Andrea Mastrovito
I Queen sono sempre stati un punto di riferimento per tutto quel che facevo. Li scoprii venti anni fa, come quasi tutti, quando morì Freddie Mercury. La professoressa al Liceo ci insegnava l’inglese facendoci ascoltare Innuendo. Per la prima volta capivo quel che si diceva in una canzone… Così è naturale che, spesso, ritornino nel mio lavoro. Voglio dire, un artista dovrà pur parlare di cose che conosce, sente e ama/odia, nei suoi lavori e, giustamente, perché slegarsi da ambiti più prettamente consumistici quando ne siamo completamente circondati? I primi lavori video sui Queen sono nati proprio ragionando sul concetto di mito, di star e sulla sua possibilità di “riproducibilità tecnica”, parafrasando Walter Benjamin. È stato naturale, per me, prendere il gruppo che conoscevo meglio, per averlo collezionato per tutti gli anni della mia giovinezza. Il primo passaggio è stato Sburzum & Zizi Live in Budapest ’86, dove, con un attento lavoro di smontaggio e rimontaggio di sequenze prese da Queen Live in Budapest ’86, assieme a Zizi riesco a far cantare a Freddie Mercury – che, tra l’altro, annuncia “questa sera, per la prima volta, canteremo una nuova canzone, speciale, per voi…” leggendo il testo della canzone sulla mano – una ballad scritta da me e dal mio gruppo, i Madhush. In questo modo ho invertito i consueti canoni per i quali sono i gruppi di ragazzini a coverizzare i brani delle band più famose.
Nei due lavori successivi, ed in particolare in The Freddie Mercury Photocopied Concert, quanto viene scardinato è il concetto stesso di originalità dell’hic et nunc dell’evento, del video del concerto e del rapporto monodirezionale artista-pubblico; tutto ciò attraverso il metodo del “concerto fotocopiato”. Fotocopiare concerti in effetti è piuttosto semplice: si prende il DVD originale dell’evento, con pazienza ci si mette davanti al pc e si estrapolano tutti i frames in cui appaiono chiaramente tutti i musicisti, il cantante, gli strumenti etc. A questo punto, con un programma di fotoritocco si portano tutti i frames a grandezza naturale e, divisi in piccole, identiche sezioni, vengono stampati un pezzo alla volta in formato fotocopia (a colori). Armati quindi di forbici e nastro adesivo, si ricompongono i costumi, i volti, gli strumenti, i microfoni dei protagonisti del concerto originale e, una volta indossati, si reinterpreta il concerto diffondendo la musica in playback direttamente dal DVD originale. Il tutto ripreso dal pubblico coi mezzi più disparati: dalla videocamera alla fotocamera all’iPhone, come nei concerti veri. Il risultato ottenuto permette di rompere momentaneamente, dal vivo e a seconda delle inquadrature nel filmato finale, il limite tra realtà e finzione, riportando in vita, nel mondo reale, con della semplice carta qualcosa che non esiste più se non in sequenze analogiche o digitali. Al contempo manifesta i limiti della finzione scenografica, in quanto le fotocopie coprono solo frontalmente gli astanti, per cui la sospensione dell’incredulità non è mai completa e continua, ma mostra il “re nudo” ad ogni movimento. Sotto il televisore che trasmette ininterrottamente musica e video – fotocopiati – dei Queen, un mobile contenente la mia raccolta di dischi e libri sull’argomento, come a riprodurre la stanza di un giovane fan, funge da raccordo coi due grandi lavori speculari disposti al muro, realizzati entrambi con la stessa matrice, uno a pennarello e l’altro a collage. In questa coppia di opere, focalizzo l’attenzione sull’omosessualità istrionica di Freddie Mercury, sottolineandola semplicemente coi colori dell’arcobaleno. Il suo modo di vivere l’omosessualità era profondamente diverso da quello di Testori, il quale la considerava una colpa. Ciò nonostante Giovanni Testori stesso era un grande ammiratore dei Queen, tanto da far risuonare Bohemian Rhapsody in tutte le stanze attorno alla sua, negli ultimi giorni della sua vita, scegliendola come viatico per l’aldilà. Per tale motivo la stanza dei Queen è disposta esattamente tra la stanza della sua giovinezza e quella della sua maturità.