A cura di Alice Boltri e Davide Dall’Ombra
Casa Testori
5 Giugno – 23 Luglio 2022
“Dipingere e scolpire è per noi atto di partecipazione alla totale realtà degli uomini, in un luogo e in un tempo determinato, realtà che è contemporaneità e che nel suo susseguirsi è storia”.
Marzo 1946: sulla rivista Argine Numero viene pubblicato Oltre Guernica. Il Manifesto del Realismo di pittori e scultori. Tra i dieci firmatari compaiono anche i nomi di Vittorio Tavernari e Giovanni Testori, probabile estensore del Manifesto.
Proprio da questo episodio ha preso avvio la mostra “Il Manifesto del Realismo. Vittorio Tavernari a Casa Testori” dove ha inaugurato domenica 5 giugno e fino al 23 luglio 2022 ospitava al primo piano un importante nucleo di sculture di Vittorio Tavernari (1919-1987), realizzate negli anni intorno al Manifesto, conservato nell’Archivio dell’Associazione Giovanni Testori.
La mostra ha inaugurato il progetto ARCHIVIFUTURI, prima edizione del Festival degli Archivi del Contemporaneo, organizzato dall’omonima rete costituita grazie al progetto vincitore dei PIC 2020/2022, attuati da Regione Lombardia.
Le opere esposte, cui si affiancavano importanti disegni coevi, accompagnavano il visitatore alla scoperta di quegli anni cruciali per l’attività degli artisti milanesi e per l’evoluzione stilistica dello scultore, impegnato a scardinare il figurativo. Nel periodo di apertura della mostra, inoltre, Casa Testori ha organizzato visite guidate dai curatori e laboratori didattici per famiglie per far conoscere in modo più approfondito l’artista, le sue opere e la sua tecnica.
Ad aprire l’esposizione è stata una scultura in gesso del 1943: realizzata per la fusione dell’anno seguente, dà corpo a una figura femminile in torsione che ben rappresenta il modellato di Tavernari prima della Guerra, precedente alla produzione scultorea legata agli anni del Manifesto. Si coglie un processo sul corpo in divenire, testimoniato da una versione in bronzo con le braccia, ora perduta ma pubblicata sulla stessa Argine Numero proprio nel ’46.
Il nucleo centrale delle sette sculture in legno che sono state presentate in mostra appartiene al periodo legato al Manifesto, tra il 1944 e il 1947. In esse è possibile cogliere l’evoluzione da una raffigurazione fortemente figurativa a una semplificazione delle forme che dà loro una connotazione primitiva e arcaica, tendente a quell’astrattismo che in effetti caratterizzerà il periodo successivo dell’artista, dal 1948. Maternità (1944) apre la serie con tratti semplici ed essenziali, atti a delineare i volumi in modo netto. Le figure si presentano in pose statiche ma caratterizzate da movimenti ancestrali e impercettibili, come avviene per la Donna che si sveste (1945). È una coppia di sculture che costituisce un avvio quasi obbligato per rappresentare il pieno della produzione mobile di Tavernari durante la Guerra, come messo in luce già nelle mostre in cui erano esposte entrambe, al Padiglione di Arte Contemporanea di Milano (1969) o al Museo Rodin di Parigi (1973).
Un nucleo di tre sculture di piccolo formato e grandissima tensione plastica risale al 1945 e presenta in modo chiaro la fase appena successiva della produzione di Tavernari. I tratti somatici e i dettagli delle vesti scompaiono per lasciare posto a forme più compatte e sfaccettate che evocano l’abbozzo, scelto per impreziosire la forza espressiva insita nella materia. Un trattamento meno accentuato in Cariatide e che trova la sua espressione piena in Figuretta femminile con braccio levato dietro la testa e Figuretta femminile con braccia distese, due sculture che mostrano una mutata ricerca dell’impressione di movimento, sul filo dell’impercettibile.
A concludere il percorso vi era una coppia di sculture di diversa proporzione messe in dialogo tra loro. Realizzate dopo la pubblicazione del Manifesto, Piccolo nudo (1946) e Torso femminile (1947) si incamminano sulla via che porterà all’astrattismo e ai celebri “Torsi” di Tavernari. L’artista trasforma il legno intagliandolo finemente, per ricavarne forme sinuose, nelle quali rimangano riconoscibili solo gli elementi anatomici distintivi.
In stretto dialogo con le sculture, una parete è stata dedicata alla coeva attività grafica di Tavernari, esponendo, da una parte, una serie di nudi fortemente legati al periodo pre Manifesto della scultura in gesso e, dall’altra, una terna in cui si rintraccia lo stesso lavoro a piani materici delle sculture lignee esposte, qui reso con disegni a penna e pennarello di china su carta bagnata. Spesso si tratta di disegni bifronte, in cui Tavernari riutilizza carte appartenenti al primo periodo, dando vita a documenti che condensano le caratteristiche formali di questo passaggio cruciale per l’artista, dal 1943 al 1948.
Del resto, già nel 1966 Carlo Ludovico Ragghianti, impegnandosi nella stesura di un catalogo dei disegni di Tavernari, spiegava la decisività del procedere dell’artista nel disegno, ove “la penna di vario spessore è usata con aggressiva velocità di segno e di tracciato, su un medium cartaceo che viene bagnato o imbevuto perché la figura possa «ambientarsi» in modo immediato, risultare immersa in un’atmosfera non uniforme o fluida, ma di varia e contrastata intensità.”
Infine, in mostra, trova una conferma la centralità del Manifesto per Tavernari e per l’ambiente culturale varesino grazie all’evocazione della Mostra del «Numero», allestita nella Galleria Varese di Bruno Grossetti nell’estate del 1946, si pensa per volere dello scultore, che volle portare nel suo territorio gli artisti che, a vario grado di coinvolgimento, facevano capo alla rivista. Una mostra importante di cui si era persa traccia, dove vennero presentate opere dello stesso Tavernari e di Ciri Agostoni, Giuseppe Ajmone, Aldo Bergolli, Bruno Cassinari, Renato Guttuso, Ibrahim Kodra, Ennio Morlotti, Giovanni Paganin, Armando Pizzinato, Ernesto Treccani, ed Emilio Vedova. Una compagine già variata rispetto ai firmatari del Manifesto, in cui spicca l’assenza di Testori, in anni di sommovimenti, continui ripensamenti e riorganizzazioni culturali o programmatiche per artisti sempre divisi tra necessità di condivisione e d’indipendenza.
La mostra a Casa Testori ha inaugurato il progetto ARCHIVIFUTURI. Prima edizione del Festival degli Archivi del Contemporaneo, organizzato dall’omonima rete costituita grazie al progetto Archivi del Contemporaneo. Lombardia terra d’artisti, vincitore dei Piani Integrati della Cultura – PIC 2020/2022, attuati da Regione Lombardia per promuovere la progettualità culturale strategica in forme integrate e multisettoriali che richiedono il coordinamento tra soggetti pubblici e privati.