto con importanti maestri presenti nel Museo, da Mario Schifano a Felice Casorati, da Renato Guttuso a Lucio Fontana. 
Il ruolo di un museo pubblico del contemporaneo è anche quello di farsi custode e interprete dell’espressione artistica del territorio. Non si tratta di musealizzare precocemente le espressioni dell’arte ancora in divenire, ma di dar conto della realtà in essere. Dar voce all’arte contemporanea valdostana non è solo un dovere civico, ma un’occasione unica per comprendere e per comprendersi. 

ASSALTO AL CASTELLO
Davide Dall’Ombra

Si dice spesso che non ci sono parole per esprimere certe situazioni, ma l’artista non si può tirare indietro, è condannato all’espressione, a dar voce a elementi e sentimenti del nostro vissuto, facendoci capire qualcosa di noi. Tuttavia, se c’è un aspetto che ha accumunato le rade mostre d’arte contemporanea di questo 2020 è l’intento programmatico di non fare una mostra sul Covid. L’arte di oggi, proprio perché non può fare a meno di essere espressione del tempo che vive, sa che l’unico modo che ha per farlo è non metterlo direttamente al centro. Non si tratta solo della comprensibile repulsione verso il “monotema” delle nostre conversazioni e preoccupazioni di questi mesi, ma della coscienza che aver rispetto per il dramma particolare significa coglierne il valore universale e, per far questo, occorre quel passo indietro che questi mesi ancora non ci permettono. Per parlare oggi di questo argomento bisogna eluderlo. È un po’ come avviene con le montagne o i prati in questa mostra, che si cercherebbero invano tra i soggetti scelti da questi quattordici artisti attivi in Valle d’Aosta. 
Questa mostra, in effetti, ha avuto origine nella mente degli stessi artisti che la compongono, durante il primo lockdown, per essere messa in pausa, una volta inaugurata, dal sopraggiungere del secondo. Vorrà dire che la sua funzione sarà quella di prestare il volto alla ripartenza, a una reiterata, cocciuta e indispensabile ripartenza. Quando il primo nucleo di artisti si è coagulato intorno a uno di essi, Marco Bettio, non è stato difficile costruire la squadra e proporla all’attenzione della curatrice scientifica del Castello Gamba, Viviana Maria Vallet, che, a sua volta, ha individuato in Casa Testori l’interlocutore cui affidarne la curatela. 
Fedele alla sua origine, la mostra non ha l’ambizione di fornire uno screening della produzione artistica in Valle e di individuarne le eccellenze, che pure, probabilmente, sono in gran parte incappate nella rete… Per questo si è pensato a un “assalto”: si è data voce alle istanze ed emergenze degli artisti, accettandone l’invasione, ponendosi in ascolto, ma anche cercando di premere l’acceleratore sulle potenzialità espressive di ciascuno, mettendole in rapporto con lo spazio. L’intento era quello di fare un passo oltre la semplice galleria di immagini e dar vita a quattordici interventi spaziali, che connotassero il percorso espositivo e la collezione permanete del Museo, come alcuni punti cruciali all’esterno. 

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TRA LA COLLEZIONE, NELLE SALE ESPOSITIVE E ALL’ESTERNO

Non si tratta di una galleria di immagini, ma di 14 interventi spaziali inediti sparsi nel percorso espositivo, nella collezione e all’esterno: dalla pittura al video, dalla scultura all’installazione.
Dopo l’avvio con l’opera di Jean-Claude Oberto, che dà conto di questo contesto d’incertezza che persiste, quattro interventi segnano le stanze della raccolta permanente: sono le opere di Patrick Passuello (Sala 1), Massimo Sacchetti (Sala 2), Pasqualino Fracasso (Sale 4, 5, 7, 11 e 13) e Barbara Tutino (Sala 10).
Usciti dalle stanze della collezione, ad accompagnarci sulla scala fino a questo punto sono state le carte di Marco Jaccond e, qui a sinistra, la “sala di consultazione” ospita l’intervento di Andrea Carlotto. Alle nostre spalle, si snoda il consueto spazio espositivo del Castello, con le opere di Giuliana Cunéaz e Chicco Margaroli; a presidiare il mezzanino è la pittura di Marco Bettio e Sarah Ledda, mentre spetta a Riccardo Mantelli invadere interamente l’altana. 
Ma la mostra non si conclude davanti allo straordinario paesaggio sulla Valle. Due artisti hanno occupato anche l’esterno. Nella grande fontana l’opera di Daniele De Giorgis e, nel portico sulla facciata principale del Castello, lì a pochi passi, occupano la loggia sopra lo scalone le sculture di Marina Torchio.

UN CATALOGO E DUE FOTOGRAFI

Il carattere allestitivo della mostra e il protagonismo degli artisti hanno determinato la scelta di dar vita, da una parte, a un catalogo con fotografie delle opere installate, affidate ad Alessandro Zambianchi e, dall’altra, di raccogliere una galleria di ritratti fotografici degli artisti in mostra, realizzati da Giorgio Olivero.

Andrea Mastrovito, I AM NOT LEGEND

Un progetto di Casa Testori
A cura di Davide Dall’Ombra
Per Italian Council – Sesta Edizione

DE-ANIMAZIONE: UN INDICE ZOMBIE DELLA DIMENTICANZA 
Leora Maltz-Leca 

Che aspetto ha la dimenticanza? Come possiamo dipingere lo svanire dei ricordi o rendere filmicamente il modo in cui le verità di ieri sono relegate in secondo piano – o deliberatamente cancellate – dai violenti attacchi del presente? Com’è possibile esprimere visivamente il recedere della storia o, ancor meglio, come facciamo ad afferrare la coda del passato mentre la marea lo trascina via? Per l’artista italiano Andrea Mastrovito una possibilità risiede nel pallore spettrale della vernice bianca, un fluido gocciolante e strisciante che filtra sotto le porte e che scorre rapidamente attraverso la pellicola annientando, cancellando e nascondendo. In I Am Not Legendsecondo film di un’ambiziosa trilogia che ha esordito a New York nel 2017 con NYsferatu, sbianchetta le figure degli zombie contenute nel film horror di George Romero del 1968 La notte dei morti viventi (Night of the Living Dead), a sua volta basato sul romanzo post-apocalittico di Richard Matheson del 1954 Io sono Leggenda (I am Legend), che fornisce il titolo, ribaltato, per la versione di Mastrovito. Per produrre I Am Not Legend, l’artista ha impiegato un processo incredibilmente laborioso che lo ha visto stampare, dipingere a mano, scansionare e rifilmare quasi centomila fotogrammi per ricomporre un’animazione di ottanta minuti del classico di Romero. Questa procedura così laboriosa ha permesso di creare una visione metaforica stratificata dell’assenza, un prosciugamento della mente dalla materia, da cui egli poi procede ulteriormente per trasformare l’umano in un oggetto, suggerendo così che il suo metodo di animazione sia in realtà una de-animazione. Il processo di animazione agisce contro se stesso o, come ci dice il titolo, in senso ribaltato: perché se l’animazione prometteva tradizionalmente di trasformare dei pupazzi in persone attraverso un espediente tecnologico-magico che riproduceva la vivida apparenza della vita, Io non sono leggenda, invece, riflette sulla trasformazione delle persone in pupazzi attraverso un rapporto chiaramente disincantato con la tecnologia. 

Continua all’interno del catalogo

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L’OPERA

I Am Not Legend è un film di Andrea Mastrovito della durata di 1h12’. Il lavoro è stato realizzato stampando in dimensione A4 tutti i fotogrammi de Night of the Living Dead (1968) di George Romero e intervenendo su ogni foglio con la pittura bianca al fine di cancellare la presenza degli zombie dal film originale. Ottenute oltre 100.000 tavole, sono state in seguito digitalizzate e rimontate seguendo la nuova sceneggiatura creata dall’artista che ha utilizzato migliaia di citazioni tratte da un centinaio di celebri film, romanzi e canzoni. A completare l’opera, la colonna sonora originale è realizzata da Matthew Nolan e Stephen Shannon, con il contributo per le musiche di apertura e chiusura di Maurizio Guarini, autore, insieme ai Goblin, delle musiche originali dei film Profondo Rosso (1975), Suspiria (1977) e L’Alba dei Morti Viventi (1978).

LA MOSTRA

Io Non Sono Leggenda
Palazzo Fabroni, Pistoia
26 settembre 2020 – 9 maggio 2021

La personale Io Non Sono Leggenda intende contestualizzare, presso la sede di Palazzo Fabroni, il lancio del film all’interno di un percorso che possa essere una fotografia della ricerca che Andrea Mastrovito ha condotto negli ultimi anni, intorno alla figura dell’antieroe. La mostra occupa tutte le stanze del museo adibite alle mostre temporanee, per ripercorrere, non solo la genesi dell’opera donata al museo – tavole originali, fonti d’ispirazione e processo creativo – ma anche alcuni dei passaggi più significativi degli ultimi anni dell’artista: dal film precedente, NYsferatu, completamente affidato alla tecnica del disegno; agli intarsi, lavori allegorici che hanno avuto grande successo a Lione in occasione della Biennale; alle vetrate, disegni su composizioni colorate di righelli, fino ai libri ritagliati e ai collage.

IL TOUR

L’opera ha previsto la realizzazione di una sola copia, destinata a Palazzo Fabroni, oltre a un’exhibition copy utilizzata per il tour mondiale in diverse sedi museali e centri culturali internazionali.
Dopo la proiezione del trailer dell’opera a Lione, il 15 agosto 2020 I Am Not Legend è stato presentato in anteprima a New York, presso Magazzino Italian Art a Cold Spring.
Il 25 settembre 2020 si è tenuta a Pistoia la prima ufficiale, in occasione dell’apertura della mostra Io Non Sono Leggenda. Dopodiché l’opera ha circolato a livello internazionale, proiettata al MUDAM del Lussemburgo, al Belvedere 21 di Vienna, agli Istituti Italiani di Cultura di TorontoNew York e Pretoria e al Laznia Center di Danzica.

IL LIBRO

In occasione della mostra è stato realizzato un volume bilingue interamente dedicato all’opera I Am Not Legend. Ideato dall’artista Maria Tassi, il libro permette di ripercorrere il flusso narrativo del film attraverso la chiave figurativa del fotoromanzo. Con saggi di Leora Maltz-LecaStefano LeonforteStefano Raimondi e una presentazione delle opere in mostra del curatore Davide Dall’Ombra
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Progetto realizzato grazie al sostegno dell’Italian Council (6. Edizione, 2019), programma di promozione di arte contemporanea italiana nel mondo della Direzione Generale Creatività Contemporanea per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo.

UMANO MOLTO UMANO

13 ritratti in vetrina
Un progetto di Casa Testori e Collezione Poscio
A cura di Giuseppe Frangi
Casa De Rodis, Domodossola
11 Luglio – 11 Ottobre 2020

È dedicata al tema del ritratto la mostra “Umano molto umano” che Collezione Poscio ha proposto a Casa De Rodis per l’estate 2020. Curata da Casa Testori, l’esposizione ha preso spunto da un dato di attualità: nei drammatici mesi segnati dall’epidemia del Coronavirus siamo stati tutti profondamente segnati dai volti di coloro che erano in prima linea negli ospedali e nelle terapie intensive. I “ritratti” fotografici di infermieri e medici ci hanno messo davanti volti di un’intensità umana difficilmente dimenticabile. Sono immagini che ripropongono il senso del fare un “ritratto”: che non è semplice restituzione delle sembianze di una persona, ma esplorazione e disvelamento di una condizione umana. È una coscienza che gli artisti hanno sempre avuto e che la mostra si propone di riscoprire attraverso la presentazione di 13 grandi ritratti dall’inizio del Novecento ai giorni nostri. Il titolo dell’esposizione, “Umano molto umano”, vuole proprio sottolineare questo aspetto che dà pienamente valore e senso al genere del ritratto.
Per venire incontro alle regole e alle limitazioni dettate dalla post pandemia, la mostra si è sviluppata come un palinsesto teatrale: i ritratti, infatti, sono apparsi in sequenza dietro la grande vetrina di Casa De Rodis, per 13 settimane. Ogni sabato si è assistito al rito di “apparizione” di un nuovo volto, secondo un preciso calendario: i visitatori e i passanti sono stati invitati a esplorare e ad approfondire il singolo ritratto grazie a un testo su pannello che, oltre ai dati storici, offriva una lettura in profondità dell’opera. L’esposizione era pienamente una mostra “su piazza”: infatti, grazie ad una suggestiva soluzione espositiva, i 13 ritratti – dall’11 luglio all’11 ottobre – si sono affacciati, naturalmente in riproduzione, dalle finestre di Casa De Rodis, e quindi sulla centralissima piazza Mercato a Domodossola. Per tutto l’arco di tempo, ogni settimana, si sono susseguite alcune opere di grande importanza come il Ritratto della madre di Umberto Boccioni proveniente dalla Galleria Ricci Oddi di Piacenza e il Ritratto di Mario Alicata, uno dei capolavori di Renato Guttuso
Ad aprire l’esposizione è stato un dipinto realizzato per l’occasione da Barbara Nahmad: il Ritratto di un ritratto con protagonista Monica Falocchi, capoinfermiera della Terapia intensiva agli Spedali di Brescia. Monica Falocchi è uno dei volti simbolo che hanno segnato i mesi dell’epidemia: infatti il suo volto, fotografato da Andrea Frazzetta, è andato sulla copertina del New York Times Magazine.

CALENDARIO DELLA MOSTRA

11 – 17 luglioBarbara NahmadRitratto di un ritratto (COVID-19, Brescia), 2020
18 – 24 luglioOttone RosaiRitratto di Ottavio Fanfani, 1946
25 – 31 luglioBeppe DevalleRitratto di Jo, 2010 
1 – 7 agostoGiovanni TestoriRitratto di donna, 1977 
8 – 14 agostoFilippo De PisisGarçon de Boulevards, 1928
15 – 21 agostoCarlo FornaraRitratto della sorella Marietta davanti alla chiesa del lazzaretto a Prestinone, 1896
22 – 28 agostoAldo MondinoRitratto, 1987
29 agosto – 4 settembreGiosetta FioroniLiberty in gabbia, 1969 
5 – 11 settembre: Mario SchifanoRitratto di Boccioni, 1985 
12 – 18 settembreRenato GuttusoRitratto di Mario Alicata, 1940
19 – 25 settembreGianfranco FerroniAutoritratto, 1946
26 settembre – 2 ottobre: Matteo FatoRitratto di Charles Duke (Moon1972), 2019 
3 – 11 ottobreUmberto BoccioniRitratto della madre, 1911/12

EVENTI COLLATERALI

I MIEI RITRATTI IN PRIMA LINEA
Unione Montana delle Valli dell’Ossola, Domodossola
25 Settembre 2020

Incontro con il fotografo Andrea Frazzetta (vincitore del premio Ischia internazionale di giornalismo 2020) con la partecipazione di Monica Falocchi, capoinfermiera della terapia intensiva degli Spedali Civili di Brescia (volto di copertina del “New York Time Magazine”) e dell’artista Barbara Nahmad e con la moderazione di Giuseppe Frangi.

FINISSAGE VIRTUALE
16 Ottobre 2020

A chiusura della mostra si è svolto un incontro (via Zoom), ad accesso libero, con la partecipazione di Giuseppe Frangi, vicepresidente di Casa Testori, Stella Poscio, presidente di Casa de Rodis, e Massimo Ferrari, presidente della Galleria Ricci Oddi di Piacenza, il museo proprietario del Ritratto della madre di Umberto Boccioni con il quale si è chiuso il calendario espositivo.

Barbara Nahmad
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Ottone Rosai
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Jo (Jolanda Devalle) 2010 Olio e Acrilico su tela 120x100
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Testori
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De Pisis
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Mondino
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Fioroni
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Schifano
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guttuso
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boccioni
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