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ARTICOLI FANTASIA

A cura di Lorenza Boisi
In collaborazione con MARS
14 Novembre 2015 – 10 Gennaio 2016

Nell’arco di cinque mesi, CircoloquadroMARS e Lucie Fontaine, tre realtà indipendenti di ricerca nell’ambito dell’arte contemporanea, hanno avuto la possibilità di declinare liberamente il macro-tema della Botanica, scelto come filo conduttore per la stagione espositiva 2016 di Casa Testori, alternandosi in alcune delle stanze del piano terra.

Dodici artisti sono stati invitati a Laveno, sul lago Maggiore, a seguire un laboratorio di decorazione ceramica. Proprio a Laveno, infatti, dalla metà dell’Ottocento si sviluppò una fiorente tradizione ceramica, che si esaurì purtroppo alla fine degli anni Novanta del XX secolo. Resistono le tracce di questa tradizione nell’attività di alcuni laboratori e realtà artigianali, con cui gli artisti selezionati da MARS tramite un bando sono stati chiamati a confrontarsi. Si sono trovati, così, a sperimentare una tecnica differente da quella padroneggiata abitualmente, decorando vasi di dimensioni e forme diverse.
Una flower designer, Domitilla Baldeschi Oddi, è stata invitata a scegliere un fiore per ognuno dei vasi realizzati dagli artisti, mentre Alessandro Frangi, attraverso le fotografie, ha catturato l’abbinamento tra la caducità delle piante e la resistenza del vasellame.
Completava il percorso espositivo, nella seconda stanza, una cartella di disegni da sfogliare, realizzati dagli stessi artisti sul tema Botanica, che componevano un Giardino di Carta, a cura di Yari Miele.

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Alice Tomaselli, NO FOOD, NO PET, NO FLOWERS

In collaborazione con Lucie Fontaine
14 Novembre – 10 Gennaio

Nell’arco di cinque mesi, CircoloquadroMARS e Lucie Fontaine, tre realtà indipendenti di ricerca nell’ambito dell’arte contemporanea, hanno avuto la possibilità di declinare liberamente il macro-tema della Botanica, scelto come filo conduttore per la stagione espositiva 2016 di Casa Testori, alternandosi in alcune delle stanze del piano terra.

No food, no pet, no flowers è quanto recita il cartello di divieto esposto all’entrata del National Art Center di Tokyo, città in cui l’artista, Alice Tomaselli, vive e lavora dal 2011.
Nel percorso proposto dall’artista, veniva tentata una sintesi tra la tradizione occidentale e quella orientale, che ha sviluppato diverse tecniche di definizione e modellazione di fiori e piante, come l’ikebana, il bonsai e il somebana.
Proprio dall’ikebana, l’arte della disposizione dei fiori recisi, trae spunto la serie di sculture, esposte nella prima stanza, rappresentanti una sorta di autoritratto frammentato dell’artista: realizzate in cartapesta e stoffa, davano vita a una composizione floreale ispirata alle illustrazioni di un manuale di ikebana.
Il somebana è, invece, la tecnica giapponese della realizzazione di fiori in seta. Nella seconda stanza, Alice Tomaselli presentava una coppia di dipinti con forme geometriche, che sono state utilizzate da un’artigiana per realizzare dei fiori finti. 
In mostra erano presenti due bouquet, realizzati con le stesse forme ma con tonalità differenti, a rappresentare le diverse fasi della vita delle piante.

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No name – Luca fiore

di Luca Fiore

Nasce a Milano. Per 14 anni ha vissuto provvisoriamente a Lugano dove ha fatto il giornalista per quotidiano svizzero. Poi è tornato nella sua città  dove lavora per bellissimo mensile. Il tratto distintivo della sua personalità  è la pigrizia, virtù che cerca di coltivare. La cosa che gli riesce meglio è dormire. A volte scatta delle fotografie. Da un po’ di anni ha un blog a cui non ha ancora saputo dare un nome interessante e che, provvisoriamente, si chiama “NO NAME”

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Incipit – Fabio Pierangeli

di Fabio Pierangeli

“L’unica gioia al mondo è cominciare. E’ bello vivere perchè vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. Quando manca questo senso – prigione, malattia, abitudine, stupidità – si vorrebbe morire.” (Pavese)

La prima parola entrando nell’universo di un grande autore è la gratitudine, scriveva Eliot all’inizio della sue riflessioni su Dante. La seconda commozione, quando un gesto, un sorriso, un lavoro, un dolor di uomini ci sorprendono. Un nuovo inizio. Questo  desideriamo comunicare, attraverso delle citazioni che ci hanno colpito perchè indicano una passione per la realtà :

Non sbaglierà , nonostante tutti gli errori, chi avrà  voluto bene alla realtà , ossia alla Creazione. […] Basta amare la realtà , sempre, in tutti i modi, anche nel modo precipitoso e approssimativo che è stato il mio. Ma amarla. Per il resto, non ci so precetti. (Giovanni Testori).

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Premio Giovanni Testori – Seconda Edizione – I vincitori

Giornata di premiazione  13 dicembre 2015, ore,
Teatro Franco Parenti (Via Pier Lombardo 14, 20135 Milano)
Programma:
16:30 – 18:30: Officine di studio a cura dei vincitori per le due sezioni Arti figurative e Letteratura
19:00: Tavola rotonda Milano/Sodalizi nell’Arte e Proclamazione dei vincitori
21:00: Fabrizio Gifuni legge Il Dio di Roserio di Giovanni Testori
A chiusura della seconda edizione del Premio  Testori, Fabrizio Gifuni leggerà  il primo capitolo de Il Dio di Roserio, un testo al valico  tra letteratura e arti figurative  che ben rientra nel disegno del Premio.
Anna Banti parlava di cubismo della scrittura, riferendosi agli spezzoni di immagini che si scavalcano l’una sull’altra, come accade delle proprie percezioni quando invece che andare a piedi si corre in bicicletta. E come le immagini i tempi e gli stadi della mente sospesa tra sanità  e demenza del gregario caduto, il Consonni.

Ingresso libero con prenotazione
Informazioni: Comitato di gestione – Premio Giovanni Testori II Edizione
m. 339 41 88 367 | comitatodigestione@premiogiovannitestori.org

Per Il Dio di Roserio 
Prenotazioni; biglietteria Teatro Franco Parenti
t. 02 5999 5206 | www.teatrofrancoparenti.it

Il Premio
In collaborazione con Associazione Giovanni TestoriFondazione Corriere della Sera, Piccolo Teatro di Milano, Pinacoteca di BreraTeatro Franco Parenti, che hanno segnato la carriera milanese dello scrittore, nasce il progetto Premio Giovanni Testori: contributo allo sviluppo della scrittura contemporanea, al valico tra le arti – letteraria e figurativa – e alla conoscenza di Giovanni Testori, uno dei grandi protagonisti della scena culturale del €˜900.

Il premio Giovanni Testori ha cadenza biennale ed è suddiviso in due sezioni:

Per le arti figurative – Premio  destinato a un testo di critica d’arte (saggio storico artistico, saggio di critica d’arte con apertura narrativa, progetto di una mostra, serie di cartelle con schede scientifiche e tavole riferite all’opera di un artista)– Premio destinato a una tesi di laurea o di dottorato in storia dell’arte.

Per la letteratura  – Premio destinato a un testo letterario in lingua italiana o in dialetto (racconto, romanzo, componimento poetico, saggio di critica letteraria, sceneggiatura cinematografica, copione teatrale, libretto d’opera, traduzione, senza preclusione di generi come era l’officina di Testori) – Premio destinato a una tesi di laurea o di dottorato in letteratura italiana.

Ecco i vincitori della prima edizione,

per l’arte:
– ex-aequo: Benedetta Brison con il testo Il cantiere della Storia di Milano e sei articoli del giovane Giovanni Testori e Nicola Trezzi con il testo Il posto giusto al momento giustoLa nuova frontiera dell’arte performativa;
– Roberto Cara con la tesi Ricerche sulla mostra di Leonardo da Vinci (Milano, 9 Maggio –  22 Ottobre 1939).

Per la letteratura:
– Mimmo Borrelli con il testo La Madre ’I figlie so’ piezze ’i sfaccimma;
– Alice Spinelli con la tesi Per un Tasso «conzat de straz». Il Goffredo “alla bergamasca” di Carlo Assonica: saggio di edizione critica con annotazioni linguistiche e stilistiche.

Olimpia Zagnoli, SOVRABBONDANO PERE E MELE

La pagina di Bonvesin dedicata ai frutti di cui era ricca Milano è una pagina esuberante di sapori e di colori.
«I verdeggianti frutteti… Sono spessissimo ricchi di ottimi frutti quasi di ogni genere, che offrono al gusto dell’uomo il piacere di un buon sapore».Bonvesin, come sua abitudine, è preciso e dettagliato. Dice che le «prugne, bianche, rossicce, gialle e damaschine»vengono prodotte in «abbondanza quasi sterminata». Poi assicura che anche «pere e mele estive appaiono in sovrabbondanza». Per le mele poi specifica che Milano è ricca anche dei «pomi invernali», dei «pomi cotogni»e dei «pomi granati, buoni in particolare per coloro che sono ammalati»(una pianta di melograni era presente anche nel giardino di Casa Testori).
L’elenco prosegue citando i «fichi che vengono chiamati fioroni»; «le nocciole domestiche, poi le corniole, più adatte alle donne». E poi persino le mandorle («benché poche», scrive Bonvesin). Bellissime sono in particolare le righe dedicate alle noci.
«Noci in abbondanza incredibile, che i cittadini, cui questo piace, usano mangiare per l’intero corso dell’anno alla fine di ogni pasto. Le triturano anche e le impastano con uova e cacio e pepe, facendone un ripieno per le carni della stagione invernale. Dalle noci ricavano pure l’olio, che da noi viene usato largamente».

CROCIFISSIONE ‘49. I DISEGNI RITROVATI

Giovanni Testori
A cura di Davide Dall’Ombra
In collaborazione con Associazione Giovanni Testori
Mart – Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
28 Marzo – 24 Maggio 2015

IL DIPINTO SALVATO
Giuseppe Frangi

Nel 1950 Giovanni Testori aveva 27 anni. Il suo profilo già allora era quello dell’intellettuale difficile da incasellare, per la molteplicità di ambiti che lo vedevano impegnato. Ma in quel 1950 uno di questi ambiti venne meno, ed era certo uno dei più amati: la pittura. 
Testori, ferito dall’incomprensione e dalla conseguente copertura degli affreschi realizzati nella chiesa di San Carlo al Corso a Milano, aveva deciso di metter fine alla sua esperienza di pittore. Con un gesto tipico del suo temperamento distrusse, infatti, le tele realizzate fino ad allora e rimaste nel suo studio di via Santa Marta. Si salvarono praticamente solo quelle che aveva venduto o regalato. E si salvò questa Crocifissione, che Testori ha sempre tenuto con sé fino alla fine. 
Che quella Crocifissione, rappresentata per simboli e datata 1949, costituisse qualcosa di molto importante per lui, era evidente. Ora il ritrovamento, da parte di Davide Dall’Ombra, di un’importante serie di disegni preparatori per quel quadro in una collezione romana, arriva a rafforzare quell’indizio. Grazie a questi disegni è possibile seguire lo sviluppo del pensiero e delle idee di Testori attorno a un’opera che è certamente la più importante e la più ambiziosa di questa sua stagione pittorica, segnata da un impego critico per il ritorno dell’arte contemporanea nelle chiese.
Testori da una parte si mostra pienamente allineato con le novità dell’arte figurativa di quegli anni, impegnata nella rielaborazione personale delle novità picassiane, ma dall’altra conferma la sua straordinaria originalità, staccandosi dai modelli e mettendo in atto una “messa in scena” di sorprendente originalità sia stilistica che iconografica. Un nucleo articolato e affascinante che richiedeva una contestualizzazione adeguata, capace di considerare il suo impegno critico con i compagni di strada “realisti” e le fonti medioevali che sottendono le scelte iconografiche messe in campo da Testori […].

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LA MOSTRA

Il Mart di Rovereto, uno dei più importanti e innovativi musei d’arte contemporanea d’Italia, ha ospitato “Crocifissione ’49. I disegni ritrovati”, una mostra che ha presentato al pubblico un Testori inaspettato. Un Testori prima de “I segreti di Milano”, prima di Luchino Visconti e di Robero Longhi: un giovanissimo Testori pittore.
Negli anni Quaranta, Giovanni Testori, prima ancora che come scrittore, era noto infatti come pittore, sodale con l’esperienza della scuola milanese uscita da “Corrente”, compagno di strada di Ennio Morlotti, Bruno Cassinari e Renato Guttuso. Anche i suoi interventi come critico militante erano dettati dalla necessità di trovare, innanzitutto per sé, una strada percorribile per il realismo italiano che, riconoscendo in Cèzanne il proprio padre, era disposto ad andare oltre la folgorazione picassiana.
A illuminare questi anni di sperimentazione, tra il 1948 e il 1949, ha concorso l’importante scoperta di 26 disegni, esposti in mostra, che mostrano il processo creativo testoriano sfociato negli affreschi di San Carlo e in una delle rare opere scampate alla distruzione: la Crocifissione firmata e datata 1949, il più importante dipinto di Giovanni Testori, che chiude questa fase della sua vita artistica, in seguito alla delusione per la scialbatura degli affreschi.
Unico caso nella produzione pittorica testoriana, questo gruppo di carte permette di seguirne passo passo il processo creativo, in un momento di grande ricerca formale e iconografica.

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Ultimo Studio, Meditazione su Lotto di Gianriccardo Piccoli

A uno dei maggiori artisti contemporanei, è dedicata la mostra “L’ultimo studio. Gianriccardo Piccoli. Meditazioni su Lotto” che l’Associazione Testori presenta a Bergamo, al Palazzo della Ragione, dal 26 agosto al 4 ottobre.

18 settembre ore 17, visita guidata con Giuseppe Frangi, per prenotazione info@associazionetestori.it

Dopo Loreto, dove la mostra ha fatto la sua prima tappa, l’esposizione giunge a Bergamo dove, insieme alle trenta opere di Gianriccardo Piccoli, ci sarà  anche il Libro di Spese Diverse manoscritto autografo di Lorenzo Lotto, conservato in originale presso l’Archivio storico della Santa Casa di Loreto e concesso eccezionalmente in prestito a Bergamo per questa mostra. Le tele, di cui otto di grande dimensione e impatto, insieme ad altri dipinti e alcuni dei disegni più significativi, indagano il rapporto di Piccoli con Lotto nella fase in cui, dopo una vita di riconoscimenti, di successi, ma anche di cocenti umiliazioni soprattutto raccolte nella sua città , aveva deciso di chiudere la sua esistenza come oblato nel convento della Santa Casa di Loreto, dove morì nel 1556 circa.

Un finale di esistenza nel cono d’ombra della cella conventuale, lontano dai centri in cui si trafficavano le grandi cose dell’arte. Quali pensieri, quali attese potevano attraversare la mente e il cuore di un grande artista come Lorenzo Lotto negli ultimi anni della sua vita? La scelta di Lotto di ritirarsi a vita conventuale è uno di quei fatti misteriosi in cui tutti vorremmo scavare, per capire, per sapere di più. Invece dobbiamo fare i conti con quei magri indizi che Lotto stesso ci ha lasciato, notizie riportate con sistematicità  nel Libro di Spese Diverse: voci di spese, con notazioni scarne. Eppure quello sfondo così spoglio può essere spunto sufficiente perchè un artista di oggi possa mettere in moto l’immaginazione e provare a entrare pudicamente nell’anima del Lotto.

È questo il tema del lavoro di Gianriccardo Piccoli, che da una terra che fu tanto importante per la storia di Lotto, quella bergamasca, si è messo in dialogo con l’anima di quell’artista tanto lontano nel tempo, ma tanto affine al nostro tempo. Il lavoro di Piccoli è un viaggio dentro quegli oggetti evocati da Lotto nel suo Libro di Spese Diverse; un tentativo di immaginare attraverso quegli indizi seminati sui fogli dei registri, quali pensieri e immagini passassero per la testa del maestro giunto all’epilogo della sua vita. Piccoli non poteva fare a meno di confrontarsi anche con il “testamento spirituale” di Lorenzo Lotto, la Presentazione di Gesù al Tempio, universalmente riconosciuta come l’opera ultima del veneziano prima della sua morte, avvenuta a Loreto, presumibilmente nel 1556

TENER VIVO IL FUOCO, SORPRESA DELL’ARTE CONTEMPORANEA

Un progetto di Casa Testori
A cura di Davide Dall’Ombra, Luca Fiore, Giuseppe Frangi e Francesca Radaelli
Meeting di Rimini
20-26 Agosto 2015

UN SOLO TEMPO: IL PRESENTE
Giuseppe Frangi

Partiamo da un dato statistico: mai nella storia dell’uomo abbiamo avuto tanta produzione artistica come in questo nostro tempo. Mai ci sono stati altrettanti artisti, non solo come quantità assoluta (che sarebbe logico visto che siamo in sette miliardi sulla terra) ma anche come percentuale di persone che hanno scelto l’arte come propria strada. Perché c’è tanta voglia e tanto bisogno di arte? E come mai proprio in una stagione come la nostra, in cui la logica utilitaristica sembra sempre quella vincente? Sono domande per le quali vale la risposta che si diede Gio Ponti, raccontando un bellissimo aneddoto. Immaginava che Dio ricevesse alla fine dei tempi gli uomini ad uno ad uno, compiacendosi del proprio – suo di Dio – lavoro e di ciò che aveva creato. Quando dopo tutte le infinite professioni si presentò un artista, Dio restò interdetto. Perché, che gli uomini potessero essere artisti, era cosa che neanche lui aveva previsto. Ma invece che indispettirsi si compiacque ancor di più di quelle sue creature che avevano sorpreso il loro stesso creatore, facendo qualcosa che neanche Lui aveva messo in preventivo. Cosa suggerisce questo aneddoto? Che l’arte è l’attività che fa balzare l’uomo oltre se stesso, che è lo spazio dell’imprevisto, del non necessario, del gratuito. È il luogo in cui il desiderio che muove l’uomo in ogni istante della sua vita, tenta di oggettivarsi in una forma, in una parola. 
È la stessa cosa da sempre, dal tempo delle incisioni rupestri di Lascaux sino ad oggi. Così come non c’è un tempo senza arte, non c’è neppure un codice che assicura sulla bontà dell’arte. Come ha detto Damien Hirst, uno dei fenomeni dell’arte contemporanea, personaggio insieme da scandalo e da copertina: «L’arte è vera se capisci qualcosa dell’essere vivi che non avevi mai capito prima». 
Una cosa certa è che l’arte non può mai essere uguale a se stessa, deve accettare sempre il rischio del nuovo, del non detto prima. Anche a costo di fallire, di deragliare clamorosamente rispetto alla sua natura. C’è un’altra caratteristica dell’arte: conosce solo un tempo, ed è il tempo presente. Questo vale per sempre, nel senso che anche quando guardiamo una grande opera del passato, questa non è grande per statuto, ma è grande perché fa vibrare le corde del nostro presente, secondo uno sguardo che non è quello di nessun altro tempo della storia. E il presente dell’arte non è solo ideale, interiore, soggettivo. È anche oggettivo: The Artist Is Present si intitolava una straordinaria performance che ha emozionato centinaia e centinaia visitatori al MoMa di New York nel 2010. Marina Abramović, questo il nome dell’artista, per tre mesi è rimasta seduta davanti ad un tavolo, relazionandosi, soltanto a sguardi, con i visitatori che ad uno ad uno si sedevano di fronte a lei: 1565 persone per un totale di 700 ore di performance. Un’esperienza umanamente ed emotivamente intensissima, in cui l’artista consegnandosi allo sguardo dell’altro, in un certo senso “dandosi”, toccava qualcosa che aveva a che fare con il destino suo e di chi aveva di fronte. 
L’artista oggi è difficilmente personaggio nell’ombra, perché i meccanismi mediatici sono molte volte parte integrante del suo agire. È personaggio che spesso è chiamato a scoprire tutto se stesso, a mettere a nudo la propria vita, come aveva fatto Tracey Emin, esponente della Young British Art, con un’opera dall’impatto mediatico clamoroso e dall’aspetto sconcertante: nient’altro che il suo letto sfatto, dopo essere stato “abitato” dal proprio corpo per quattro giorni, dominati da un istinto mortifero. Poi quando se ne è sottratta, ha visto in quella forma che racconta il potenziale disfacimento della vita un’immagine forte, una forma “scolpita” dalla vita stessa; dalla sua vita. 
Ci si può chiedere a buon diritto come guarderanno quel letto gli uomini del prossimo secolo, che cosa ne vedranno. Ma l’idea che l’orizzonte di un artista sia quello di vincere il tempo, oltre che vagamente superba, è figlia di una retorica accademica che l’arte contemporanea ha avuto il pregio di spazzare via. 
L’arte è uno strumento di relazione non pianificata con gli uomini di questo tempo. È un linguaggio che arriva a toccare corde profonde, con modi e tempi non preventivabili. Quando dal suo studio in Cina Ai Weiwei ha concepito l’installazione per il carcere ora in disuso di Alcatraz ha realizzato un’opera che si è rivelata un gesto risarcitorio, altamente poetico e quindi molto umano: l’aver riempito di delicatissimi fiori di ceramica bianca lavabi, vasche e anche water del carcere, suona come un omaggio a tutto l’umano che lì è stato profondamente umiliato. Quando Ron Mueck, scultore australiano di straordinaria abilità, monumentalizza le figure di due anziani bagnanti, compie un gesto profondamente spiazzante proprio perché carica di emotività e di commozione una situazione esteticamente non appetibile, e perché rimette al centro del fare arte l’eterno tema del corpo. È il tema su cui ha ossessivamente ed esplosivamente lavorato in tutti questi anni Jenny Saville, artista inglese. Lei che ha rovesciato sulle tele masse di fisicità strabordanti, una volta attraversata l’esperienza della maternità ha saputo raccogliere questa energia nella narrazione di una relazione: quella tra il suo corpo e i corpi dei suoi figli. 
Il corpo entra in campo, per metafora, anche nella potente installazione di Anish Kapoor, artista indiano naturalizzato inglese. Con Shooting into the Corner (2008-2009) un cannone spara palle di cera rossa, materia quasi organica e grumo di sangue, contro un angolo della stanza, con una ritmicità implacabile, con violenza sorda e calcolata. L’effetto è impressionante, senza essere affatto teatrale. Un altro tipo di violenza è quella proposta da Alberto Garutti: una violenza luminosa, che abbaglia per far scattare una dimensione di meraviglia. Le 200 lampade che s’accendono ad ogni caduta di fulmine sul territorio italiano sono invito ad aprire una breccia nelle nostre menti, troppo urbanizzate e troppo calcolatrici. 
Damien Hirst, Marina Abramović, Ai Weiwei, Ron Mueck e Jenny Saville, Anish Kapoor e Alberto Garutti sono i personaggi qui chiamati a proporre uno sguardo diverso sull’arte contemporanea. Uno sguardo curioso e aperto per non restare ostaggi dei soliti luoghi comuni. L’arte di oggi è certamente un abnorme fatto di mercato (al punto che uno dei più grandi e seri artisti di oggi, Gerhard Richter, si è pubblicamente detto imbarazzato delle valutazioni che le sue opere hanno raggiunto); l’arte è anche spesso stata ridotta a un idiota esercizio di nichilismo. Ma in mezzo a questa fanghiglia – come sempre nella storia dell’uomo – si possono scoprire dei “fili d’oro” che è un peccato non seguire, non guardare, non conoscere. Sono “fili d’oro” che raccontano un’imprevista, a volte spiazzante, commozione per l’umano. E che la raccontano in forme altrettanto impreviste, a volte molto diverse da quelle a cui la tradizione ci ha abituati. Ma l’arte non è obbligata da nessuna forma, anzi è nella sua natura uscire dalle forme anche del passato recentissimo e inoltrarsi su terreni nuovi, rispondendo alle sollecitazioni di tutto ciò che di nuovo la vita degli uomini mette in campo. «L’arte è una porta aperta alla possibiltà», ricorda uno dei più importanti curatori di oggi, Hans Ulrich Obrist, citando l’artista Leon Golub. 
«Sono sempre stato interessato al momento creativo in cui ogni cosa è possibile e niente è ancora accaduto. Il vuoto è quel momento di tempo che precede la creazione, in cui tutto è possibile» risponde Anish Kapoor in un’intervista, incalzato dalle molte domande sulle sue forme concave e convesse e sulle opere di cera rossa che «si creano da sole». Questa mostra cerca proprio di seguire alcuni di questi “fili d’oro”, non attraverso le opere, ma la narrazione, anche spettacolare, di queste opere. Non vuole essere una scelta che cerca consenso, ma che sollecita curiosità. Prospetta situazioni che contengono anche un’audacia, con cui è affascinante fare i conti. Un’audacia di linguaggi o di approcci che porta gli artisti a inoltrarsi nelle fibre della realtà molto più di quanto a noi sia dato. A volte l’audacia è indotta dai mezzi che un artista si trova a disposizione: come è accaduto a David Hockney, grande artista inglese, che con l’arrivo dell’iPad ha capito di doversi arrischiare a dipingere sulla tavoletta, perché era una sollecitazione che gli avrebbe riservato sorprese. E, infatti, la bellezza delle sue immagini “artificiali” prodotte con i pennelli elettronici racconta di uno sguardo reso più acuto, più eccitato, più penetrato nella realtà. 
È il modo con cui l’artista David Hockney (ma la cosa vale anche per tutti gli altri qui presentati) oggi tenta di continuare a stupire Dio.

LA MOSTRA

Uno sguardo curioso e aperto per non restare ostaggi dei soliti luoghi comuni. L’arte di oggi è certamente anche un fatto di mercato, spesso ridotta a puro esercizio di nichilismo. Ma in mezzo a questa fanghiglia – come sempre nella storia dell’uomo – si possono scoprire dei fili d’oro che è un peccato non seguire. Sono fili d’oro che raccontano un’imprevista, a volte spiazzante, commozione per l’umano. E la raccontano in forme altrettanto impreviste, a volte molto diverse da quelle a cui la tradizione ci ha abituati. Ma l’arte non è obbligata da nessuna forma. La mostra segue alcuni di questi “fili d’oro”, attraverso la narrazione, anche spettacolare, di queste opere. Lo spettatore era accolto da un video che introduceva, non senza ironia, il tema dell’arte di oggi, tratteggiandone alcune caratteristiche che la differenziano da quella dei secoli scorsi.

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