Un ricordo di Piero Fogliati
«Finito il servizio di leva, lavorai presso un carrozziere con l’intento di apprendere a modellare la lamiera. Fu allora che le mie idee iniziarono a chiarirsi; ciò che volevo era sostituire il materiale che impiegavo per dipingere, i pigmenti, e sostituirlo con altro, un mezzo tecnologico», così Piero Fogliati raccontava la svolta che l’aveva reso pienamente artista. La pittura a cui si era dedicato era orizzonte per lui insufficiente. Cercava altro. «Ho sognato di creare le cose più belle. Come realizzare un’utopia funzionale, come decorare i cieli e come configurare le città». Fogliati è morto venerdì 25 nella sua Torino, circondato solo dai suoi famigliari. Lo ricordiamo per quella sua presenza furtiva e geniale all’edizione di Giorni Felici del 2011. Aveva occupato una stanza a piano terra con elementari tubi che come creature striscianti gorgogliavano suoni, creature ibride tra tecnologie idrauliche ed esseri zoomorfi. «Il mio lavoro», spiegava, «nasce dall’esplorazione dei fenomeni scientifici per la realizzazione di risultati estetici e utilizzo la tecnologia con questo unico fine».
La storia di Fogliati è anche una storia di grande libertà, di indipendenza dalle regole stringenti del sistema. È rimasto sempre collaterale all’arte povera, geloso dello spazio di agibilità che era riuscito a conquistarsi. «Per ottenere questa autonomia», ha raccontato, «trovai una soluzione efficiente; divenni gestore di un distributore di benzina AGIP, lavoro che condussi per molti anni. Questa soluzione mi consentì di avere il mio “laboratorio”, dove lavoro tuttora. In seguito, non più giovane, mi sono dedicato all’insegnamento dell’arte presso la scuola di un carcere minorile. Il mio laboratorio è piccolo ma ben equipaggiato; è qui che, per necessità, ho appreso ad essere ordinato e preciso».
Posted on: 30 Marzo 2016, by : admin