Un progetto di Casa Testori a cura di Davide Dall’Ombra
Finissage sabato 21 settembre ore 18 Il 21 settembre alle ore 18.00 si è tenuto un incontro presso il “Municipio di Saint-Vincent” in occasione del finissage della mostra “Uomini. Luciano Minguzzi in Valle d’Aosta”. Il restauro dell’opera Uomini di Luciano Minguzzi, collocata attualmente presso l’entrata del Municipio di Saint-Vincent, troverà la sua collocazione definitiva presso il castello Gamba di Châtillon.
Con: Luca Avataneo e Marco Demmelbauer del “Centro Conservazione Restauro La Venaria Reale”.
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Dal 13 luglio al 22 settembre 2024, il Castello Gamba, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea della Valle d’Aosta, ha dedicato la mostra estiva a Luciano Minguzzi (1911-2004), uno dei protagonisti della scultura italiana del Novecento, a 20 anni dalla sua scomparsa, per festeggiare l’imminente collocazione nel giardino del Castello di una sua grande opera, legata alla storia della Valle d’Aosta.
Un’esposizione realizzata dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta, Assessorato ai Beni e alle attività culturali, Sistema educativo e Politiche per le relazioni intergenerazionali, grazie alla collaborazione tra la Struttura Patrimonio storico artistico e gestione dei siti culturali e Casa Testori, hub culturale alle porte di Milano con cui il Museo collabora dal 2018 e che avvia così un nuovo triennio di programmazione condivisa.
Nata in collaborazione con l‘Archivio Luciano Minguzzi di Venezia, in stretto dialogo con il figlio Luca e la famiglia che ne custodisce e valorizza l’opera, la mostra ha posto l’attenzione del pubblico su uno dei più autori storici presenti in collezione, dove figurano, in attesa della grande opera, già due importanti sculture del principio degli anni Settanta, che accolgono il visitatore all’ingresso: Due figure sedute e Due donne (Le amanti).
Una mostra che è stata anche la settima “puntata” della fortunata rassegna “Détails”, con cui il Castello Gamba valorizza il proprio patrimonio, ponendo l’attenzione del pubblico su uno degli autori presenti in collezione. Dopo Federico Ashton, Federico Pastoris, Leonardo Roda, Francesco Tabusso, Emilio Isgrò, e Massimo Uberti, è ora Luciano Minguzzi, di cui il Museo conserva già due opere a proseguire la scoperta. Uomini, che dà il titolo alla mostra curata da Davide Dall’Ombra, è l’imponente opera, recentemente restaurata al Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” di Torino, grazie al bando “Luoghi della cultura 2019” della Compagnia di San Paolo, visibile durante la mostra all’ingresso del Comune di Saint-Vincent, che verrà presto collocata nel parco del Castello Gamba, grazie a un progetto di Carla Falzoni, a completamento di un percorso della Memoria, che collegherà i comuni di Saint-Vincent e Châtillon: una “Via degli Uomini”, curata dall’artista Marco Jaccond. L’opera accoglierà i visitatori al nuovo ingresso del parco, posto al termine della nuova via pedonale e ciclabile che il Comune di Châtillon sta realizzando per creare una via di collegamento sostenibile dal centro cittadino al Castello Gamba.
Appartengono tutti alla generazione Z, nati tra il 1995 e il 2001, e avevano dunque meno di trent’anni le artiste e gli artisti che sono stati protagonisti de La prima volta, la mostra a cura di Marta Cereda che Casa Testori ha inaugurato il 15 giugno.
Con la loro ricerca, che utilizza mezzi espressivi differenti – pittura, fotografia, video, scultura, performance – nel percorso espositivo sono entrati in dialogo non solo con le altre opere, ma anche e soprattutto con l’architettura, con la biblioteca e con le preesistenze domestiche della casa natale di Giovanni Testori, a Novate Milanese dove per tutta l’estate, dal 16 giugno al 26 ottobre 2024, hanno occupato l’intero piano terra.
A 15 anni dall’esordio e dall’inizio delle attività, avvenuto con identico spirito nel 2009, Casa Testori, la grande abitazione di inizio Novecento alle porte di Milano, conferma in questo modo il suo ruolo come punto di riferimento per la creatività contemporanea e il suo desiderio di continuo rinnovamento, aprendo le porte a una nuova generazione creativa.
«15 anni fa Casa Testori iniziava la sua avventura proponendosi come palcoscenico per nuovi talenti artistici. Con il ciclo di Giorni Felici dal 2010 al 2014 artisti in tanti casi al debutto e comunque molto giovani avevano avuto la possibilità di esporre a fianco di artisti consacrati», afferma Carlo Maria Pinardi, Presidente di Casa Testori. «In qualche modo è stata una “prima volta”. Oggi molti di loro hanno conosciuto un grande successo, come Andrea Mastrovito, Gianmaria Tosatti o Davide Rivalta, solo per fare alcuni nomi. È uno spirito che Casa Testori non ha mai smarrito e che viene riaffermato con convinzione con questa proposta espositiva di 19 artisti nati dopo il 1995, selezionati da Marta Cereda. Anche per loro, a diverso titolo, è una sorta di “prima volta”. Con questa mostra Casa Testori riafferma la sua identità di luogo di ricerca, di vitalità artistica nel panorama contemporaneo».
«La prima voltaè un progetto che vuole smitizzare ogni idea di eccezionalità e di primato, in ogni ambito, che vuole riflettere sul valore dei tentativi e del fallimento – afferma la curatrice, Marta Cereda -. La prima volta è una mostra che parla di tempo, vissuto, ricordato, immaginato, proiettato, di ricerche in costruzione, della possibilità di sperimentare, di andare avanti, di tornare sui propri passi».
Ogni volta è La prima volta, dunque, non un debutto, ma un’esperienza, un’idea, un progetto che si mostra per la prima volta. Le artiste e gli artisti coinvolti – Martina Andreoni, Erica Bardi, Andrea Camiolo, Roberto De Pinto, Giuseppe Di Liberto, Benedetta Fioravanti, Agnese Galiotto, Pietro Guglielmin, Luca Lombardi, Enrico Loquercio, Sara Lorusso, Francesca Macis, Federica Mariani, Camilla Marrese, Alice Pilusi, Giulia Querin, Adelisa Selimbašić, Ilaria Simeoni, Jacopo Zambello – si sono incontrati nelle stanze della casa, hanno condiviso gli spazi mettendo accanto le loro opere, guardandosi, confrontandosi per la prima volta in modo corale, tutti insieme.
IL PERCORSO
Ad aprire la mostra è stata Sara Lorusso (Bologna, 1995) che ha presentato Diari, una serie fotografica iniziata nel 2018 che cattura l’intimità e la nostalgia dell’estate attraverso immagini di corpi e paesaggi. Nella prima stanza Roberto De Pinto (Terlizzi, BA, 1996) ha esposto diverse opere tra cui Papaveri e l’inedito Un chant d’amour, in cui, utilizzando tecniche come encausto, pastelli e carboncino, esprime la sensualità del Mediterraneo attraverso rappresentazioni vegetali e umane. Con lui Erica Bardi (Napoli, 1998), la cuifotografia in bianco e nero richiede un’osservazione ravvicinata per comprendere il rapporto tra elementi organici e inorganici. Agnese Galiotto (Chiampo, VI, 1996) nel salone della casa presentava Scheletro, un’installazione ambientale che riflette sull’impermanenza attraverso un collage di cartoni preparatori di affreschi destinati alla distruzione, insieme ad alcuni disegni. Francesca Macis (Oristano, 1996) con la sua serie Fairytales ha trasformato i parchi giochi notturni in scenari luminosi e surreali, esplorando la transizione dall’infanzia all’età adulta. La veranda ospitava Federica Mariani (Milano, 2000) che con il video Empress Margareth’s Speech e con le sculture Worm e Bat denuncia la condizione femminile, utilizzando come alter ego Margareth Cavendish, eclettica intellettuale secentesca. Con la serie Cakes, ospitata nella cucina della dimora novatese, Alice Pilusi (Pescara, 1997) critica la superficialità dei valori moderni attraverso torte esteticamente attraenti ma strutturalmente vuote, rappresentando la feticizzazione della bellezza e del successo. Le sue opere dialogavano con quelle di Adelisa Selimbašić (Karlsruhe, 1996) che affrontano l’inadeguatezza derivante dalla pressione di conformarsi a standard estetici, con figure che occupano prepotentemente la tela per sfidare l’idea di un canone unico. Nell’atrio Pietro Guglielmin ha collocato la sua opera Mermaidia, in cui dipinge foglie e recinzioni per evocare l’immaginazione, e invitare a riflettere su cosa si cela oltre il visibile. Ed è qui, in una sezione della biblioteca di Testori, che Ilaria Simeoni (Montebelluna, TV, 1995) ha trovato lo spazio per il suo giardino portatile, tavole praticamente tascabili che riflettono sull’interazione tra natura incontaminata e giardini curati. Il percorso proseguiva nelle stanze dove le sculture di Giulia Querin (Venezia, 1997) facevano capolino muovendosi senza vincoli: a terra, sulle pareti, su altri oggetti. In questo stesso spazio le tele di Luca Lombardi (Brescia, 1996) rappresentavano l’ossessione per l’identità digitale attraverso gesti ingigantiti di swipe, criticando la superficialità delle notizie sensazionalistiche. Al digitale e all’intelligenza artificiale si è ispirato anche Andrea Camiolo (Leonforte, EN, 1998) con The Manhattan Project, in cui presentava immagini fotorealistiche di esplosioni nucleari generate dall’AI, interrogandosi sull’autenticità e l’autorialità. Proseguendo, il video Give me a moment, I leave the light on di Benedetta Fioravanti (Ascoli Piceno, 1995) mescola memorie personali e found footage. Le opere di Jacopo Zambello (Rovigo, 1999) sono ispirate all’Epopea di Gilgamesh e creavano un’atmosfera di spaesamento, così come i dipinti di Enrico Loquercio (Napoli, 1996) che presentano figure indistinte su sfondi teatrali. Camilla Marrese (Bologna, 1998) con Thinking Like an Island ha esplorato l’identità di un’isola mediterranea, ammettendo l’impossibilità di rappresentarla completamente. Combinano tradizioni artistiche storiche con elementi contemporanei le opere in cera e argilla di Giuseppe Di Liberto (Palermo, 1996) che con Chiurenne l’oucchie pare e te verè esplora le forme del lutto e del suo rito. Chiudeva il percorso della collettiva Martina Andreoni (Segrate, MI, 2001) che in Sensation is Painless affronta la morte e la finzione della vita attraverso still life fotografici, esprimendo empatia e consapevolezza del dolore.
INFORMAZIONI TITOLO: LA PRIMA VOLTA A CURA DI: Marta Cereda LUOGO: Casa Testori, Largo Angelo Testori, 13, Novate Milanese (MI) DATE: 15 giugno – 26 ottobre 2024 UFFICIO STAMPA CASA TESTORI: Maria Grazia Vernuccio – Tel. +39 3351282864 – mariagrazia.vernuccio@mgvcommunication.it
La mostra è stata realizzata con il sostegno di Regione Lombardia.
Opere di Francesco Fossati e Carlo Steiner Con tre disegni di Giovanni Testori A cura di Elisa Del Prete
Casa Testori 10 aprile/18 maggio 2024
In occasione di Art Week 2024 Casa Testori ha presentato Un raccolto di consolazione, un progetto espositivo che mette in dialogo le ricerche dei due artisti Francesco Fossati e Carlo Steiner, che hanno in comune l’utilizzo di materiale fungino. Da un lato le sculture di Francesco Fossati sono ottenute da un substrato che si usa per la coltivazione dei funghi, dall’altro le opere pittoriche di Carlo Steiner adottano le spore come elemento cromatico. A cura di Elisa Del Prete, la mostra si completa con l’esposizione di tre disegni inediti dalla serie Funghi che Giovanni Testori realizza nel 1978.
Nelle sculture di Fossati i blocchi di substrati sollecitati perché si sviluppino funghi e micelio vengono poi disidratati così da fermarne la proliferazione. Nelle opere pittoriche di Steiner invece le spore fungine, sottratte al loro libero propagarsi e fatte depositare su lastre di vetro o fogli di carta sono utilizzate come pigmenti e governate attraverso l’uso di stencil. Entrambi gli artisti rivolgono il proprio sguardo all’azione creatrice della natura per poi mettere in atto un gesto di controllo di essa.
Il titolo della mostra Un raccolto di consolazione suggerisce un rimando all’avventura del Marcovaldo di Italo Calvino che scopre i funghi nell’aiuola vicina alla fermata del tram in un contesto del tutto urbano in cui, dall’iniziale sorpresa che l’agire della natura desta, non può che scatenarsi poi la gara al possesso. Analogamente gli artisti attingono alla forza generativa della natura, ma senza alcun atteggiamento idilliaco nei suoi confronti, ormai del tutto lontani da uno sguardo sorpreso, sostituito invece dall’ossessione di una tecnica che ne possa garantire il controllo. Artificio e natura diventano allora impari in una gara in cui l’azione del raccolto non è fine a se stessa ma indirizzata a mettere in pratica una propria opera.
«Mi interessava un titolo drammatico da un lato ma anche sottilmente comico», ha sottolineato la curatrice. «La mostra è la messa in dialogo di due pratiche artistiche che, a partire da uno sguardo curioso all’ambiente ed ecosistema fungino, in realtà aprono a riflessioni che portano altrove, al segno/disegno e alla forma come elementi compositivi, creando un certo grado di ambiguità rispetto a una relazione stretta con processi naturalmente incontrollabili che qui diventano pretesto per andare invece a parlare dell’affermarsi dell’agire artistico, oltre ogni intento romantico».
Il progetto espositivo si è completato con un public program:
Il 4 maggio c’è stato un incontro dedicato a John Cage il grande musicista americano che proprio dalla conoscenza e dalla passione per il mondo dei funghi aveva tratto indicazioni chiave per il proprio lavoro compositivo. L’esperienza di Cage verrà presentata da Piergiovanni Domenighini, organista della Cappella Musicale della Basilica Papale di San Francesco d’Assisi e dottorando di ricerca presso l’istituto CIRIAF di Perugia.
Il 18 maggio ha avuto luogo un incontro con Riccardo Blumer, architetto e designer, professore titolare all’Accademia di Architettura di Mendrisio, che ha presentato La forma é necessaria, il lavoro di ricerca sulla organizzazione architettonica di strutture biologiche come funghi e muffe, fatto all’interno del laboratorio di progettazione con gli studenti dell’Accademia.
Un progetto di Casa Testori Casa Testori 4 marzo – 28 luglio 2023
Video di Stefano Cozzi
Ha aperto al pubblico la mostra FOTOROMANZO TESTORI Immagini di una vita, nelle stanze di Casa Testori, dimora di uno dei più importanti protagonisti della vita culturale del secondo ’900, di cui nel 2023 si celebra il Centenario della nascita. La mostra è stata il frutto del grande lavoro di ricerca negli archivi di agenzie, teatri, giornali, fondazioni e musei realizzato dall’Associazione Giovanni Testori e da Casa Testori in questi anni. Un’esplorazione che ha fatto emergere uno straordinario patrimonio di fotografie capace di documentare la vita di Testori privata e nelle sue diverse vesti di scrittore, drammaturgo, critico d’arte, pittore…Il risultato è stato un racconto che si sviluppava come un romanzo per immagini, molto coinvolgente, perché il Testori pubblico e quello privato stanno sempre su unico registro: davanti all’obiettivo Testori comunica la stessa energia, passione e carica affettiva. Per questo il percorso si è sviluppato lasciando che i due piani si intreccino. Come nel caso delle fotografie con i famigliari nella grande casa di Novate Milanese, che svelano un approccio alle relazioni all’insegna della simpatia e dell’informalità, che emergono anche negli scatti della sfera pubblica.
Il racconto di Fotoromanzo Testori non a caso iniziava con alcune immagini che ritraevano lo scrittore con la madre Lina, figura chiave nella sua vita, che tante volte torna nelle sue opere letterarie e teatrali. Dalle ricerche, sono emersi materiali di famiglia sorprendenti come un album di fotografie scattate il 6 gennaio 1957 a Lasnigo (CO), paese natale di Lina nel Triangolo Lariano. Gli abbracci, i brindisi, i sorrisi si mescolano a sguardi venati di malinconia verso quel paesaggio invernale, così caro a Testori. “Navigare in acque borromaiche” è il titolo posto in mostra a un servizio fotografico realizzato nel 1948, dove Testori posa con il padre Edoardo tra i giardini dell’Isola Bella e sulle sponde del Lago Maggiore. Una sequenza che sembra quasi finalizzata alla costruzione di un book per sé stesso. La vita famigliare è documentata anche da festosi video in super 8 proiettati nel salone della Casa.
Nella sezione “Città culla” emerge la ricchissima serie di immagini che accompagnano l’uscita dei “I segreti di Milano”, la prima grande avventura narrativa e teatrale di Testori. In questi scatti si scopre lo scrittore in una sequenza estiva, in maniche di camicia sul ponte della Ghisolfa e in via Mac Mahon, e poi d’inverno, con il cappotto al Parco Sempione, mentre gioca con le sbarre delle cancellate come se si trovasse in prigione (erano i giorni del clamoroso sequestro de “L’Arialda”), o mentre posa tra le case di ringhiera insieme a Franca Valeri, che nel 1960 aveva portato in scena per la prima volta “La Maria Brasca”, nei panni dell’emancipata protagonista.
Le foto di Renato Grignani e Giorgio Soavi ci hanno mostrato gli interni – una vera scoperta – dello studio di via Brera 8, teatro di mille incontri e per tanti anni atelier del Testori pittore. “8058595” è il titolo della sezione: il numero di quel telefono dello studio che squillava in continuazione. “Le mie vacanze” è la sezione che proponeva una divertente carrellata di immagini dove si scopre un Testori “montanaro”, disteso e allegro in compagnia delle sorelle, dei nipoti e degli amici.
Il percorso al piano terra si concludeva con un’installazione video dedicata a una fotografia alla quale Testori era particolarmente affezionato: è quella scattata da Giorgio Lotti il 20 maggio 1974, in occasione del concerto di Renata Tebaldi al Teatro alla Scala per i suoi 30 anni di attività. La foto ritrae Giovanni Testori sotto il palco, in piedi, mentre applaude entusiasticamente il suo soprano preferito a cui aveva chiesto come bis di cantare “Non ti scordar di me”. «Mi sono sentito come “infilzato” da quella foto», scrisse tempo dopo sul Corriere della Sera.
La sezione “Mes amis”, che si dipanava sulle scale della Casa, è il racconto delle amicizie più care e durature, a partire da quella fondamentale con Roberto Longhi, documentata da una sequenza di immagini scattate in occasione della festa per il 100° numero di Paragone, la rivista di critica d’arte e di letteratura fondata dal grande storico dell’arte nel 1950. Ma l’elenco degli amici è lungo: Ennio Morlotti, Renato Guttuso, Eduardo De Filippo, Ermanno Olmi, Domenico Porzio, Giorgio Soavi, Ornella Vanoni, Mario Soldati, Alberto Arbasino e tanti, tanti altri. L’elenco delle amicizie trova il suo apice nelle immagini di Testori con le “Regine”, le attrici che hanno portato in teatro i suoi testi: da Franca Valeri a Rina Morelli, da Pupella Maggio fino a Lilla Brignone e Mariangela Melato, da Luisa Rossi a Francesca Benedetti e Adriana Innocenti.
Al piano superiore di Casa Testori, la scena è stata dominata dal teatro attraverso le fotografie di Giuseppe Pino relative all’epopea della nascita del Salone Pier Lombardo, oggi Teatro Franco Parenti. “Franco Primo” è il titolo di questa sezione a cui segue “Franco Secondo” relativa al sodalizio con un altro grande attore, Franco Branciaroli, testimoniato attraverso gli scatti di Valerio Soffientini, in particolare attraverso le foto dedicate alla indimenticabile messa in scena di “In Exitu” alla Stazione Centrale di Milano nel dicembre 1989. Proprio una storica fotografia realizzata da Ennio Barbera, di un ragazzo morto per overdose alla Bovisa, era stato lo spunto di questo testo intenso e drammatico.
Una stanza è stata dedicata al rapporto dello scrittore con i giovani. Sono molti gli scatti in cui Testori è ritratto durante incontri pubblici, spesso nelle scuole, o nei centri culturali: un video propone alcuni momenti del confronto con Alberto Moravia sui “Promessi Sposi” avvenuto a Milano nel 1984 davanti ad una folla impressionante di ragazzi. Quello con i giovani è un rapporto convinto e appassionato in cui Testori si spese senza risparmio di energie. Come era accaduto con i ragazzi della Compagnia dell’Arca di Forlì, con i quali aveva portato in scena un suo testo, “Interrogatorio a Maria”, rappresentato poi in centinaia di repliche in tutta Italia. Una di queste era avvenuta a Castelgandolfo, al cospetto di Giovanni Paolo II: un incontro documentato da numerose immagini.
Nell studio di Testori si scopre la sua dimensione di “Scrittore nomade”: una serie di fotografie mostrava come fosse sua consuetudine lavorare a romanzi o testi teatrali in situazioni pubbliche: sulle panchine del parco, ai tavolini dei bar, persino sui tram. Il contatto con la vita reale funzionava per lui da innesco creativo necessario.
Il corridoio del primo piano ospitava un’installazione scenografica della fototessera di Testori, dagli anni ’50 fino agli anni ’80. Attorno erano disposti i ritratti firmati da Armin Linke, Giorgio Lotti, Maria Mulas, Giovanni Giovannetti, Leonardo Cennamo, Carla Cerati e Uliano Lucas: tutti erano contraddistinti dalla ricerca dell’intensità e profondità dello sguardo.
Il percorso della mostra si chiudeva con la stanza intitolata “Exit”, una raccolta di immagini degli ultimi anni di Testori, costretto a centellinare le apparizioni pubbliche a causa delle sue condizioni di salute. Sono foto che colpiscono per la profondità del suo sguardo scavato e intenso. Gli scatti sono stati accompagnati dal video dell’intervista rilasciata a Riccardo Bonacina per RaiDue poche settimane prima della fine nella sua stanza all’ospedale San Raffaele di Milano.
«Più che una mostra Fotoromanzo Testori vuole essere un viaggio nella vita dello scrittore. È lui a prendere per mano i visitatori, attraverso una sequenza di stendardi dove le immagini dialogano con sue frasi. A volte è la sua voce a far da guida; una voce che produce ogni volta una scossa emotiva, proprio come si ascoltasse una pagina di romanzo», spiega Giuseppe Frangi, presidente dell’Associazione Giovanni Testori, la realtà che gestisce l’eredità dello scrittore. «La mostra è resa possibile dalle continue acquisizioni con cui in questi anni è stato arricchito l’Archivio Testori, un importante patrimonio a disposizione di tanti studiosi che ha permesso approfondimenti di grande interesse sulla figura e sul lavoro di Testori e sulla cultura italiana del Novecento».
Un progetto di Casa Testori Casa Testori 8 Ottobre – 28 Gennaio 2023
La mostra con cui Casa Testori ci conduce al centenario della nascita di Giovanni Testori (1923-1993) è dedicata alla sua attività di pittore. Del resto, noto come intellettuale, scrittore, drammaturgo e critico d’arte tra i più vivi e controversi del Novecento, Testori diede avvio alla sua instancabile produzione culturale negli anni Quaranta proprio come pittore e i suoi primi scritti critici nascono dalla sperimentazione diretta. La mostra è stata animata per tutta la sua durata dalle visite guidate condotte dagli studenti di alcuni licei milanesi nell’ambito del primo dei quattro progetti “GI00VANNI TESTORI CON LE SCUOLE: PCTO per il Centenario Testoriano”. La mostra e le attività educative ad essa correlate sono realizzate con il sostegno di Regione Lombardia.
Una straordinaria acquisizione L’occasione della mostra è stata il recupero da parte dell’Associazione Giovanni Testori di un importante nucleo di dipinti e disegni riemersi dopo vent’anni di oblio, opere che hanno permesso al visitatore di scoprire un Testori inedito. La produzione pittorica è legata a due momenti precisi della vita di Testori, separati da una lunga pausa di lontananza dalle tele. Se il primo nucleo è legato agli anni intorno alla Seconda guerra mondiale, tra il 1942 e il 1949, il secondo, accesosi sul finire degli anni Sessanta, attraversa tutti gli anni Settanta, in un fitto susseguirsi di sperimentazioni, anche tecniche.
Al primo piano Seguendo il filo della cronologia, le opere sono state disposte lungo le pareti dei due piani della casa. Al primo piano due stanze sono state dedicate agli anni Quaranta: dai primi acquerelli di paesaggio, agli studi per la Crocifissione del ’49. Un susseguirsi sorprendente di pittura, con la quale Testori partecipa alla ricerca formale di una generazione che deve fare i conti con Picasso. La stanza dedicata ai tramonti sul lago e alle Teste del Battista segna il ritorno testoriano alla raffigurazione: dal disegno all’acquerello, fino ai primi oli: tra il 1967 e il 1969 si prepara la così la rivoluzione del decennio che si sta aprendo, cui è dedicato tutto il piano sottostante.
Al pian terreno Dalla prima stanza esplodono gli anni Settanta, con il loro incredibile portato di materia: blocchi di colore a olio che, dal Trittico di Pugili, ci accompagnano nel salone e in veranda, in una produzione tutta concentrata tra il 1970 e il 1971, scesa dal cavalletto in tempo per essere esposta alla grande mostra alla Galleria Galatea di Torino, diretta da Mario Tazzoli. In cucina trovava spazio un necessario approfondimento sul disegno e la carnalità del segno, opere eseguite tra il 1970 e il 1974, vegliate dal suo autoritratto. A dar conto di nuovi importanti cambi di tecnica, si incontrano i grandi acrilici, per lo più nudi femminili cui si approda solo superando la grande lotta dei pugilatori, posta ai piedi delle scale. A concludere la mostra è la pace inusitata delle nature morte del 1977. Ancora bianco: il fondo è steso ad acquerello, ma steso denso e corposo per celare il crepitio del colore che ancora batte sotto la superficie. Splendore e irrequietezza, come sempre accade nell’opera di Giovanni Testori.
Realismo Quaranta L’Associazione Testori conserva il più importante nucleo di opere realizzate da Testori nella sua prima stagione pittorica. Un vero palinsesto visivo del suo pensiero critico, in anni in cui il Realismo italiano è al centro del dibattito culturale e i pittori che ad esso sentono di appartenere s’interrogano sulla sofferenza della Guerra, la sete di Libertà, la forza del quotidiano e lo spettro di Picasso, padre padrone da attraversare cercando di non soccombere. Anni in cui Testori affida i suoi disegni alle riviste del GUF di cui era già responsabile per l’arte a 18 anni. Da pittore, si fa le ossa su paesaggio e natura morta, nella Milano bombardata e poi liberata e si interroga sul ritorno della pittura d’avanguardia nelle chiese, arrivando alla grande Crocifissione, il capolavoro di quegli anni esposto in mostra e ultima opera realizzata, prima del ventennale abbandono della pittura.
Tutto Settanta Nello stesso decennio delle grandi messe in scene al Teatro Pier Lombardo con Franco Parenti, Ambleto, Macbetto, Edipus (1972-1976), Testori si ributta a capofitto nella pittura, con i materici dipinti ad olio esposti alla galleria Galatea di Mario Tazzoli a Torino (1971), passando all’acrilico con i nudi di donna presentati alla Galerie Alexander Iolas di Milano (1974) e brandendo con furia il carboncino per i grandi studi anatomici e vegetali che turbarono il pubblico della milanese Galleria del Naviglio di Giorgio Cardazzo (1975) e della romana Galleria il Gabbiano (1976). Una cavalcata nella materia e al fondo di soggetti carnali che venne via via presentata in catalogo da critici d’arte come Luigi Carluccio e Giuliano Briganti, ma anche letterari come Piero Citati e Cesare Garboli, a sottolineare l’intreccio tra letteratura e figurazione così determinante per Testori.
Bianco Testori In mostra il visitatore è stato chiamato a un’immersione totale nella pittura, passando, di visione in visione, alla scoperta di assonanze tematiche, attraverso indagini che esauriscono in pochi mesi un soggetto o una tecnica. La materia è per il Testori pittore come per il Testori critico, e perfino poeta, il cuore della sua ricerca espressiva, che in questa mostra emerge grazie a nuovi protagonisti. Si scopre così il ruolo centrale del bianco nella sperimentazione degli anni Settanta. È un colore che, inizialmente negato dalla stesura di grandi fondi colorati, in un secondo tempo, a soggetto ultimato, spesso interviene ad annullarli. È quello che accade nei suoi celebri Pugilatori, immersi in una materia-vita resa con blocchi di colore, da cui la figura deve emergere a forza per non affondare. È lo stesso bianco che, perso il suo spessore, diventa nebbia leggera negli acrilici, pressoché monocromi, dei Nudi feminili ton sur ton, per tingersi di rosso sangue, in seguito a cruenti interventi mutilanti che caratterizzano il ciclo presentato da Iolas, per il quale Testori curò nel dettaglio l’allestimento fin nella progettazione delle cornici. Un bianco che sembra negato dal nero profondo della grafite, stesa con irruenza nelle grandi carte della metà degli anni Settanta. Sono carnali studi anatomici maschili e femminili che si associano ad elementi vegetali, se possibile ancor più carnali. Carte che appaiono enormi negativi fotografici a soggetto erotico, che dei corpi accentuano, più che la morbosità di visione, l’inesauribile lotta per la sopravvivenza. Non a caso alcune di queste opere vennero poste a chiusura dell’esposizione milanese di Palazzo Reale dedicata da Francesco Bonami agli anni Settanta (2012) e sono ora al centro di una mostra dedicata agli eretici del Novecento, allestita in questi mesi al Mart di Rovereto. Il bianco, nascosto dal “negativo” di queste carte, riemerge immediatamente protagonista nel 1977, chiamato ad annullare ancora una volta, come era accaduto al principio del decennio, i fondi colorati, spesso stesi in giallo squillante. Un bianco che torna raggrumato ad acquerello in grandi campiture, imponenti quinte teatrali che lasciano intravvedere il colore appena percettibile sotto di esse, e da cui riemergono verdure e fiori domestici, descritti come reperti archeologici ripuliti dalla terra, o animali spennati, quasi fossero stesi sul tavolo di marmo abbondantemente infarinato da una cuoca. Una freschezza e inquietudine, tanto ancestrale quanto domestica, che fa di queste Nature morte forse le opere più sorprendenti dell’esposizione novatese.
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A conclusione dell’iniziativa, ha avuto luogo un incontro dedicato alla pittura degli anni ’70 di Testori. Per l’occasione sono stati invitati a intervenire Antonio Grulli, curatore indipendente e membro permanente del board dello spazio Viafarini di Milano, Lorenzo Madaro, docente all’Accademia di Brera, curatore e critico per La Repubblica e Rischa Paterlini, curatrice e docente alla Naba. Puoi rivedere qui l’incontro.
A cura di Casa Testori Con la supervisione scientifica di Elena Pontiggia Rimini, Meeting per l’amicizia fra i Popoli 2022, Fiera di Rimini 20-25 agosto 2022
Dal 20 al 25 agosto 2022, al Meeting di Rimini, Casa Testori ha presentato la mostra “Da Martini a Guttuso. Una piazza per sei protagonisti del ’900 italiano”.
Come i grandi artisti italiani hanno saputo dare testimonianza di una passione per l’uomo nel percorso drammatico e inquieto del secolo breve? Il percorso proposto da Casa Testori parte dal titolo dell’edizione 2022 del Meeting – “Una passione per l’uomo” – per darne una rappresentazione visiva attraverso sei grandi opere che documentano l’impeto di un’arte che è riuscita a porsi come presidio dell’umano. In una stagione storica attraversata dalle grandi ideologie, questi artisti a volte partono da posizioni opposte, come nel caso di Mario Sironi e di Renato Guttuso, uno vicino al fascismo, l’altro iscritto al Partito Comunista. Eppure le differenze sfumano nella coscienza che li accomuna: la centralità della presenza umana, con le proprie aspirazioni, le proprie ansie e anche le proprie malinconie. L’esperienza del ’900 è segnata dalle terribili ferite inferte alla vita di milioni di persone: è proprio a partire da questa coscienza, assunta in modo coraggioso e radicale, che si genera il lavoro di Leoncillo, con la serie dei suoi “San Sebastiano”. Marino Marini, invece, in uno dei suoi capolavori, attraverso il balzo del cavallo che disarciona il cavaliere, dà forma all’impeto della domanda che arde nel cuore di ogni donna e di ogni uomo ed è forma dell’irriducibilità di ogni essere. Non vediamo figure nella grande opera di Titina Maselli, che rappresenta la corsa di un treno della metropolitana: ma dietro i finestrini si coglie la pregnanza di mille presenze, alle prese con le attese e le fatiche di un quotidiano molto contemporaneo. Infine, il grande Arturo Martini, in uno dei capolavori della scultura dell’intero ’900, ci restituisce l’esperienza che meglio qualifica il soggetto umano, quella del perdono, con l’abbraccio tra il padre e il figliol prodigo.
La mostra si è avvalsa della supervisione scientifica di Elena Pontiggia, una delle più importanti conoscitrici dell’arte italiana del ’900 e gli artisti sono stati scelti da Casa Testori, tra collezionisti privati, istituzioni e importanti Musei italiani.
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Sabato 20 agosto è stato presentato il dipinto “Spes contra Spem” di Renato Guttuso, alla presenza della Dott.ssa Serena Contini, curatrice insieme a Fabio Carapezza Guttuso della mostra organizzata dal Comune di Varese “I tempi della pittura. Cronografia di alcune opere di Renato Guttuso dipinte a Velate: l’archivio di Nino Marcobi” in corso al Castello di Masnago – Varese, e con Davide Dall’Ombra, direttore di Casa Testori. Clicca qui per vedere il video dell’incontro.
Luca Bertasso e Mauro Maffezzoni Progetto espositivo a cura di Alessandro Frangi Casa Testori Prorogata fino al 24 settembre
ARTISTI IN OGNI ETÀ TRE GENERAZIONI A CONFRONTO
Incontro con Luca Bertasso, Mauro Maffezzoni e Martina Cioffi Con la partecipazione di Chiara Canali
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Questa mostra deve il suo titolo a un bellissimo libro che Agata Boetti, figlia di Alighiero, ha pubblicato nel 2016. Agata lo ha scritto per spiegare che per lei l’arte di quel padre così speciale era innanzitutto una «moltitudine di giochi». Quindi era semplice, inattesa ma immediatamente recepibile. Luca Bertasso e Mauro Maffezzoni; o meglio, Luca e Mauro, perché il gioco introduce sempre una familiarità, hanno riempito le stanze di Casa Testori con la sana improntitudine di chi vive l’arte con appassionata leggerezza. C’è una parola che, nella sua accezione più bella e piena, restituisce il senso di questa mostra: divertimento. L’etimologia della parola risale a “divertere”, cioè volgere altrove, prendere un’altra direzione. Luca e Mauro sono due artisti devoti alla pittura, rispettosi della quotidiana dedizione e disciplina che la pittura impone. Eppure nella pittura trovano varchi, per “divertere”, quindi per smentirne la seriosità. Luca si muove con disinvoltura in un immaginario che sposa il pop con il fumetto. Gli occhi dei suoi personaggi sono curiosi, sgranati, indiscreti. Hanno una spavalderia rockettara, con quei tratti somatici sempre così sfrontatamente rimarcati. Sono fissi e saldi come icone, ma sempre dispensano un sottile senso di ironia. Mauro si muove invece con fare libero e volutamente non professorale, a dispetto del suo ruolo, dentro l’immenso bacino dell’arte del passato, per saccheggiarne un pezzo ogni giorno e replicarlo. L’azione potrebbe sembrare un po’ iconoclasta, in realtà è dettata da una simpatia che a volte travolge anche le buone maniere.
Il gioco dell’Arte prosegue poi (a partire dal 19 luglio) nella stanza del Giardino d’Inverno, con l’installazione di Martina Cioffi. Al centro dello spazio sono spuntati dei fiori in argilla smaltata. Sono fiori frutto di fantasia, improbabili e insieme sontuosi e hanno per stelo un tondino di ferro. L’Arte a volte può, anche là dove la natura è impedita…
Una raccomandazione: il gioco dell’Arte è tale se riesce ad essere contagioso e quindi se si trasmette anche al visitatore. Perciò la raccomandazione nel percorso di questa mostra è di non arrovellarsi in troppi ragionamenti ma di lasciarsi andare. Guardare, immaginare, divertirsi, rimescolando le carte del gusto e adottando punti di vista scorretti.
Un progetto di Casa Testori A cura di Davide Dall’Ombra Castello Gamba – Museo d’arte moderna e contemporanea Châtillon, Valle d’Aosta 22 Giugno – 25 Settembre 2022
L’ultima guerra di Mario Schifano 1988-1998 è la mostra che il Castello Gamba-Museo di arte moderna e contemporanea della Regione autonoma Valle d’Aosta ha dedicato al grande protagonista della pittura del Novecento dal 22 giugno al 25 settembre 2022. L’artista (1934-1998) è una delle presenze più importanti nella collezione permanente del Museo con Calore locale,Collinare,Per vedere,OrizzontaleeVista interrotta opere che sono il frutto di un periodo di residenza di Schifano in Valle D’Aosta tra il febbraio e il marzo del 1988 e che sono state presentate in mostra con un allestimento inedito, in rapporto con il paesaggio che le ha ispirate. Schifano lavorò febbrilmente in un’ala dell’antico priorato di Saint-Bénin producendo decine e decine di quadri, insieme a opere su carta, che vennero esposte alla Tour Fromage nella mostra Mario Schifano. Verde fisico, svoltasi dal 30 aprile al 24 luglio del 1988.
La mostra L’ultima guerra di Mario Schifano 1988-1998 – nata da un progetto di Casa Testori, curata da Davide Dall’Ombra e realizzata dalla Regione autonoma Valle d’Aosta, Assessorato ai Beni culturali, Turismo, Sport e Commercio – ha avuto come punto di partenza l’episodio valdostano del 1988 e ha voluto approfondire gli ultimi straordinari anni del percorso di Schifano, fino alla morte del 1998. Un decennio irripetibile per l’artista: anni febbrili e prolifici, magari contraddittori, di lotta corpo a corpo con le opere, di ritorno alla pittura e di “guerra” con la pittura stessa, come con le proprie dipendenze e ossessioni, anni segnati dalla consueta e inarrestabile urgenza creativa.
In principio fu “Chimera” Le grandi opere degli anni ’80 e ’90 in mostra, sono state introdotte da un video, curato da Casa Testori, che raccontava la nascita di Chimera, l’opera monumentale realizzata da Schifano durante la performance di una sola notte a Firenze, nel 1985. Un momento cardine per comprendere la forza del gesto pittorico di Schifano e la natura comunicativa della sua opera, che ben spiegano il clima in cui nasce la disponibilità dell’artista all’esperienza di residenza valdostana di pochi anni dopo. Un episodio cardine per comprendere il confronto di Schifano con l’archeologia, fondamentale per la sua formazione e centrale anche nelle tele valdostane.
Capolavori per uno sguardo Nei mesi drammatici che l’Europa sta vivendo oggi, appaiono di dolorosa attualità i “ritratti” della guerra in senso proprio che Schifano dedica alla crisi del Golfo. È un periodo, dalla fine degli anni ’80, in cui l’artista è particolarmente segnato dai media e dalla multimedialità. In anni di reclusione volontaria nella sua casa-studio, la televisione diviene per lui una finestra sul mondo e fonte ossessiva d’ispirazione. Rivolgendo la sua attenzione ai principali fatti di cronaca dell’epoca, della guerra ci restituisce uno sguardo proprio e struggente, declinato in opere imprescindibili del suo percorso. Nella sala principale dedicata alle esposizioni temporanee, sono state presentate due opere monumentali dedicate al dramma della guerra in Iraq: Tearful [In lacrime] del 1990, diventata una sorta di autoritratto ideale dell’artista, e Sorrisi Scomparsi del 1991, l’unico volto possibile della tragedia in Kuwait. In Tearful il dramma della guerra è visto dall’interno del rapporto padre-figlio, partendo da una foto ritagliata dal «Time» del 10 dicembre 1990, dove un bambino ci guarda smarrito mentre il padre soldato, in partenza per il fronte, china la testa coprendosi il volto in lacrime. In Sorrisi scomparsi una folla di nuovi volti senza volto sono sovrastati dalla traduzione in arabo del titolo dell’opera e danno corpo al dramma collettivo del Kuwait.
La rielaborazione pittorica delle immagini televisive si affianca a quella fotografica. Schifano manda a stampare decine di rullini al giorno: foto scattate agli schermi TV che si accumulano nel suo studio a mazzi e sono coinvolte in un processo divorante e germinativo insieme.
In mostra vengono presentate quattro grandi composizioni in pannello incorniciate in plexiglass (293 x 186 cm cad.) che presentano oltre 1300 fotografie 10×15 cm ritoccate ad olio e pennarello, realizzate tra la fine degli anni Ottanta e il principio degli anni Novanta. Sono il frutto dell’occhio e della personalità vorace dell’artista: “Io mi sento come un media… Attraverso questa finestra [la TV] io catturo le immagini che più mi colpiscono, i messaggi provenienti dalla realtà drammatica che ci incalza. Ma non sono uno spettatore passivo. Mentre seguo sul video il susseguirsi vertiginoso degli avvenimenti, penso, rifletto, creo”. Una produzione sterminata che Emilio Mazzoli ha definito il “rosario di Schifano”, snocciolato durante il giorno ad ogni occasione libera, nel tentativo di lasciare un’impronta su quello che accadeva intorno a lui.
Omaggio a Emilio Mazzoli La mostra è nata anche con l’intento di festeggiare gli 80 anni di una personalità cardine per la vicenda di Schifano come Emilio Mazzoli, tra i più importanti galleristi italiani, suo appassionato sostenitore in quegli anni. Per l’occasione, Mazzoli ha generosamente messo a disposizione del Castello Gamba, grazie al rapporto di collaborazione e stima con Casa Testori, le opere germinali di Schifano presentate e sarà eccezionalmente in mostra con il suo doppio ritratto, mai esposto prima d’ora, eseguito da Schifano tra il 1994 e il 1995: CARO EMILIO CONTINUA… (stampa e tecnica mista su carta applicata su tavola, 180 x 135 cm cad.). Un omaggio a un personaggio chiave per la cultura artistica italiana del dopoguerra, capace di cogliere il valore dell’artista ai suoi esordi e deciso nel sostenerlo e accompagnarlo, anche grazie al coinvolgimento delle penne critiche più rivoluzionarie del suo tempo, come Giovanni Testori e Achille Bonito Oliva.
Schifano tra la sua natura L’altana del castello è dedicata alla puntuale ricostruzione, attraverso opere, documenti, immagini e testimonianze inedite, della vicenda della residenza di Schifano ad Aosta nel 1988, grazie al ritrovamento di un’inedita campagna fotografica della mostra e a bellissime foto di Schifano al lavoro nel suo studio aostano. Un episodio cardine che si inserisce in un momento culturale vivacissimo della Valle d’Aosta, con l’istituzione dell’Ufficio Mostre della Regione nel 1986 e una particolare attenzione alle attività espositive di carattere internazionale. L’energia della committenza e l’impegno di critici d’arte come Janus (Roberto Gianoglio 1927-2020), portarono, infatti, alla realizzazione di eventi espositivi originali, spesso di taglio monografico, con un flusso continuo di decine di mostre l’anno, tra il 1986 e il 1995, per oltre cento in totale. Gli artisti venivano invitati ad esporre i loro lavori, a condividerli con la collettività, e le mostre permisero anche un importante arricchimento delle collezioni della Regione. Lo documenta in mostra la collana Fabbri “Valle d’Aosta Cultura”, presentata nella sala del Museo Gamba dedicata alle committenze della Valle.
Dal 2 luglio si è aperto un ciclo di incontri al Castello Gamba per approfondire l’opera dell’artista attraverso gli interventi di alcuni critici d’eccezione.
Sabato 2 luglio Visita guidata con il curatore
Sabato 16 luglio “Chi è Mario Schifano?” Incontro con Francesco Guzzetti
Venerdì 29 luglio Conversazione con Luca Ronchi, biografo ufficiale dell’artista Proiezione del documentario “Mario Schifano tutto” di Luca Ronchi
Venerdì 23 settembre Dialogo con Davide Dall’Ombra, curatore della mostra
In occasione della chiusura della mostra, il curatore Davide Dall’Ombra ha raccontato gli aspetti più profondi di questo instancabile e multiforme protagonista della pittura del Novecento.
A cura di Alice Boltri e Davide Dall’Ombra Casa Testori 5 Giugno – 23 Luglio 2022
“Dipingere e scolpire è per noi atto di partecipazione alla totale realtà degli uomini, in un luogo e in un tempo determinato, realtà che è contemporaneità e che nel suo susseguirsi è storia”. Marzo 1946: sulla rivista Argine Numero viene pubblicato Oltre Guernica. Il Manifesto del Realismo di pittori e scultori. Tra i dieci firmatari compaiono anche i nomi di Vittorio Tavernari e Giovanni Testori, probabile estensore del Manifesto.
Proprio da questo episodio ha preso avvio la mostra “Il Manifesto del Realismo. Vittorio Tavernari a Casa Testori” dove ha inaugurato domenica5 giugno e fino al 23 luglio 2022 ospitava al primo piano un importante nucleo di sculture di Vittorio Tavernari (1919-1987), realizzate negli anni intorno al Manifesto, conservato nell’Archivio dell’Associazione Giovanni Testori.
La mostra ha inaugurato il progetto ARCHIVIFUTURI, prima edizione del Festival degli Archivi del Contemporaneo, organizzato dall’omonima rete costituita grazie al progetto vincitore dei PIC 2020/2022, attuati da Regione Lombardia.
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Le opere esposte, cui si affiancavano importanti disegni coevi, accompagnavano il visitatore alla scoperta di quegli anni cruciali per l’attività degli artisti milanesi e per l’evoluzione stilistica dello scultore, impegnato a scardinare il figurativo. Nel periodo di apertura della mostra, inoltre, Casa Testori ha organizzato visite guidate dai curatori e laboratori didattici per famiglie per far conoscere in modo più approfondito l’artista, le sue opere e la sua tecnica.
Ad aprire l’esposizione è stata una scultura in gesso del 1943: realizzata per la fusione dell’anno seguente, dà corpo a una figura femminile in torsione che ben rappresenta il modellato di Tavernari prima della Guerra, precedente alla produzione scultorea legata agli anni del Manifesto. Si coglie un processo sul corpo in divenire, testimoniato da una versione in bronzo con le braccia, ora perduta ma pubblicata sulla stessa Argine Numero proprio nel ’46.
Il nucleo centrale delle sette sculture in legno che sono state presentate in mostra appartiene al periodo legato al Manifesto, tra il 1944 e il 1947. In esse è possibile cogliere l’evoluzione da una raffigurazione fortemente figurativa a una semplificazione delle forme che dà loro una connotazione primitiva e arcaica, tendente a quell’astrattismo che in effetti caratterizzerà il periodo successivo dell’artista, dal 1948. Maternità (1944) apre la serie con tratti semplici ed essenziali, atti a delineare i volumi in modo netto. Le figure si presentano in pose statiche ma caratterizzate da movimenti ancestrali e impercettibili, come avviene per la Donna che si sveste (1945). È una coppia di sculture che costituisce un avvio quasi obbligato per rappresentare il pieno della produzione mobile di Tavernari durante la Guerra, come messo in luce già nelle mostre in cui erano esposte entrambe, al Padiglione di Arte Contemporanea di Milano (1969) o al Museo Rodin di Parigi (1973).
Un nucleo di tre sculture di piccolo formato e grandissima tensione plastica risale al 1945 e presenta in modo chiaro la fase appena successiva della produzione di Tavernari. I tratti somatici e i dettagli delle vesti scompaiono per lasciare posto a forme più compatte e sfaccettate che evocano l’abbozzo, scelto per impreziosire la forza espressiva insita nella materia. Un trattamento meno accentuato in Cariatide e che trova la sua espressione piena in Figuretta femminile con braccio levato dietro la testa e Figuretta femminile con braccia distese, due sculture che mostrano una mutata ricerca dell’impressione di movimento, sul filo dell’impercettibile.
A concludere il percorso vi era una coppia di sculture di diversa proporzione messe in dialogo tra loro. Realizzate dopo la pubblicazione del Manifesto, Piccolo nudo (1946) e Torso femminile (1947) si incamminano sulla via che porterà all’astrattismo e ai celebri “Torsi” di Tavernari. L’artista trasforma il legno intagliandolo finemente, per ricavarne forme sinuose, nelle quali rimangano riconoscibili solo gli elementi anatomici distintivi.
In stretto dialogo con le sculture, una parete è stata dedicata alla coeva attività grafica di Tavernari, esponendo, da una parte, una serie di nudi fortemente legati al periodo pre Manifesto della scultura in gesso e, dall’altra, una terna in cui si rintraccia lo stesso lavoro a piani materici delle sculture lignee esposte, qui reso con disegni a penna e pennarello di china su carta bagnata. Spesso si tratta di disegni bifronte, in cui Tavernari riutilizza carte appartenenti al primo periodo, dando vita a documenti che condensano le caratteristiche formali di questo passaggio cruciale per l’artista, dal 1943 al 1948.
Del resto, già nel 1966 Carlo Ludovico Ragghianti, impegnandosi nella stesura di un catalogo dei disegni di Tavernari, spiegava la decisività del procedere dell’artista nel disegno, ove “la penna di vario spessore è usata con aggressiva velocità di segno e di tracciato, su un medium cartaceo che viene bagnato o imbevuto perché la figura possa «ambientarsi» in modo immediato, risultare immersa in un’atmosfera non uniforme o fluida, ma di varia e contrastata intensità.”
Infine, in mostra, trova una conferma la centralità del Manifesto per Tavernari e per l’ambiente culturale varesino grazie all’evocazione della Mostra del «Numero», allestita nella Galleria Varese di Bruno Grossetti nell’estate del 1946, si pensa per volere dello scultore, che volle portare nel suo territorio gli artisti che, a vario grado di coinvolgimento, facevano capo alla rivista. Una mostra importante di cui si era persa traccia, dove vennero presentate opere dello stesso Tavernari e di Ciri Agostoni, Giuseppe Ajmone, Aldo Bergolli, Bruno Cassinari, Renato Guttuso, Ibrahim Kodra, Ennio Morlotti, Giovanni Paganin, Armando Pizzinato, Ernesto Treccani, ed Emilio Vedova. Una compagine già variata rispetto ai firmatari del Manifesto, in cui spicca l’assenza di Testori, in anni di sommovimenti, continui ripensamenti e riorganizzazioni culturali o programmatiche per artisti sempre divisi tra necessità di condivisione e d’indipendenza. La mostra a Casa Testori ha inaugurato il progetto ARCHIVIFUTURI. Prima edizione del Festival degli Archivi del Contemporaneo, organizzato dall’omonima rete costituita grazie al progetto Archivi del Contemporaneo. Lombardia terra d’artisti, vincitore dei Piani Integrati della Cultura – PIC 2020/2022, attuati da Regione Lombardia per promuovere la progettualità culturale strategica in forme integrate e multisettoriali che richiedono il coordinamento tra soggetti pubblici e privati.
Un weekend alla scoperta del quartiere tra workshop e opere sitespecific
Il nuovo progetto CORTILI CREATIVI A SAN SIRO si poneva come intervento articolato nello spazio e nel tempo, per poter permeare il territorio su cui insiste, grazie al coinvolgimento attivo degli abitanti del quartiere. I cortili come grandi spazi di convivenza, intuizione importante nella progettazione architettonica del quartiere San Siro: spazi che nel progetto diventano luoghi di lavoro per le tre artiste chiamate a proporre percorsi partecipati, resi possibili grazie alla rete associativa del territorio. In particolare grazie alla collaborazione con il Comitato di quartiere San Siro, la scuola di italiano Punto.it, Propositi di Filosofia e Qubi Selinunte.
Il quartiere San Siro rappresenta un caso unico per la città. Le problematiche relative alle povertà educativa, culturale e socio economica rintracciabili in tutta la periferia urbana qui sono particolarmente acute e visibili negli adolescenti residenti: la coesistenza di 85 nazionalità differenti, con un tasso giovanile elevato – circa il 18,4% dei residenti è minorenne rispetto alla media cittadina del 16%, secondo quanto riportato dallo studio “Mapping San Siro” svolto dal Politecnico di Milano – e una popolazione di persone di nazionalità italiana prevalentemente anziane, nonché un alto tasso di persone in carico ai servizi psichiatrici.
Il progetto si è articolato attraverso l’attivazione di tre laboratori di Teatro, Fotografia e Scultura per i ragazzi, le ragazze e le donne della scuola di italiano del quartiere con l’obiettivo di trasformare tali segmenti di popolazione in persone che non soltanto siano in grado di fruire la cultura, ma ne diventino protagoniste, desiderose di partecipare e godere di essa mettendosi in gioco durante l’evento finale del 4 -5 giugno.
In parallelo ai tre laboratori, la fotografa Marta Carenzi e la scultrice Martina Cioffi hanno presentato un lavoro fatto ad hoc facendo diventare i cortili protagonisti.
IL PROGRAMMA
Marta Carenzi – Volti come luoghi Esposizione del reportage con a tema i cortili Aler e in particolare i loro custodi, presenze imprescindibili per garantire non solo l’ordine nei luoghi, ma per stabilire buone relazioni tra gli abitanti. Il reportage è presentato sotto forma di trittici che saranno conclusi da immagini delle statuette della Madonna, altra presenze costanti e silenziose in tutti i cortili, immagine rispettata e curata da tutti, al di là dell’appartenenza religiosa.
La scelta di esporle nelle vetrine di Casa di Comunità è per sottolineare l’importanza del nuovo polo socio – sanitario territoriale creato in collaborazione con Aler, che con la presenza dei Community manager e un Ambulatorio aperto a tutti, si propone di migliorare la qualità della vita degli abitanti dei quartieri portando nuove funzioni sociali. Vetrine Casa di Comunità Aler – Piazzale Selinunte
Esposizione delle foto realizzate dai ragazzi del Colibrì All’interno del laboratorio di Fotografia tenuto da Marta Carenzi. Il laboratorio ha voluto calare un gruppo di ragazzi nei panni di fotografi che, dopo essere stati formati, hanno realizzato con mezzi propri (macchine fotografiche o smartphone) i loro ritratti e quello dei loro educatori. Seguendo infine l’allestimento della loro mostra. Comitato di quartiere San Siro – Via Paravia 80
Marco Ferrario – “Dal Quadrilatero” Cap 1 – “Anche lo zucchero sembra sale”. Esposizione delle fotografie del progetto tenuto da Marco Ferrario dove ha visto il fotografo realizzare una vera collaborazione con le persone che ha fotografato, i ragazzi delle scuole medie che frequentano l’oratorio “Beata Vergine Addolorata”. Comitato di quartiere San Siro – Via Paravia 80
Martina Cioffi – Un Giardino Sotterraneo Segreto Opera site-specific, laterizi, tondini, smalti, dimensioni ambientali.
L’artista ha pensato un’installazione per uno dei luoghi più carichi di storia del quartiere: il bunker antiaereo perfettamente conservato nel cortile di Via Preneste 4. Partendo dal mattone, modulo d’argilla simbolo dell’abitare umano e forzandone la rigida forma fino ad assumere sembianze vegetale, l’artista reinterpreta lo spazio del bunker trasformandolo in un impossibile “giardino” sotterraneo. Il paesaggio che attendeva fuori dal rifugio antiaereo chi vi si rifugiava durante i bombardamenti era fatto di detriti, idealmente queste macerie sono stati i “semi” che hanno fatto germogliare questo giardino. Bunker nel cortile di Via Preneste 4.
Marika Pensa – Un viaggio intorno al mondo Lettura espressiva: poesie, canzoni, musiche da tutto il mondo con le donne della scuola di italiano di Punto.It.
Il cortile, luogo di intimità e condivisione, accoglie un percorso sonoro nel quale il pubblico potrà ascoltare brani di canzoni, testi e poesie provenienti da diverse parti del mondo, lette in lingua originale e tradotte in italiano, sotto la guida dall’attrice Marika Pensa. A fare da sfondo a questo viaggio intorno al mondo sarà il tema dell’albero che, con le sue radici, rievoca l’atmosfera dei luoghi del cuore e con i suoi rami ci invita a tendere al cielo, all’infinito. Cortile di Via Paravia 82.
Durante le due giornate dell’evento finale è stato possibile seguireLaboratorio aperto a tutti di modellazione con l’argilla edecorazione con “engobbi” tenuto da Martina Cioffi. Comitato di quartiere San Siro – Via Paravia 80.
Le guide di quartiere (classe 3H del Boccioni) formate da Propositi di filosofia, condurranno il pubblico alla scoperta del quartiere e dei lavori dei laboratori e delle artiste.
Il progetto Cortili Creativi si è inserito nel programma Lacittàintorno di Fondazione Cariplo, che promuove attività culturali capaci di coinvolgere gli abitanti dei contesti urbani fragili nella riattivazione e risignificazione degli spazi inutilizzati o in stato di degrado, per migliorare la qualità della vita e creare nuove geografie cittadine. Per avere informazioni sul programma e sulle diverse azioni promosse consultare: www.lacittaintorno.it – fb tw ig: @lacittaintorno