Author: Alessandro Frangi

I Lunedi di Casa Testori. Ep.27

“Cronache dal bosco” è il titolo del percorso molto poetico che Laura Pugno ha allestito a Casa Zegna a Trivero (Biella):un percorso che è anche la documentazione di una ferita. Il vicino bosco di conifere soffre per l’attacco di un coleottero, il Bostrico Tipografo. Piccoli segnali che rimandano a macroscopici ed inesorabili cambiamenti nell’ordine della natura e che Laura Pugno ha intercettato con interventi attenti e delicati. 

A seguire la diretta si occuperà del nuovo, importante progetto espositivo in preparazione per l’estate a Casa Testori: si intitola “Curatela” e vede tre artisti della nuova generazione, Alberto Gianfreda, Fabio Roncato e il duo bn+brinanovara, lavorare in dialogo con tre importanti opere del Novecento, firmate da Ennio Morlotti, Giorgio Morandi e Filippo de Pisis, tutte provenienti da musei milanesi, Museo del ’900, Casa Boschi di Stefano e Villa Necchi Campiglio. La mostra curata da Davide Dall’Ombra, è parte del progetto il progetto “(Ri)cambio la visita”, sostenuto dalla Fondazione di Comunità Milano: infatti le opere dei tre maestri del 900, tutti cari a Giovanni Testori, verranno esposti esposti in altrettante Biblioteche Comunali della periferia milanese il prossimo anno. 

Ai Lunedì di Casa Testori ne parleremo con Davide Dall’Ombra, con Gabriella Gemo, responsabile della comunicazione per la Fondazione di Comunità Milano e con i tre artisti coinvolti. 

Federica Fracassi leggerà un testo inedito di Testori del 1980 dedicato al maestro Roberto Longhi: a tema proprio l’idea di “curatela”

I Lunedi di Casa Testori. Ep.26

Puntata 26, lunedì 17 maggio, ore 21.15

La riscoperta di Regina.

La puntata dei Lunedì di Casa Testori si occupa della mostra aperta alla GAMeC di Bergamo dedicata ad un’artista sorprendente, protagonista del secondo futurismo italiano. È Regina Cassolo Bracchi, una scultrice con la vocazione alla sperimentazione e alla manualità. Come aveva scritto Lea Vergine, in occasione della storica mostra “L’altra metà dell’avanguardia”, Regina ha portato «il vigore di una posizione rivoluzionaria e non rivoltosa che ha innovato, con pienezza di autocoscienza». Ne parleremo con i curatori Lorenzo Giusti, direttore della Gamec, e Chiara Gatti. Insieme a loro sarà presente anche Francesco Faccin che ha firmato il bellissimo allestimento della mostra.

Un’altra artista è al centro della seconda parte della puntata. “Passione Cola Passione Scorre” è il titolo suggestivo della mostra di Iva Lulashi alla Prometeo Gallery di Milano, che raccoglie un ciclo di lavori della pittrice nata in Albania e operativa a Milano. Ne parleremo con lei, che sarà collegata dalla mostra, e con i due curatori Cristina Masturzo e Antonio Grulli.

Chiuderà la puntata la lettura di una “perla” di Testori, il paragrafo 75 del “Fabbricone”, romanzo del 1961. La voce come sempre è quella di Federica Fracassi.

I Lunedì di Casa Testori. Ep.25

Puntata 25, lunedì 10 maggio, ore 21.15

Una puntata all’insegna di Celant e di Beuys

The Story of (my) Exhibitions” è il titolo che Germano Celant aveva voluto dare al libro che racconta e documenta le mostre che hanno segnato la sua avventura di curatore. Il libro viene pubblicato ora, a un anno dalla sua morte, ed è facile intuirne l’importanza: è il lascito di Celant al sistema dell’arte. È questo il tema della nuova puntata dei Lunedì di Casa Testori del prossimo 10 maggio. Ne parleremo con Maria Corti, ricercatrice dello Studio Celant, e Dario Cimorelli, l’editore del volume (pubblicato da Silvana); a seguire proseguiremo con Chiara Spangaro e Gianfranco Maraniello, curatori che hanno in più occasioni lavorato al fianco di Germano Celant. 

La puntata si chiuderà con un doppio omaggio a Joseph Beuys e Giovanni Testori, nati entrambi il 12 maggio. Beuys sarà ricordato da Nicoletta Mongini, responsabile cultura presso Fondazione Monte Verità.

Mentre Testori sarà “festeggiato” a sorpresa da Federica Fracassi, che interpreterà “Sorte la luna”, una canzone scritta da Testori e musicata da Fiorenzo Carpi nel 1973.

Auguri Testori!

UNO SGUARDO INEDITO SU GIOVANNI TESTORI
a cura di Ambarabart

Appuntamento mercoledì 12 maggio ore 18 su Zoom:
https://us02web.zoom.us/j/84680012664?pwd=cnhiczFJWnJqNTltM2txSjVSM2xudz
Meeting ID: 846 8001 2664
Passcode: 081202

Il 12 maggio 1923 nasceva Giovanni Testori, scrittore, critico d’arte, drammaturgo, artista, scopritore di capolavori e inventore di parole. In occasione del suo compleanno, Ambarabart, associazione culturale che promuove e diffonde la cultura artistica soprattutto tra i più giovani, terrà un incontro aperto a tutti per scoprire Giovanni Testori. Dalle stanze della sua casa a lato della ferrovia, raccontiamo la sua storia, respiriamo la vita che ha ispirato la sua arte, i suoi drammi e i suoi racconti, sentiamo il rumore del treno, che scandiva le giornate e che lo portava da Novate a Milano, sul quale sono nate alcune delle storie più intense del Novecento italiano.

L’evento fa parte dell’inizitiva “Novate aperta solidale e responsabile”.

I Lunedi di Casa Testori. Ep. 24

Puntata 24, lunedì 3 maggio, ore 21.15

“Collasso analitico” è il titolo affascinante e anche un po’ misterioso della mostra con la quale Casa Testori riapre. Protagoniste tre donne: la curatrice Daniela Persico, e le due artiste Giulia Bruno e Micol Roubini. Sono due artiste cosmopolite entrambe nate a Milano ma con radici che le hanno portate altrove. Saranno loro al centro della puntata dei Lunedì di Casa Testori. La mostra prende avvio da due spunti legati alla biografia delle artiste: per Giulia Bruno è un dépliant in esperanto della Fiat (dove lavorava suo nonno), testimonianza di una Torino operaia, accarezzata dall’utopia della lingua universale. Per Micol Roubini invece lo spunto è una fotografia datata 1919 della casa di famiglia a Jamna, in Ucraina, un focolare domestico brutalmente interrotta dagli eccidi della Seconda Guerra Mondiale. Una dimora abbandonata, per affrontare con la migrazione una vera babele linguistica. È proprio il linguaggio il tema sotteso alla mostra. 

Un tema cruciale per Testori, come testimonia la presenza di un video con una sua intervista, presente nel percorso di Giulia Bruno. Un video che potrete vedere al termine della puntata. 

Per iniziare Federica Fracassi invece leggerà una pagina di un articolo su Romanino del 1968 “Per una Lingua non lingua”

CASA TESTORI SUMMER CAMP 2021

CREATIVI SI DIVENTA!

In collaborazione con Ambarabart

Vivi una settimana o più nella casa di Giovanni Testori, due piani di esposizione e un grande giardino in cui giocare, imparare, scoprire. Dal 26 giugno sarà in corso la mostra Curatela dove, al fianco di opere di De Pisis, Morandi e Morlotti, esporranno tre giovani artisti contemporanei (Alberto Gianfreda, Fabio Roncato e bn+BRINANOVARA). Gli artisti ci terranno compagnia con i loro lavori, per accompagnarci a scoprire dove nasce l’ispirazione creativa.

I bambini dai 6 ai 12 anni saranno accolti da educatrici esperte che li condurranno in una serie di avventure d’esplorazione ed esperienze di apprendimento e creatività tra giardino e mostra: perché creativi si diventa. Di giorno in giorno i ragazzi compileranno un ricco taccuino, traccia fisica di un’esperienza indelebile.

Il fine settimana prima dell’inizio delle scuole sarà allestita in casa una mostra con i lavori dei ragazzi del camp!
Vi aspettiamo!

Il campus si terrà dal 28 GIUGNO al 23 LUGLIO e dal 30 AGOSTO al 10 SETTEMBRE

La nostra GIORNATA TIPO:
8.30-9.00 accoglienza
9.00-12.00 visita guidata e attività
12.00-14.00 pranzo; compiti o lettura personale
14.00-16.00 attività pomeridiana
16.30-17.00 ritiro bambini

INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI

Orari: da lunedì a venerdì, entrata 8:30-9:00 e uscita 16:30-17:00
Iscrizione minima: una settimana
Tariffa piena a settimana (lun.-ven.): € 160,00 pranzo escluso
Tariffa ridotta a settimana (lun.-ven.): € 130,00 per il secondo fratello iscritto e altre riduzioni *
Le attività verranno svolte da personale qualificato nel rispetto delle norme di sicurezza Covid 19.
Il campus sarà attivato ogni settimana con un numero minimo di 8 partecipanti. È possibile iscriversi a più settimane.

Per informazioni e prenotazioni: prenotazioni@ambarabart.com

* tariffa ridotta per figli e nipoti dei soci di Casa Testori, figli e nipoti dei dipendenti e collaboratori della Testori S.p.A. e associati Ambarabart.

Le quote comprendono:
• la presenza costante dell’operatore
• attività nella mostra e nel giardino
• materiale per i laboratori
• assicurazione

Ogni bambino dovrà avere con sé:
astuccio con matita grafite, matite colorate, pennarelli, forbici, colla (stick e vinilica)
pennelli, acquerelli e tempere
merenda e pranzo al sacco
una borraccia per l’acqua
un telo pic-nic o simili per le attività all’aperto
un cambio completo per ogni evenienza
un asciugamano personale
crema solare
crema antizanzare e dopo puntura
mascherina indossata e mascherina di cambio
scatola porta oggetti formato almeno A4 per riporre i propri lavori durante la settimana

Il costo non comprende qualsiasi altra cosa non espressamente elencata.

Il camp è una proposta di Casa Testori a cura di Ambarabart.

I lunedì di Casa Testori. Ep.23


Puntata 23, lunedì 26 aprile, ore 21.15

Il dialogo difficile, conflittuale, intrattenuto da Pasolini con le avanguardie di questo dopoguerra, dall’Informale all’Arte povera, passando per la Pop Art e la cultura dell’happening: è il tema di un importante libro pubblicato da Ara H. Merjian, titolare alla New York University per la cattedra di Italian Studies. “Against the Avant-Garde. Pasolini, Contemporary Art and Neocapitalism” è un libro che ripropone il carattere “eretico” dell’intellettuale Pasolini e il suo giudizio disallineato rispetto alle mode e alle ideologie anche nel campo dell’arte a lui contemporanea. Al libro, pubblicato da The Chicago University Press, viene dedicata la puntata dei Lunedì di Casa Testori del prossimo 26 aprile. Insieme all’autore ne discuteranno Elena Pontiggia, storica dell’arte, e Tommaso Mozzati, studioso di Pasolini.

La puntata verrà chiusa dalla lettura di un articolo di Testori: questa volta si tratta di un intervento che richiama i temi della polemica di Pasolini, “L’avanguardia nella rete del potere”, pubblicato sul Corriere della Sera nel 1977. La voce come sempre è quella di Federica Fracassi.

La passione fa male: Testori si scopre attore

Ci ha lasciato a 78 anni Maria Grazia Gregori, critica teatrale e storica firma de l’Unità che ha dedicato sempre grande attenzione all’opera di Testori. La ricordiamo con il finale della sua recensione di “Verbò”, portato in scena dallo stesso Testori con Franco Branciaroli al Piccolo Teatro di Milano nel 1989.

di Maria Grazia Gregori

L’Unità, p.19, giovedì 22 giugno 1989

Forse non è possibile staccare dalla religiosità dimostrativa che il termine autosacramental contiene, anche quello di scandalo. Anzi è proprio lo scandalo nella sua accezione punitiva, che sembra aver guidato Giovanni Testori nella scrittura di Verbò nuovo testo che, nell’ambito di “Milano d’estate” viene presentato al Piccolo Teatro. E insieme allo scandalo, alla caratteristica violenza verbale, questo lavoro – non si capisce perché vietato ai minori di diciotto anni – contiene anche un desiderio di autoannullamento, di ricercata esibizione, perfino di disprezzo di sé che si realizza, anche sulla scena, in una degradazione cupamente ricercata.

            Del resto, è solo da questo punto di spiazzamento, di degrado che secondo il Testori di oggi può nascere una forma di religiosità contemporanea. E sono proprio l’autoesibizione, la pulsione erotica fortissima – sudore e sperma, rifiuto e fraternità – di Verbò a colpire, dentro il nodo di due biografie, quella di Paul Verlaine e di Arthur Rimbaud (dalla contrazione del loro due cognomi nasce il titolo di questo testo). Ma insieme a loro, in scena, ci sono anche Giovanni Testori e Franco Branciaroli: e la storia dei due grandi poeti “maledetti” e quelle dello scrittore e dell’attore di oggi, si sovrappongono e si fondono in un’identità che nasce dalla lacerazione.

            La  riscrittura, in chiave fantastica, della rovinosa ed esaltante storia d’amore che unì per qualche tempo il maturo Verlaine e il giovane Rimbaud con grande scandalo dei benpensanti, fino all’epilogo finale scandito dai colpi di pistola, dalla galera, dal lungo errare, di intreccia (potrebbe essere un atto di superbia, ma può anche essere il suggerimento orgoglioso di una filiazione) a due altre biografie umane e artistiche, in qualche modo anch’esse “scandalose” tra frammenti di versi, balenii di immagini, sovrapposizioni di vicende, e si sublima nella parola, anzi più volte citata musique della parola. Testori, dunque, partendo dal breve soggiorno a Milano nel 1875 di Rimbaud, immagina una specie di ultimo atto, di resa dei conti fra i due, nel tentativo di tenere alto, nel suo brillìo sfavillante, la storia di un amore reietto. Una sorta di grande processo, di denudamento psicologico (autosacramental, appunto) tutto centrato sull’attrazione e sulla repulsione.

            Sulla scena poche sedie, un tavolo rovesciato – lo stesso di In exitu –, un grande riflettore a piantana e, per fare piazza pulita di qualsiasi possibile illusione in uno spettacolo che è costruito tutto a togliere secondo una scheletrica semplicità: la sala è illuminata, il vicino può guardare il vicino, spiarne le reazioni e guardare con occhi ben chiari il lungo deputato dell’illusione, il palcoscenico.

            Testori-Verlaine in pantaloni e canottiera come un fotogramma sfuggito a Rocco e i suoi fratelli si confronta, si azzanna, si abbraccia con Branciaroli-Rimbaud (secondo scorci figurativi che riportano alla mente Caravaggio e Bacon) in un fiume di memorie, biografia scandalosa e impudica autobiografia, nella resa dei conti del palcoscenico dove tutto si consuma in un rituale di autoannientamento che si confonde con la confessione.

            Tutto, dunque, ritorna all’eterno cerchio della nascita e della morte – vita, vicende, amori, parole –. E se all’inizio raggomitolato come un feto, Branciaroli, in un’interpretazione di forte tensione, nasce in qualche modo alla parola, al teatro fra lampi di poesia visionaria, è lui, Testori-Verlaine, il conduttore-narratore della storia secondo schemi di quasi straniamento. Ed è ancora la parola spezzata, quasi incomprensibile come una “bava demente” a chiudere questa autorappresentazione di sé che si è voluto vietare, mentre è solo una testimonianza di vita e forse di stile.

I Lunedì di Casa Testori. Ep.22

Puntata 22, lunedì 19 aprile ore 21.15

La puntata numero 22 dei Lunedì di Casa Testori si occuperà del caso che ha suscitato tanto interesse nelle scorse settimane: la scoperta di un’opera perduta di Caravaggio, l’Ecce Homo, venuto alla luce ad un’asta di Madrid. Ne parleremo con Cristina Terzaghi, storica dell’arte, che ha potuto esaminare il quadro dal vero trovando gli elementi che assicurano l’autografia caravaggesca. Sarà con lei Stefano Causa, storico dell’arte al Suor Orsola Benincasa e grande conoscitore del periodo napoletano del Caravaggio. La puntata è l’occasione per esplorare il quadro, anche grazie a riprese fotografiche ravvicinate, scoprire le connessioni con altre opere e collocarlo all’interno della parabola caravaggesca.

La puntata verrà aperta con la lettura di una recensione di Giovanni Testori alla mostra su Caravaggio a Napoli, curata da Mina Gregori, del 1985. La voce come sempre sarà quella di Federica Fracassi. 

COLLASSO ANALITICO

Giulia Bruno e Micol Roubini
A cura di Daniela Persico
Casa Testori
4 Maggio – 5 Giugno 2021

COLLASSO ANALITICO
Daniela Persico

Il varcare la soglia di Casa Testori è intrinsecamente legato alla memoria di una frase che per lungo tempo ha troneggiato nell’atrio d’ingresso: una citazione di Giovanni Testori che non solo lasciava trasparire in maniera evidente quanto l’uomo e l’arte a cui ha dato vita (come scrittore, drammaturgo, artista e critico) fossero legate in maniera indissolubile, ma anche la premonizione che quelle parole del passato interrogassero in modo decisivo il nostro futuro. Sulla parete stava scritto: “Però, io ti assicuro che quello che mi ha sempre aiutato a vivere, e, di più, ad accettare la vita anche nella sua maledizione, è sempre stato il ritorno a casa. Si fanno queste puntate verso l’esterno – che possono anche essere violente, distruttive – ma poi il ritorno a casa dà all’esperienza stessa di quell’uscita un calore indicibile. Perché ritornare non vuol dire affatto dimenticare, non vuol dire scrollarsi di dosso la violenza e la distruzione. Vuol dire solo entrare in un luogo che accoglie, che riceve quel dolore e quella cattiveria, dando loro un senso…”.
Casa Testori è dunque un luogo che porta con sè questa memoria, un luogo di senso, come lo furono un tempo le case di famiglia, anche quando la severità traspariva nelle geometrie planimetriche e la quieta eleganza veniva nascosta sul retro tra le meraviglie feconde di un giardino. Ma al contempo rimanda a un viaggio interiore, a un movimento, una dialettica tra l’io delle mura e quello che vi fa ritorno. In questo iato, ancora conciliabile per Testori (grazie alla centralità di una famiglia e di una fede), sta la sfida dell’artista contemporaneo, disperso in un’Europa che si finge unita e incerto sul luogo in cui riconnettersi, per iniziare a ricordare. 
Collasso analitico, un percorso in fieri e un’indagine a porte aperte più che una mostra, raccoglie il lavoro di due artiste cosmopolite, Giulia Bruno e Micol Roubini, entrambe nate a Milano ma con radici che le hanno portate altrove. Giulia Bruno, da anni collaboratrice stretta di Armin Linke, ha attraversato il globo alla ricerca di un’utopia legata alla sua storia familiare: l’esperanto, un tempo lingua capace di riconnettere diverse nazioni varcando le frontiere, poi lingua della resistenza, che rinasce in paesi non allineati creando nuove comunità in nome di un progetto di universalismo. Micol Roubini parte dall’antica fotografia di una casa e una lista d’oggetti: le testimonianze più care conservate nell’appartamento milanese di un suo nonno, scappato dall’Ucraina in seguito allo sterminio della propria famiglia, prima in Russia, per poi arrivare in Italia. Saranno questi pochi documenti a guidarla attraverso l’Europa, fino all’Ucraina occidentale, in un paese che in cent’anni ha cambiato cinque volte identità nazionale e che ora attraversa una delicata fase di transizione. Ancora una volta, finite le spinte euforiche di nuovi assetti politici, si torna a interrogarsi sulla fine di un’utopia (quella novecentesca), le cui macerie impongono una presa di consapevolezza per leggere il nostro ruolo nel presente. Ci vuole dedizione e analisi, sembrano suggerirci i lavori delle due artiste (tanto diverse nei risultati, quanto simili nelle metodologie di lavoro): bisogna lanciare delle sfide ambiziose e affrontarle con la giusta modestia, bisogna prendersi il tempo di cercare e offrire lo spazio all’altro per raccontarsi, a volte serve inventarsi una nuova lingua, altre volte recuperare una lingua madre da sempre soffocata. Il campo entro cui tutto avviene è quello dell’immagine in movimento, la più forte nel mettere a tema la relazione tra chi filma e chi è filmato, in grado di segnare un viaggio nella scoperta del mondo per imparare a definire (seppur per un attimo precario) se stessi. 

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COLLASSO ANALITICO. ISTRUZIONI PER UNA VISITA
Elena Gervasoni 

Varcare la soglia di Casa Testori, qualsiasi sia l’occasione che ci spinge lì, significa sempre fare ingresso in una casa – quella un tempo abitata da Giovanni Testori e dalla sua famiglia –, prima ancora che in uno spazio espositivo. Ed è proprio sull’atto di entrare nella casa, che si vorrebbe suggerire di portare l’attenzione al visitatore che approfitterà degli ultimi giorni di apertura della mostra Collasso analitico per una visita. Sarà idealmente come ricalcare i passi del padrone di casa, compiuti a centinaia e centinaia nel fare ritorno alla propria abitazione, ricevendo ogni volta un “calore indicibile […] da quel luogo che accoglie” – questa l’espressione con cui Giovanni Testori descriveva il rientro in famiglia, come ricordato dalla curatrice Daniela Persico in apertura di catalogo.
Traguardata la soglia, dunque, si vorrebbe suggerire al visitatore anche un’altra accortezza: quella di trasgredire il corretto ordine di visita della mostra per come indicato nella planimetria presente nel foglio di sala (dove la progressione numerata delle stanze lo vorrebbe iniziare nello studio a destra dell’ingresso e concludere nella sala da pranzo alla sua sinistra).
Se si fida di chi scrive, provi invece a collocarsi da subito a metà del percorso, nella sala n. 6, cioè alla base delle scale: qui è il centro della grande dimora, dove idealmente si saldano le due ali del piano terra, così come i livelli inferiore e superiore della casa (ma anche gli spazi interni delle varie stanze e quelli esterni del giardino). In questo punto, se sosterà qualche secondo, il visitatore avrà percezione istantanea del “collasso analitico” messo in atto dalle due artiste Giulia Bruno e Micol Roubini: avvertirà infatti, non c’è dubbio, la babele di voci e linguaggi che provengono dai protagonisti delle video-installazioni collocate nelle stanze attigue (cantina compresa) e che lì convergono e si mescolano tra loro, abitando lo spazio domestico che li accoglie. Come per sinestesia, i suoni si rifletteranno nelle tavole di rappresentazioni visive dello spettro dei segnali audio, adagiate da Giulia Bruno accanto alla libreria testoriana, proprio alla base delle scale.
Per un attimo, forse, la messe di fonemi per lo più indecifrabili provenienti dai video, alternati all’abbaiare rabbioso di un cane, proietterà il visitatore nella condizione di smarrimento che prova chi, emigrando, perde casa e lingua e vaga nel mondo mendicandone di nuove, nella speranza di trovare almeno una vaga rassomiglianza con l’una e con l’altra delle sue radici identitarie.
Sarà allora chiaro che il tema centrale dell’esposizione è la riflessione sul linguaggio come fattore di esperienza – e non solo di conoscenza – , quel “[…] battere della parola verso la possibilità di esistere, di dire, di essere cosa, non più un’allusione, ma una realtà concreta, reale e totalmente incarnante” (ed è ancora l’eco di Giovanni Testori, che riverbera dalla sala n. 10, la veranda, dove Giulia Bruno presenta l’estratto video di un’intervista allo scrittore sul tema del suo linguaggio teatrale).
Percorrendo poi tutte le stanze che gravitano attorno a questo centro ideale, il visitatore scoprirà di volta in volta come il linguaggio si intrecci, nei lavori delle due artiste, ai temi della memoria, del senso di appartenenza ad una comunità e, dunque, della costruzione di identità personale, sociale e politica: il “linguaggio come casa dell’essere”, per dirla con Martin Heiddeger – con un’espressione sorprendentemente simile a quella scritta su una parete della sala n. 1, lo studio, in cui si legge: “Al di là della tecnica, al di là dell’immagine, si è attraversati da utopie. Possa la lingua essere la nostra casa.”
Sotto questa sorta di invocazione scritta a muro, nello studio appunto, quattro teche raccolgono i materiali personali da cui Giulia Bruno e Micol Roubini – nate entrambe in Italia ma con radici familiari che le hanno spinte in direzione cosmopolita – si sono fatte ispirare per la loro ricerca artistica, (rivelando come comune punto di partenza la figura dei rispettivi nonni): per Giulia Bruno appunti di viaggio su taccuini, fotografie familiari, alcuni libri di Pasolini ed Eco, ma soprattutto i manuali tecnici della Fiat stampati negli anni Sessanta in esperanto – la lingua franca di molti operai attivi nella Torino del Boom economico, tra cui proprio il nonno dell’artista; per Micol Roubini una fotografia datata 1919, che raffigura la casa d’infanzia del nonno materno a Jamna, sul confine tra Ucraina e Polonia, e i fogli di via della dogana polacca e italiana del 1957, anno in cui la famiglia si trasferì dall’Unione Sovietica in Italia.
Da queste premesse si dipana, nel resto delle stanze, l’insieme di lavori delle due artiste (per lo più video-installazioni) metodologicamente affini per l’esigenza condivisa di dare corpo al linguaggio, attraverso l’immagine, eppure diverse nei risultati cui approda il loro lavoro: nel caso di Giulia Bruno un processo analitico di riflessione metalinguistica sulla fenomenologia del linguaggio come tecnologia; per Micol Roubini, invece, un atto poetico che marca la fragilità della memoria e il nomadismo fluido della lingua.
Volendo chiudere con lo stesso gioco di simmetrie tra la casa e le opere con cui si era aperto, si ricorderanno qui solo due altri lavori, uno per ciascun’artista, posti idealmente agli estremi della diagonale N-S della dimora testoriana: nella sala del camino, 23.500 grammi di Micol Roubini è il plico di 1287 fogli di carta velina – materiale povero da imballaggio e per trasporto di oggetti – che poggia su una sottile lastra di ferro, quasi a emulare il ripiano di carico di una pesa; il titolo rimanda alla misura esatta del peso mancante degli oggetti che, tra quelli che il nonno di Roubini portò con sé dalla Polonia in Italia registrandoli nelle diverse dogane con una lista numerata, non arrivarono mai a destinazione. Adagiati sulle pareti della stessa stanza sei display metallici sorreggono altrettanti fogli di carta velina intagliati in modo tale da far emergere in negativo le Glossolalie, cioè le traduzioni (non più biunivoche né corrispondenti) in russo, polacco e italiano dei nomi di alcuni di questi oggetti, il cui significato sbiadisce così nell’ombra che l’intaglio della velina proietta sul muro retrostante.
All’estremo opposto della casa, nella veranda, Giulia Bruno presenta invece l’inesausta ricerca dell’Atlante Linguistico Italiano, una raccolta ordinata e sistematica di carte geografiche italiane, sulle quali sono riprodotte, per ogni località nazionale esplorata (chiamata “Punto”), le corrispondenti traduzioni dialettali di un concetto, di una nozione o di una frase, raccolte dalla viva voce dei parlanti grazie al lavoro avviato in epoca fascista da Ugo Pellis e oggi proseguito dal Professor Matteo Rivoira dell’Università degli Studi di Torino.

LE ARTISTE SI RACCONTANO
Giulia Bruno

Trovare uno spazio, una forma, un contorno in cui collocarsi e sentirsi “appartenenti a” diventano un momento decisivo in cui la definizione e la non definizione danzano incessantemente insieme.
Il mio posto è da sempre l’immagine.
L’immagine del perduto, l’immagine non trattenuta, l’immagine che nasconde il senso o che lo rincorre, l’immagine che mi ha portato nel mondo e che mi richiama agli interrogativi quotidiani. Origini, senso, lingua, potere, economia, mercato, identità e cultura.
Viviamo in un mondo in cui la separazione semantica confonde così come l’autodefinizione. Artista, biologa, fotografa, filmmaker o semplicemente me.
La tecnologia, i processi, lo spazio città, lo spazio umano, il linguaggio come tecnologia, come paesaggio artificiale o naturale, il confine come infinito o come limite sono da sempre le domande della mia ricerca e dei miei processi. Come a non contenere, ad allargare, ad andare oltre per poi tornare a decostruire.
L’immagine come forma di ridefinizione di un bordo che scivola di continuo alla ricerca di una narrazione che rimane sullo sfondo: il rumore della vita.
Vivo a Berlino da molti anni e in tutto questo tempo la sete di conoscere mi ha portato in tutto il mondo grazie anche alla lunga collaborazione con Armin Linke e Giuseppe Ielasi: foresta nella Amazzonica, in Papua Nuova Guinea, in Indonesia, in Jamaika, in Corea alla ricerca di un processo, della scoperta del meccanismo funzionale delle dinamiche sociali, insaziabile in una sorta di viaggio Ulissiano, forse ora anacronistico.Sono rimasta affascinata dalle dominanze politiche ed economiche e da come questo agisce anche sulla lingua attraverso lo scambio, una lingua franca, un processo particolare o universale, la pubblicità, l’immagine.
Ho amato e seguito l’esperanto questa meravigliosa lingua che si pone come un diritto linguistico di uguaglianza, di trascesa di ogni confine e ho viaggiato per essere in conversazione con i parlanti la Lingua, con il pensiero, con le radici di un sogno e con il reverse nella società e con le implicazioni e le difficolta anche qui di definizione e di contenimento.
In un mondo globale dove internet e il flusso di dati sommerge e nasconde come si difende un diritto? Come si accede ad un’uguaglianza diffusa? Come si diventa cittadini di un mondo? Dove rimane il non scoperto e il non visto?

LE ARTISTE SI RACCONTANO
Micol Roubini

Lavoro come artista con film, video, installazioni sonore e materiche, che si collocano tra arte e cinema. La mia pratica è strettamente legata all’esigenza di indagare la complessa rete di relazioni e processi che si instaurano tra l’uomo e il territorio che questi abita. Il mutevole equilibrio con cui, attraverso una lingua, una cultura, un sistema economico o delle strutture sociali, prendano via via forma l’idea stessa di spazio, di paesaggio o i confini di uno stato. Il rapporto specifico tra un dato luogo e l’insieme di tracce e frammenti di storie che ne costituiscono la memoria e al tempo stesso i rimossi.
Mi interessano i territori ai margini, considerati tali da un punto di vista percettivo, prima ancora che geografico, in una riflessione che nella mia ricerca prende avvio quasi sempre da una o più rappresentazioni del “reale”: se il punto di partenza è almeno in parte documentario tuttavia l’opera finita non ricalca la realtà, ma è piuttosto il risultato di un lungo processo di mediazione e contaminazione tra diversi ambiti. Questo scarto, che in alcuni casi è lieve in altri è più marcato, mi lascia la possibilità di dar voce attraverso immagini, suoni, o narrazioni più strutturate, anche all’inaspettato, al fantastico, al surreale e sono le specificità di ogni singolo progetto a definire i mezzi con cui questo verrà sviluppato, non viceversa. Sempre mantenendo attiva questa specifica modalità di ricerca su più fronti, negli ultimi anni mi sono focalizzata maggiormente sull’aspetto filmico. Quello che mi ha sempre affascinato e che è una delle sfide maggiori nel cinema, è la potenza cui quello che in fin dei conti non è altro che un processo di sintesi, può arrivare. Si è all’interno di una struttura circoscritta, con delle regole interne di fruizione ed un preciso arco temporale, tuttavia l’esperienza di questa nuova realtà è in grado di riportarci al mondo con una maggiore consapevolezza, di alimentare il nostro spirito critico e, a volte, di provare a dare un senso al nostro agire.

Collasso analitico chiude Pocket Pair, un ciclo di mostre coordinato da Marta Cereda avviato da Casa Testori nel 2018. Il titolo del ciclo riprende un’espressione del gioco del poker che indica la situazione in cui un giocatore ha due carte, di uguale valore, e deve scommettere su di esse. Allo stesso modo, i curatori scommettono su talenti emergenti, due artiste/i dal pari valore, per dar vita a una bipersonale di elevata qualità, allestita al pian terreno di Casa Testori dove sono liberi di incontrarsi, anche all’interno delle singole stanze, di farsi visita, di dialogare da vicino.

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