di Massimo Kaufmann
Una stanza preziosa della Casa Testori, non troppo grande, raccolta e riscaldata da un soffitto “a cassettoni”, decorato con foglie d’alloro, oggi parzialmente svanite; è lo studio di questa grande casa che si affaccia sul giardino, il bel pavimento tipicamente lombardo a mattonelle esagonali, nere, rosse e grigie. In questi giorni di primavera anticipata le camelie esplodono in una fioritura che è il più bel dono per me che da due settimane mi sono messo all’opera per trasformare questa camera in un quadro. Alessandro mi aiuta nel disegno delle linee verticali, è un lavoro preliminare che comincia lunedì 3 marzo. Accompagnato dalla musica di Brahms comincio a prendere possesso di queste pareti, piuttosto alte, tracciando delle fasce verticali di diverse ampiezze.
L’esperimento consiste nel portare all’interno del mio lavoro l’opera di altri artisti. Ne invito otto che sono stati tutti già ospiti delle mostre Giorni Felici, da quando nel 2009 è cominciata l’attività della CasaTestori. Sono otto artisti legati da una rete di relazioni e di amicizia talvolta di lunga data, da legami affettivi, da gradi di parentela perfino. Cerco di stabilire una concordanza tra le persone che prescinda completamente dal lavoro di ciascuna.
In ordine alfabetico sono Stefano Arienti, Marco Cingolani, Giovanni Frangi, Andrea Mastrovito, Fulvia Mendini, Katja Noppes, Michela Pomaro, Massimo Uberti.
Ad ognuno di essi chiedo di partecipare in ragione di un principio semplice: immaginate, dico loro, che io sia un musicista, un jazzista per esempio, e che vi inviti ad una jam session. Ciascuno di voi suona, per così dire, un diverso strumento; io dirigo la band, i temi, i ritmi, ma ciascuno di voi, in piena libertà, suona la propria musica, il proprio “a solo”.
Sarebbe un po’ troppo presuntuoso a questo punto cercare di fare paragoni, e tuttavia nel passato la bellezza di una casa, di un palazzo, di una chiesa era spesso il risultato di una molteplicità di competenze e di arti capaci di modellarsi e fondersi insieme. Nel medioevo le cattedrali erano sempre il risultato delle innumerevoli e diverse abilità, dall’architetto al marmista, allo scultore del legno o della pietra, ai pittori del vetro e agli orafi. Nel Rinascimento e poi nel Barocco questa attitudine dell’arte raggiunge livelli di bellezza stupefacente e incomparabile. Se usciamo dai nostri orizzonti culturali e visitiamo una moschea in Marocco o un tempio indiano ci accorgiamo di quanti artisti, spesso anonimi, abbiano contribuito ad una visione dell’arte che non è, semplicemente e banalmente, un’opera collettiva ma una autentica visione dell’opera umana come cosmologia, intelligenza della propria cultura e desiderio di bellezza. Credo fermamente, ormai che non sono più un ragazzino, che nell’arte siano conservate le cose più degne del genere umano e fatta salva qualche (rara) buona idea politica o scientifica, negli ultimi millenni ciò che davvero merita di sopravvivere sia quasi sempre opera di artisti o poeti o musicisti. Quasi tutto il resto è solo conflitto o violenza. A tutti coloro che in genere nemmeno se ne accorgono faccio sempre, comunque, i miei più sinceri auguri.
Ciascun artista sta lavorando senza sapere esattamente cosa succederà accanto alla sua opera, mi riservo di usare la mia pittura come un legante tra cose diverse, cerco di creare liasons, corrispondenze e contrasti, e man mano che lavoriamo ci accorgiamo che appaiono e si rivelano le nostre “recondite armonie”, e che scaturiscono come da un fenomeno osmotico.
I “colleghi” per prendermi un po’ in giro già l’hanno ribattezzata Cappella Kaufmann (con tutti i doppi sensi del caso); riuscire perlomeno ad abbozzare se non un “metodo” quantomeno una modalità, mi sembrerebbe oggi, lunedì 17 marzo alle ore 12, circa a metà dell’opera, già un buon risultato. Alessandro fotografa tutti gli artisti mentre si susseguono le loro giornate di lavoro. Non sapere che cosa avrai accanto e ciò nonostante disegnare e dipingere ugualmente sulla traccia di un suggerimento condizionato corrisponde vagamente a quel gioco praticato dai poeti surrealisti che consisteva nel disegnare su un foglio di carta nello spazio di una striscia, quindi ripiegarla per nasconderla e passare questo messaggio “segreto” al proprio amico e sodale affinché ne proseguisse, ignaro, la realizzazione. Una tecnica seriale e al tempo stesso “cieca”, capace di produrre non solo esiti inaspettati e curiosi, ma di mostrare il senso più profondo, subconscio, delle relazioni umane.
Questo gioco surrealista , chiamato “Cadavre Exquis” (cadavere squisito) e l’idea del Giardino d’inverno si sono fusi insieme nei Giardini Squisiti che è il titolo che con Maria Morganti abbiamo scelto di dare alla mostra. L’idea precedente era quella di intitolarla L’elogio della Pigrizia, ma siamo entrambi troppo pigri per spiegare tutto quello che realmente per noi significhi la pigrizia. Sarà per un’altra volta. Suggerisco comunque agli interessati a questo argomento l’operetta di un bravo collega, Kazimir Severinovic Malevic, intitolata La pigrizia come verità effettiva dell’uomo ( Vitebsk,1921).






















