Andrea Mastrovito
Camminando con Julia per le stanze di Casa Testori, durante il primo sopralluogo per la mostra, finiamo nel grande salone, la stanza più grande della casa. Controllo le misure, faccio due calcoli e mi accorgo che, lì, Johnny ci sta alla perfezione. Così provo ad abbassare le tapparelle per valutare il grado di oscurità della stanza, pensando alla videoproiezione. Nell’abbassarle, mi accorgo di uno strano disegno che la luce esterna crea tra i fori delle tapparelle. Chiedo a Pietro, che è lì in parte, cosa sia, e mi spiega che è l’ombra delle inferriate decorate poste davanti alle finestre. Mi giro e guardo le tre grandi finestre della veranda absidata, e subito immagino di tappare alcuni dei fori delle tapparelle con del nastro adesivo. Il principio è semplice, è quello delle ombre cinesi, dei teatrini di fine Ottocento: una sagoma e una luce retroproiettata. Indagando sulla funzione delle diverse stanze della casa, scopro che proprio nella veranda venivano portati i corpi dei cari defunti per l’ultimo saluto: sulle tre grandi tapparelle raffiguro, così, una Deposizione e Trasporto di Cristo, sfruttando per le tre croci l’asse centrale in legno delle portefinestre e mettendo in aperto dialogo l’opera con l’antistante Crocifissione di Velazquez riportata, divisa, nella videoinstallazione Johnny. Il legame semantico fra le due opere è rafforzato, tra l’altro, dalla vicenda stessa del soldato Johnny che – come raffigurato in basso a destra nell’installazione – viene colpito e mutilato da una granata proprio mentre sta trasportando verso la trincea il corpo di un caduto. Il titolo, ironico, dell’opera, Easy come, easy go (che è poi il titolo di tutta la mostra), sottolinea la precarietà della condizione umana e perfino divina, sia attraverso la raffigurazione della croce vuota che attraverso il supporto tecnico utilizzato (la tapparella mezza abbassata): così come arriva, il Salvatore se ne va.