Author: Alessandro Frangi

Riccardo Arzaroli, ALTERAZIONI

L’intervento dell’uomo sulla natura. È un tema cardine e classico dell’arte almeno dall’Ottocento, qui declinato in questa serie fotografica, posta a segnare il passaggio, quasi fosse una Via Crucis di formelle quadrangolari. Sono immagini in cui il filo tenace e violento della presenza umana trafigge e incide la corteccia, anno dopo anno. Ma, a ben guardare, sono la dimostrazione di come la natura sia in grado di ricucire queste ferite, di farle proprie, accoglierle e redimerle. In fondo, come per l’uomo, anche la violenza può essere accolta, chissà, forse perdonata. Certo non è mai l’ultima parola sulla vita.

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Contexto 2017

Giulia Crotti, OSTRICHELLI, BARBAPICCHI E PETTIPALLA

«È un’installazione aerea realizzata a partire dall’assemblaggio scultoreo di materiali quali ostriche e piume. L’opera consiste in una riflessione sul processo di sintesi effettuato dal nostro sguardo che, posto di fronte a qualsiasi immagine, inevitabilmente ricerca la giustificazione razionale più plausibile». È così che il nostro occhio compie un’opera di sintesi tra forme inanimate, appartenenti a sfere animali differenti, immaginando nuove creature, che prendono possesso di questa corte, dai piani quasi infiniti, ricca di segreti svelati da specchi posti a misura, per restituire frammenti di storia. 

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L’OPERA

Ostrichelli, Barbapicchi e Pettipalla, 2015, ostriche e piume, misure variabili tra gli 8 e i 35 cm

Contexto 2017

Giuliano Cataldo Giancotti, OMAGGIO A CAPOCOLONNA

Il giovane artista ha compiuto il suo Gran Tour per l’Italia e, come molti celebri poeti o pittori del passato, era armato solo del suo taccuino. L’esito finale è stata una scultura chiamata a rendere tridimensionali questi schizzi, bonificandoli e restituendoci i monumenti nella loro essenzialità lineare, oltre che formale. Qui l’omaggio era a Capocolonna, nel crotonese, in Calabria, e alla colonna da cui prende nome, l’unica superstite del Tempio di Hera Lacinia. L’evocazione della nostra eredità culturale a Edolo era messa in relazione con il vicino campanile di San Giovanni, come a tessere una relazione in cui la monumentalità della torre campanaria, tutta massa, dialoga con la leggerezza, tutta forma, di un passato fragile ma persistente, rappresentato da questa colonna.

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L’OPERA

Omaggio a CapoColonna 2015, ferro, 430h x 125 x 120 cm

Contexto 2017


Giorgio Salvato, VOLAR DI CORVI E PESI DI LUPI

È stato un incontro felice e sorprendente quello tra l’opera di Salvato e la palazzina liberty che l’ha ospitata. Un piccolo e prezioso edificio salvato dal degrado, ricco della sua decorazione aggraziata, si è fatto casa per gli animali plasmati con il ferro dall’arista milanese. Pittore di formazione, Salvato attinge allo studio dell’anatomia per imprimere nelle sue sculture la veridicità del peso corporeo, del movimento e dell’intenzione. È così che le finestre al primo piano si lasciavano attraversare da corvi in lotta tra loro o impegnati in maestose volute. Al pian terreno, la stanza ospitava il girovagare circospetto di tre lupi incuriositi e soppesati a loro insaputa da una bilancia. Si trattava di una palazzina che la sera s’illuminava come una splendida lanterna floreale, generosa nella sua grazia come nello svelare la natura dei suoi ospiti.

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Contexto 2017

Marija Sévic, CULTURENONSTOP

La cultura artistica è un dono alla città che vorrebbe esprimersi a ogni ora del giorno e della notte, senza confini. Una necessità cui Contexto ha dato voce per il terzo anno (2017) e che l’opera dell’artista serba ha interpretato perfettamente. Realizzata ed esposta la prima volta davanti al Museo d’Arte Contemporanea di Belgrado, è stata pensata per denunciare, grazie all’ironia, la chiusura del Museo che da troppi anni negava le proprie bellezze. Questa insegna luminosa è stata poi presentata in un ribaltamento della sua accezione iniziale, non per denunciare, ma per festeggiare la possibilità di riammirare da vicino la splendida palazzina Liberty a fianco della stazione cittadina e per segnare l’avvio della nuova edizione di Contexto, che da questa bellezza ritrovata prendeva avvio per snodarsi nella città. 

Contexto 2017

L’ULTIMO AVVERTIMENTO

Nell’ultima stanza, concludeva la mostra un’opera inedita (Don’t believe the hype, 2018), articolata in quattro diorami, posti sulle basi e alle pareti. Questa volta i piani prospettici erano affidati ad altrettante lastre di vetro, sovrapposte e scorrevoli a mutare gli assetti possibili. Ciascun teatrino era dedicato a un’opera di celebri artisti contemporanei (Wim Delvoy, Damien Hirst, Maurizio Cattelan e Katarzyna Kozera), esemplificativi non solo della loro poetica personale, ma anche del variegato mondo che inevitabilmente è chiamato a tesserne il contesto sociale, oltre che culturale. Urso ci mette in guardia, non dalle contaminazioni, così strutturali per il suo stesso lavoro, ma dall’accontentarsi di un mondo bidimensionale e di un approccio timido all’arte. Occorre sporcarsi le mani. Astenersi perditempo.

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LA CAMERA (PRIVATA) DI TESTORI

Attraversato il corridoio, si entra nella stanza di Testori da ragazzo. Una camera destinata a contenere le opere che la madre non avrebbe accettato in giro per la casa, tappezzata di dipinti frutto degli studi, del mercato e del collezionismo di Testori. I nudi accademici da Testori attribuiti a Géricault e Courbet, documentati da una serie di scatti di Giacomo Pozzi Bellini come quello esposto a parete, hanno ispirato l’opera di Andrea Mastrovito (1978) realizzata esclusivamente scolpendo il muro e facendo emergere gli strati di intonaco e pittura accumulati negli anni.

Non poteva esserci collocazione più pertinente per questo lavoro di Alex Urso, Musée de l’Oubli – Eight collages by Monsieur G. (2014), nato dal ritrovamento in un mercatino di Varsavia di un nucleo di collage, datati 1979 e firmati da un misterioso artista francese, restaurati e incorniciati da Urso. Una sorta di ready-made archeologico, conseguente all’incredibile scoperta di un antenato del collage e del rapporto necessario con l’arte del passato.

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NELLA TERZA STANZA

Untitledfa parte della serie del 2017 Welcome to the Jungle, comprendente 3 collage di dimensioni 40 x 60 cm ciascuno. I lavori mirano a rappresentare il sistema dell’arte come “giungla”, nel quale l’artista è chiamato a districarsi, con particolare attenzione al luogo istituzionale per eccellenza, il museo, quale tempio artistico che simboleggia tutta la fame e il desiderio di successo di un giovane autore, rappresentandone la massima ambizione. Nei tre collage sono rappresentati rispettivamente Guggenheim (New York), National Gallery (Londra) e Maxxi (Roma), immersi in uno scenario naturale. Tutt’intorno sono presenti ritagli di persone estratte da foto raffiguranti il pubblico di un museo. L’idea era quella di riflettere, non senza ironia, sul ruolo dell’istituzione museale, sul suo fascino e sulla sua potenza seduttiva.

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NELLA SECONDA STANZA

Un dittico rappresentava un dialogo tra Urso e alcuni tra gli artisti più rilevanti della tradizione
polacca. Si trattava di un omaggio personale da parte dell’autore ad alcune figure chiave della cultura locale, conosciute e studiate da Urso durante gli anni del suo soggiorno a Varsavia.

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NELLA PRIMA STANZA

TRE STANZE PER UNA GIUNGLA

Giunti al primo piano, la mostra proseguiva nelle cinque stanze della parte destra della casa. Attraversando il corridoio, le tre camere che si aprono a sinistra erano unite da un tema comune: Welcome to the Jungle, declinato dall’artista in altrettante opere, realizzate tra il 2016 e il 2018.

NELLA PRIMA STANZA

Una serie di 15 box, diorami o teatrini magici, creavano una linea continua lungo le pareti. Il visitatore era chiamato a immergersi in questi microcosmi realizzati unicamente con la carta. Ormai non servivano più altri oggetti per mettere in scena questa selva artistica: ce n’era abbastanza tra protagonisti, musei e splendidi cortocircuiti emotivo-celebrali, nati da accostamenti impensabili. Non si trattava solo di un omaggio ai propri maestri, ma di una serie di ex-voto, con i quali Urso chiedeva un aiuto agli artisti che, tra le belve del mondo dell’arte – e della vita – sono riusciti a esprimere la propria poetica, sopravvivendovi. Il filo dei diorami era interrotto su una parete da uno dei quadri più importanti di Giovanni Testori (Crocifissione, 1949), inaspettatamente a suo agio, tra le opere di Urso, non solo perché ne condivide l’affollamento formale e l’antropomorfizzazione della natura, ma soprattutto perché anch’essa esito della metabolizzazione dei propri maestri, da Cézanne a Picasso.

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