LA BASE DELLA SCALA

I migranti hanno conosciuto il ricatto della corruzione sulla loro pelle. Lo hanno conosciuto sull’altra sponda del Mediterraneo quando hanno dovuto mettere i loro pochi risparmi nelle mani degli scafisti o di chi per loro; e spesso l’hanno sperimentata anche in Italia, quando l’accoglienza è finita nelle mani di organizzazioni gestite da affaristi. I migranti sono testimoniati in mostra da due opere di grande impatto e valore. Tindar, “nickname” di un artista milanese che oggi vive a Roma (e ha aperto le porte della sua casa all’accoglienza di un migrante), è presente con un trittico nato da un’esperienza di frontiera, a Calais, nei mesi della “Jungle”, il grande campo profughi dei migranti che speravano di passare la Manica. Tindar ha realizzato un ribaltamento di prassi e paradigma: ha chiesto ai migranti stesso di raccogliere (dietro un piccolo compenso) le impronte di persone che a diverso titolo incrociavano nel campo. Le impronte, montate su pannelli coperti di terra, vengono a comporre un flusso di presenze che transitano da un mondo all’altro. Tindar con un’opera come questa mette in gioco il suo essere artista. La stessa cosa accade per un nome carismatico di una diversa generazione: Corrado Levi ha portato a Casa Testori una propria foto (scattata da Beppe Finessi), in cui indossa gli abiti ritrovati sugli scogli di Otranto. Abiti abbandonati da migranti che erano sbarcati lì. Levi li aveva raccolti tutti e indossati.  «Io immaginavo di essere il corpo degli altri – ha raccontato – lo so di aver finto, ma per quanto potevo l’ho sentita dentro di me questa cosa». “Vestiti di arrivati” è il titolo dell’opera. «Quando me li tolgo e li lascio su una spiaggia, lì sugli scogli a futura memoria, quello è il momento in cui spero di poter cambiare la mia vita. È la libertà. Come un battesimo… per chi ci crede».

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Posted on: 25 Marzo 2020, by : Alessandro Frangi
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